Concorso a diverso titolo nel medesimo fatto storico: nota a Cass. Sez. Un. 11.7.2024 n. 27727.
di Giusy Alessandra Annunziata
È possibile la diversificazione dei titoli di reato tra chi abbia partecipato alla realizzazione di un medesimo fatto storico? In particolare, è ammissibile che quest’ultimo venga imputato a norma del comma primo o del comma quarto dell’art. 73 D.P.R. 309/1990 a un concorrente, e a norma del comma quinto del medesimo articolo a un altro concorrente? Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 27727 dell’11 luglio 2024, hanno risposto affermativamente. Sebbene il recente approdo non sembri a prima lettura “rivoluzionario”, conviene esaminare la “querelle” tornando al momento in cui tutto è cambiato, ovvero al decreto legge del 23 dicembre 2013, n. 146, quando il comma quinto dell’art. 73 T.U. Stup. è diventato un reato autonomo.
Sommario: 1. Breve excursus sul comma quinto dell’art. 73 D.P.R. 309/1990: non più circostanza attenuante ma reato autonomo – 2. Concorso di norme o concorso di reati? Le Sezioni Unite n. 51063/2018 – 3. Il concorso di persone a diverso titolo nel medesimo fatto storico: l’orientamento a favore e l’orientamento contrario – 4. La memoria dell’Avvocato Generale – 5. Le Sezioni Unite n. 27727 dell’11 luglio 2024 – 6. Conclusioni.
1. Breve excursus sul comma quinto dell’art. 73 D.P.R. 309/1990: non più circostanza attenuante ma reato autonomo.
Con la legge n. 162 del 26 giugno 1990 (più nota come Iervolino-Vassalli), il legislatore ha introdotto, per la prima volta, un’inedita fattispecie, finalizzata ad attenuare il trattamento sanzionatorio previsto per le condotte descritte nei commi precedenti del medesimo articolo. Nella sua prima formulazione, infatti, il comma 5 dell’art. 71 (poi divenuto comma 5 dell’art. 73, nel testo unico n. 309/1990), prevedeva che: “Quando, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 2.582 (lire cinque milioni) a euro 25.822 (lire cinquanta milioni) se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 (lire due milioni) a euro 10.329 (lire venti milioni) se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV”.
La nuova fattispecie è stata considerata una circostanza attenuante a effetto speciale, e non una fattispecie autonoma di reato, sin dalle sue prime interpretazioni. Il legislatore ha confermato, poi, tale orientamento, eliminando ogni dubbio con la modifica del testo della lettera h) dell’art. 381 c.p.p., introdotta con il d.l. n. 247/1991, convertito in l. n. 314/1991, che espressamente ne definiva la natura circostanziale ai fini dell’esclusione dell’arresto obbligatorio in flagranza.
Con l’entrata in vigore della legge (Fini-Giovanardi) n. 49/2006, la disciplina della lieve entità ha subito importanti modifiche, ma la sua natura giuridica è rimasta invariata.
Tutto cambia, invece, con il d.l. n. 146 del 2013, convertito in l. n. 10 del 2014, mediante il quale la lieve entità ha assunto natura di fattispecie penale autonoma. A seguito di tale intervento, la norma così prevedeva: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000”.
Fino a quando la lieve entità era considerata una circostanza oggettiva a effetto speciale, non si ponevano dubbi circa la possibilità di applicare la stessa solo ad alcuni concorrenti nel medesimo fatto storico, in base alle qualità soggettive degli stessi e in base al rilievo della loro condotta rispetto alla realizzazione della fattispecie di reato. Tanto in virtù del principio consolidato in base al quale attenuanti e diminuenti possono avere riconoscimento differenziato tra coimputati a seconda della specifica posizione personale, senza determinare alcuna disparità di trattamento. Spetta al giudice, infatti, verificare la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge e riconoscerle, in presenza dei relativi presupposti, in favore della persona che le invoca.
