VITERBO – Il Messaggero chiude la redazione di Viterbo. Dal primo aprile uno dei principali giornali della città, che ne ha raccontato e fatto la storia, non avrà più un luogo fisico dove esistere.
Esisterà ancora un’edizione viterbese ma sarà realizzata a Terni. Per la sede viterbese, prima in via Cairoli e poi su via Marconi, aperta sessanta anni fa è il momento di chiudere i battenti. In quelle stanze e corridoi hanno lavorato giornalisti di grande qualità e caposervizio eccellenti.
Arnaldo Sassi, che dopo una lunga esperienza a Roma, ha guidato la redazione di Viterbo dal 1994 al 2012, ha scritto un post su Facebook per raccontare come si lavorava: ” C’era una volta… “Il Messaggero di Viterbo”. C’era una volta… No. Non è l’inizio di una favola a lieto fine (come è tradizione che sia). Ma una storia reale triste e dolorosa. Soprattutto per chi l’ha vissuta in prima persona, come il sottoscritto.
E allora: c’era una volta la redazione de “Il Messaggero di Viterbo”, nata nel primo dopoguerra e affidata in primis a un prof lungimirante e colto. Si chiamava Alessandro Vismara. Prese subito piede, destando l’attenzione dei lettori, tant’è che col tempo si allargò, fino ad assumere, negli anni ’60, il primo capo redazione professionista: Gianfilippo Chiaravalli. Che rimase al timone della navicella fino al 1994, quando arrivai io.
Provenivo da un’esperienza più che decennale nella Capitale, dove avevo avuto modo di imparare il mestiere da veri e propri maestri del giornalismo. Ne cito solo tre: il direttore del giornale Vittorio Emiliani e due capicronisti: Silvano Rizza e Vittorio Roidi. Forte di quel prezioso bagaglio, cominciai la mia avventura, insieme a un plotoncino di validissimi collaboratori, cercando di fare un giornale che – oltre alla cronaca – fosse anche di confronto (talvolta anche di scontro) e soprattutto di proposta, mettendo in pratica gli insegnamenti ricevuti.
Fino al 2012, anno in cui ho raggiunto il traguardo della pensione, la redazione ha lavorato avendo come principale obiettivo la verità dei fatti e soprattutto il bene della città e dei suoi abitanti. Come affermava Indro Montanelli, il giornale doveva essere il contraltare del potere. E questo il Messaggero era. Ma era anche un giornale che sviluppava molto i rapporti personali, talvolta approfittando delle confidenze basate su un costruito rapporto di fiducia. La redazione, situata nella centralissima via Marconi, è stata per anni fucina di idee derivanti per lo più da colloqui a quattr’occhi.
Ho avuto a che fare con quattro sindaci: Beppe Fioroni, ansiogeno all’eccesso (telefonava almeno dieci volte al giorno, avendo una paura fottuta di essere infilzato). Marcello Meroi, un democristiano dentro (nel senso buono del termine), con grandi capacità di moderazione e mediazione, che rinunciò al secondo mandato forse perché sconfortato dalle difficoltà emerse nel gestire la cosa pubblica. Giancarlo Gabbianelli, un uomo tutto d’un pezzo, integerrimo nella sua onestà intellettuale, con l’unico difetto di avere un carattere non molto comprensibile. Peccato. E infine, Giulio Marini, democristiano fino all’osso. Forse il più pragmatico di tutti. E quello che – nonostante le difficoltà creategli dalla sua stessa maggioranza – riuscì a portare a casa i risultati migliori.
Cera una volta la redazione de “Il Messaggero di Viterbo”, amata da mezza Viterbo e odiata dall’altra metà. Perché, nel bene e nel male, non faceva sconti a nessuno. E in quegli anni fu protagonista di tante battaglie. Molte perse (ne cito una su tutte: quella per la chiusura del centro storico alle auto), ma altre vinte. In quella che era una dialettica, talvolta aspra, con chi gestiva di volta in volta il potere.
Ho raccontato con tanta nostalgia queste cose dopo aver saputo che il prossimo 1° aprile la redazione chiuderà definitivamente i suoi battenti. Rimarrà la pagina della cronaca, ma è presumibile pensare che sarà solo un affastellamento di comunicati stampa, oggi facilitati anche dalle moderne tecnologie. Ma mancherà l’anima, lo spirito, il confronto, la dialettica. E, in certi casi, anche lo scontro.
C’era una volta la redazione de “Il Messaggero di Viterbo”. Ma tra un mese non ci sarà più. E, statene certi, non vissero tutti felici e contenti”.
Un addio commosso, sempre affidato ai social, quello di Massimo Chiaravalli: ““Il Messaggero di Viterbo”, addio. Non alle pagine, che restano, ma alla redazione, che invece chiude. Dopo 60 anni. Per me è rabbia e dolore, tanto: la aprì mio papà con i buoni auspici di Sandro Vismara. Non saprei da dove cominciare, tanti sono i ricordi.
Forse dalla vecchia sede in via Cairoli, dove il pavimento era tappezzato del nastro della telescrivente. O dalla camera oscura, dove mio padre e Massimo Luziatelli sviluppavano le foto. Perché mica era come oggi, che con un click sul cellulare spammi lo scatto in mezzo mondo. O anche dalle domeniche mattina nella nuova sede in via Marconi, solo io e papà. Il mio primo articolo, 60 righe battute a macchina e pubblicate il 14 febbraio 1998. Ricordo le parole del mio capo, Arnaldo Sassi: “L’attacco non è male”. Ce l’avevo fatta, facevo il lavoro di mio padre. Da lì ho visto passare una miriade di colleghi: alcuni persi per strada, altri diventati amici. Non me ne voglia nessuno, se lo dimentico: la “bomba” di Mauro Evangelisti, le serate in giro con Simone Canettieri a cercare notizie, Gianni Tassi, Alessia Marani, Mara Pasquini, Gob, il grande Arenone, Giulianelli, Riganelli, Bonifazi, Graziotti, Ugo “che me sblocchi du’ pezzi sul sito” Baldi, Luca Telli (la telefonata più bella e commovente della mia vita me l’ha fatta lui), “pissi pissi bau bau Giorgio Renzetti” e la memorabile nascita della piscina Larus, un racconto tanto preciso che faceva bonariamente incazzare il buon assessore Fracassini. I sindaci a cui ho incessantemente rotto i maroni (e qualche uovo nel paniere) ma sempre con rispetto e amore per la cronaca: Meroi, Gabbianelli, Marini, Michelini, Arena, Frontini e pure qualche commissario. E ogni collaboratore.
Tutta la partita dell’acqua all’arsenico, le maratone in consiglio comunale che neanche Mentana… e come non ricordare Santa Rosa: “santarosaro” del Messaggero, per oltre 25 anni, con gli inserti del 3 settembre insieme a Federica Lupino. Potrei andare avanti a vita.
Alla fine ho coronato il sogno: sedere sulla stessa postazione di papà. Ma questa è un’altra storia. Chiusa, come la redazione tra una manciata di giorni. Una ferita che non si rimarginerà mai”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link