Occorre precisare che la novella nasce dall’esigenza del legislatore italiano di adeguarsi ai dettami della sentenza della Corte EDU “Torreggiani e altri c. Italia”, che prescriveva l’adozione di incisive riforme per ridurre la presenza, fra la popolazione carceraria, dei soggetti tossicodipendenti, spesso detenuti a seguito della commissione di reati in materia di stupefacenti di contenuta gravità, assicurando migliori condizioni di vita penitenziaria. Per tale via, infatti, si consente, nel rispetto dei principi di cui all’art. 27 Cost., l’accesso a riti speciali e a forme di espiazione extramurarie a coloro che abbiano commesso reati connotati da minima offensività. Si attribuisce al giudice la possibilità di effettuare un giudizio complessivo che tenga conto sia delle circostanze che accomunano il soggetto agente agli altri concorrenti nel medesimo fatto storico, sia di quelle che lo differenziano dagli stessi, sottraendo tale giudizio al bilanciamento ex art. 69, comma 4, c.p.,
L’art. 73, comma 5, del T.U. Stup. (D.P.R. n. 309/1990), attualmente dispone: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità”.
A conferma della qualificazione del comma quinto come fattispecie autonoma di reato, si pone, innanzi tutto, la relazione di accompagnamento alla legge di conversione che mette in evidenza come si tratti di una fattispecie corredata da un proprio peculiare e autonomo trattamento sanzionatorio. Inoltre, l’art. 2 del decreto del 2013 testualmente recita: “Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità”, sottolineandone la natura di “delitto” autonomo, appunto. Se non fosse una fattispecie autonoma di reato, non si spiegherebbe, peraltro, l’“incipit” della norma che impone una clausola di riserva relativamente indeterminata (“Salvo che il fatto costituisca più grave reato…”). Come evidenziato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, anche la tecnica di formulazione della norma può costituire un indice ermeneutico in tal senso. Si tratta, infatti, di una norma che prevede, non solo un autonomo trattamento sanzionatorio, ma anche una propria circostanza attenuante (la “non occasionalità”). Oltre al fatto che il ricorso alla locuzione “chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo”, in sostituzione della previgente “quando…i fatti previsti dal presente articolo”, rivela una chiara scelta del legislatore nel voler qualificare il comma quinto come un’autonoma fattispecie di reato.
Al momento della conversione del decreto legge n. 146/2016, peraltro, si modificarono anche altre norme, contenenti autonome fattispecie di reato, estranee al 73, comma 5, T.U. Stup. La legge di conversione, infatti, ha provveduto anche alla modifica della predetta lettera h dell’art. 380 c.p.p., sostituendo il riferimento alla “circostanza” di cui all’art. 73, comma 5, T.U. Stup., con quello ai “delitti” previsti dalla medesima disposizione. È stato aggiunto analogo riferimento anche nell’art. 19, comma 5, D.P.R. 448/1988, in materia di condizioni per l’applicabilità delle misure cautelari agli imputati minorenni.
Descritta la natura di fattispecie autonoma di reato dell’art. 73, comma 5, T.U. Stup., si è posto il problema di valutare se sia possibile che più concorrenti nel medesimo fatto storico possano rispondere a diverso titolo di reato, ovvero a norma del comma primo o quarto, alcuni, e a norma del comma quinto, altri. La questione non è di poco conto se solo si considerino le conseguenze in punto di trattamento sanzionatorio: il minimo edittale previsto dalle ipotesi dei commi 1 e 4 dell’art. 73 (rispettivamente sei e due anni di reclusione, a seconda che si tratti di droghe c.d. “pesanti” o “leggere”) e quello, sensibilmente più mite, previsto dalla ipotesi “lieve” del comma 5 (sei mesi di reclusione).
Rilevanti conseguenze, inoltre, si verificano in ordine al termine di prescrizione del reato, ridotto di quasi due terzi e al regime di applicabilità delle misure precautelari e cautelari.
2. Concorso di norme o concorso di reati? Le Sezioni Unite n. 51063/2018.
Occorre brevemente delineare, a questo punto, i rapporti che sussistono tra le fattispecie di cui al comma primo e al comma quarto dell’art. 73, T.U. Stup., e la fattispecie di lieve entità, così come delineati dalle Sezioni Unite con sentenza n. 51063 del 9 novembre 2018.
Con ordinanza n. 23547/2018 era stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: “se la diversità di sostanze stupefacenti, a prescindere dal dato quantitativo, osti alla configurabilità dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 e, in caso negativo, se tale reato possa concorrere con le fattispecie previste ai commi 1 e 4 del medesimo art. 73 d.P.R. cit.”.
Nella motivazione di questa importante sentenza, si provvede, innanzi tutto, a specificare che il comma quinto dell’art. 73, T.U. Stup., concorre con ognuno dei primi quattro commi del medesimo articolo. Si tratta, tuttavia, di un concorso solo apparente di norme posto che “il suddetto comma 5, isolando…una specifica classe di fatti (quelli comunque tipici, ma di lieve entità), si pone in rapporto di specialità unilaterale con le altre disposizioni menzionate, essendo indiscutibile che, qualora dovesse venire meno, i medesimi fatti tornerebbero a ricadere nell’ambito di incriminazione di queste ultime”.
A proposito della clausola di riserva espressa, che sembra sovvertire il criterio della prevalenza della fattispecie unilateralmente speciale, unico criterio pacificamente condiviso in giurisprudenza, rendendo apparentemente sempre inapplicabile il comma 5 dell’art. 73 in favore delle norme “generali” contenute nei precedenti commi del medesimo articolo, le Sezioni Unite precisano che occorre valorizzare la volontà del legislatore storico e la sua scelta di trasformare la fattispecie da circostanza attenuante in reato autonomo, al fine di garantire una più effettiva ed espansiva applicazione del più temperato regime sanzionatorio previsto per i fatti di lieve entità.
Tanto consente di ritenere che, qualora il legislatore, nel configurare una fattispecie come speciale rispetto ad altre più gravi, preveda altresì una clausola di riserva relativamente indeterminata, intende far operare i due criteri su piani distinti, ovvero sottrarre la relazione di specialità all’ambito di operatività della clausola di riserva. Si può, dunque, concludere che la suddetta clausola sia stata introdotta per “disciplinare l’eventuale o futuro concorso con altre fattispecie più gravi, ma diverse da quelle contenute nell’art. 73 T.U. STUP., con le quali già si instaura una relazione di genere a specie”.
A proposito del primo quesito posto dall’ordinanza di rimessione, la Cassazione ha precisato che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, .T.U. Stup., in quanto, coerentemente con l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, “è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto”.
Venendo, poi, alle precisazioni circa il rapporto tra il comma quinto e i precedenti commi, in particolare modo il comma primo e il comma quarto, del medesimo articolo, le Sezioni Unite hanno messo in evidenza come, successivamente alle modifiche introdotte con la l. del 2014, l’art. 73 T.U. Stup., si atteggia a norma mista cumulativa in quanto è una disposizione che prevede più norme incriminatrici autonome cui corrispondono distinte fattispecie di reato.
Ognuno dei primi cinque commi, invece, contiene una norma a più fattispecie, atteso che, in ciascuno di essi, vengono tipizzate modalità alternative di realizzazione di un medesimo reato. Il fatto, poi, di prevedere autonome norme incriminatrici non esclude una possibile interferenza tra le stesse che andrà risolta alla luce del principio di specialità. Il rapporto tra il comma primo e il comma quarto del medesimo articolo, invece, in ragione della specialità reciproca e bilaterale che li caratterizza, sarà sempre ricondotto al concorso di reati, anche nel caso in cui le diverse fattispecie venissero poste in atto con un’unica condotta.
Le condotte consumate in contesti diversi e non aventi per oggetto il medesimo quantitativo di stupefacente o di una sua partizione, realizzano fatti autonomi. Pertanto, qualora uno degli stessi possa essere qualificato di lieve entità, i reati rispettivamente integrati concorrono e, sussistendone i presupposti, possono essere unificati ai fini e ai sensi dell’art. 81 c.p., anche a prescindere dalla omogeneità o eterogeneità delle sostanze che ne costituiscono l’oggetto. La consumazione in tempi diversi, ma in unico contesto di più condotte tipiche, inevitabilmente diverse tra loro, in riferimento al medesimo oggetto materiale, inteso nella sua identità naturalistica, integra invece un unico fatto di reato, atteso che quelle contenute nei commi 1 e 4 dell’art. 73 T.U. Stup. sono norme miste alternative. La loro eventuale convergenza con la disposizione del comma 5 sull’unico fatto configurabile determina, poi, un concorso apparente tra norme incriminatrici che deve essere risolto in favore di quest’ultimo, qualora il fatto medesimo venga ritenuto di lieve entità.
Occorre, da ultimo, precisare, quanto all’applicabilità del comma quinto dell’art. 73, T.U. Stup., che lo stesso “prevede un’unica figura di reato, alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l’oggetto. La detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d. P.R. n. 309 del 1990, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro”.
3. Il concorso di persone a diverso titolo nel medesimo fatto storico: l’orientamento a favore e l’orientamento contrario.
Fatte queste doverose premesse e ripercorsa la giurisprudenza che costituisce lo sfondo su cui si innesta la sentenza a Sezioni Unite dell’11 luglio 2024, è d’uopo dar conto dei principali orientamenti formatisi in materia.
La questione della configurabilità, a fronte di un medesimo fatto di reato in materia di traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, di un concorso di persone con titoli differenziati, trae origine dalla ricostruzione dogmatica del concorso eventuale di persone nel reato nonché dalla natura unitaria o differenziata del fatto di reato realizzato plurisoggettivamente.
A proposito della diversità materiale delle singole condotte poste in essere dai concorrenti nel medesimo reato, sono stati elaborati due principali modelli di disciplina dell’istituto del concorso eventuale di persone nel reato.
A giudizio dei sostenitori del primo orientamento e in adesione alla teoria della così detta “fattispecie plurisoggettiva eventuale”, si è ritenuto che l’ordinamento giuridico debba affiancare alle singole fattispecie di reato mono-soggettive, un’autonoma e distinta fattispecie plurisoggettiva per ciascuno dei concorrenti nel medesimo fatto storico, data dalla combinazione delle norme di parte speciale con quelle sul concorso di persone nel reato. Dette fattispecie hanno in comune il medesimo accadimento materiale e si differenziano, però, per l’atteggiamento psichico, che è quello proprio del singolo compartecipe, e per taluni caratteri estrinseci che attengono solo alla condotta dell’un compartecipe e non anche dell’altro.
Sarebbe, dunque, possibile, sostenendo questa tesi, ascrivere il medesimo fatto storico, a un concorrente, a norma del comma primo o quarto dell’art. 73, T.U. Stup., e, a un altro, a norma del comma quinto del medesimo articolo, laddove, tenuto conto dei mezzi, della quantità di sostanza stupefacente, delle modalità e delle circostanze dell’azione, il contesto complessivo nel quale si colloca la condotta risulti essere differente per ciascuno dei correi.
L’art. 110 c.p. svolgerebbe, per tale via, una funzione meramente disciplinatoria e non incriminatrice, essendo le condotte dei singoli concorrenti già, di per sé, tipiche. Tanto consentirebbe di calibrare l’imputazione sulla persona del colpevole e non sul fatto tipico del concorso, nel rispetto dei principi di cui all’art. 27, comma 1, Cost.
A conferma di ciò si richiama, innanzi tutto, l’orientamento di legittimità sull’art. 112, ultimo comma, c.p., in cui la Suprema Corte ha sostenuto che, non specificando il predetto articolo le ragioni per cui un concorrente non è imputabile o non è punibile, sembra ammettere la configurabilità del concorso di persone anche in caso di non punibilità relativa, ovvero nel caso di una punibilità per un titolo diverso di reato che, insieme a quello degli altri concorrenti, contribuisce a determinare l’offesa tipica.
Inoltre, anche gli artt. 116 e 117 c.p. confermerebbero tali assunti, ammettendo una diversificazione dei titoli al di fuori dell’ambito di applicazione degli stessi. Le disposizioni di tali articoli, infatti, hanno la funzione di “aggravare” la responsabilità per uno o più concorrenti, in deroga al principio di colpevolezza. La giurisprudenza, tuttavia, ha evidenziato che detta disciplina, da un lato, non può comportare una “parificazione” in mitius a vantaggio di uno dei concorrenti, né, dall’altro, può “parificare” la responsabilità in peius per taluni di essi. L’effetto “parificatorio” generato dall’art. 117 c.p., infatti, vale solo per le ipotesi dallo stesso contemplate, ovvero solo quando il concorrente, così detto extraneus, non abbia la consapevolezza delle condizioni o delle qualità personali di quello intraneus, o dei rapporti fra questi e l’offeso. Quando il mutamento del titolo di reato è dovuto, invece, a circostanze diverse rispetto a quelle evidenziate, la parificazione della responsabilità tra i diversi concorrenti non può aversi, né ai sensi dell’art. 110 c.p., né ai sensi dell’art. 117 c.p. Sarà semmai applicabile, in presenza dei presupposti ivi indicati, l’art. 116 c.p. Quest’ultimo, peraltro, ugualmente produce l’effetto “parificatorio” solo nelle ipotesi espressamente previste. Al di fuori di esse, dunque, sussiste una naturale e possibile differenziazione dei titoli di reato per i concorrenti nel medesimo fatto storico.
Inoltre, quanto all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, non potrebbe comunque operare il criterio di “parificazione” fissato dall’art. 117 c. p., perché la differenziazione tra i reati dipende non dalle condizioni o dalle qualità personali del colpevole, o dai rapporti fra il colpevole e l’offeso, bensì dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell’azione. Senza considerare, inoltre, che l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 116 c. p. non è automatica, ma richiede, appunto, l’accertamento, in concreto, dei relativi presupposti.
In ultimo, a sostegno del predetto orientamento, si richiamano le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza di legittimità in una sentenza del 2018 sul neonato reato di autoriciclaggio. All’indomani, infatti, dell’introduzione della predetta fattispecie penale nel nostro ordinamento, con l. n. 186 del 2014, si era posta la questione del tipo di reato contestabile all’extraneus che avesse posto in essere una condotta sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 648bis c.p., in concorso con l’autore del delitto presupposto. In tale ipotesi, la Suprema Corte aveva concluso nel senso che fosse configurabile una responsabilità a diverso titolo di reato tra più concorrenti nel medesimo fatto storico.
Per di più, se non si condividesse la predetta differenziazione di responsabilità, si concluderebbe per equiparare le condotte dei singoli correi, in senso sfavorevole per alcuni di essi.
L’orientamento opposto, invece, non ritiene condivisibili tali assunti in quanto lo stesso codice penale aderisce al modello unitario del fatto tipico. Nell’art. 110 c.p., infatti, si fa riferimento a “medesimo reato” facendo salvo solo quanto previsto dalle disposizioni degli articoli seguenti.
D’altronde, dal punto di vista storico, anche la Relazione del Guardasigilli sul progetto del Codice Rocco sembra andare in tal senso dal momento in cui sottolinea che “(…) Il criterio di un’eguale responsabilità per tutte le persone, che sono concorse nel reato, è in diretta dipendenza del principio che si è accolto nel regolare il concorso di cause nella produzione dell’evento, principio in forza del quale tutte le condizioni, che concorrono a produrre l’evento, son cause di esso (…) Sussiste bensì un’ulteriore specificazione della scientia maleficii [del concorrente] in rapporto alle diverse specie di reato, commesso da più persone, ma tale specificazione è imposta dal carattere unitario conferito dalla legge al titolo del reato, di cui i vari partecipi sono chiamati a rispondere. È indiscutibile, infatti, che, per aversi l’istituto del concorso, è necessario che tutti rispondano dello stesso reato (…). Si è anzi autorizzati a formulare il principio generale che la scientia maleficii debba atteggiarsi, per la necessità di tener ferma l’unità del reato commesso dai partecipi, in relazione all’elemento psicologico del reato, di cui i partecipi debbono rispondere: dolo nel reato doloso, colpa nel reato colposo, volontarietà nelle contravvenzioni”.
A conferma di tale orientamento, si richiamano proprio le disposizioni seguenti rispetto all’art. 110 c.p., ovvero gli artt. 116 e 117 c.p. richiamati anche dall’opposta tesi. Questi ultimi, infatti, in quanto norme eccezionali, confermano che la regola generale è quella della parificazione della responsabilità dei singoli concorrenti nel medesimo fatto storico.
Per di più, si evidenzia che la fattispecie di lieve entità discende da un giudizio obiettivo e globale della fattispecie realizzata dai correi, che non può portare a differenziazioni in base a elementi estrinseci rispetto alle singole condotte o in base all’elemento psicologico.
D’altronde, sottolineano ancora i sostenitori di questo orientamento, che, condividendo l’opposta tesi, si produrrebbe un effetto parificatorio non solo verso l’alto ma anche verso il basso. È tutta una questione, dunque, di valutazione case by case che, tra l’altro, può essere effettuata anche semplicemente differenziando il trattamento sanzionatorio, alla luce dei canoni di cui agli artt. 113 e 114 c.p. che espressamente lo consentono.
4. La memoria dell’Avvocato Generale.
A favore della necessaria diversificazione dei titoli di reato, si è espresso anche l’Avvocato Generale della Corte di Cassazione. Tanto allorquando la ricostruzione delle rispettive condotte, il contesto complessivo nel quale esse si collocano, nonché il grado di offensività concreta da esse apprezzabile, rivelino inequivoci caratteri differenziali tali da giustificare una diversa qualificazione del titolo di reato in capo ai concorrenti.
Si evidenzia, infatti, che l’argomento storico, per quanto significativo, non può svolgere un ruolo di supremazia dal punto di vista interpretativo. A distanza di quasi cento anni, occorre verificare se le affermazioni contenute nella Relazione del Guardasigilli siano, tuttora, espressione del tempo e dell’evoluzione del diritto. Il richiamo è al “‘valore’ della colpevolezza, [ed alla] sua insostituibilità (…) come essenziale requisito subiettivo (minimo) d’imputazione uno specifico rapporto tra soggetto (…) e fatto considerato nel suo disvalore antigiuridico”, nonché al principio di concreta offensività, che si pone “come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice (…) nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto”.
È necessario, allora, chiedersi che cosa si deve intendere per unità del reato alla luce dei suddetti principi. Questa “può variamente essere concepita, e precisamente: a) come “eguale punibilità estesa a tutti i concorrenti (sia per quanto riguarda l’an che il quantum della pena)”; b) come eguale “titolo di responsabilità (sub specie di elemento soggettivo doloso, colposo, preterintenzionale)”; c) come “identità del nomen iuris della fattispecie attribuita ai colpevoli” (…) o, che dir si voglia, come unità (del titolo) del reato (“unità della qualificazione giuridica”), ancorché eventualmente con diverso titolo di imputazione; d) come unità, infine, di concorso nel fatto: limitata, cioè “all’esigenza che i partecipi contribuiscano alla stessa offesa tipica sotto un profilo essenzialmente causale, senza che ciò comporti alcuna conseguenza in ordine alla punibilità, al titolo di reato e alla forma dell’elemento psicologico” (…)”.
È evidente che solo l’ultimo di tali significati è compatibile con un’interpretazione diversificata dei titoli di reato. La prima delle soluzioni indicate è da scartare in quanto esclusa dalle norme di diritto positivo e dai principi basilari della moderna civiltà penalistica, primi fra tutti quello di colpevolezza e della modulazione personalizzata della pena. La seconda è ugualmente da ripudiare poiché tale concezione di unitarietà è stata definitivamente abbandonata dalla giurisprudenza maggioritaria. La terza concezione di unità obbliga al confronto con gli artt. 116 e 117 c.p. che, in quanto richiamati da entrambi gli orientamenti, non risultano essere comunque dirimenti. È indubbio, pertanto, come le disposizioni in questione rappresentino acuta deroga rispetto a caposaldi di garanzia del diritto penale, quale colpevolezza ed offensività in concreto, fino a costituire un vulnus intollerabile in un sistema penale ispirato ai valori costituzionali più sopra richiamati. In conseguenza, è ben difficile ipotizzare l’estensione di tali ipotesi eccezionali o, peggio, edificare addirittura una regola sulla base di tali eccezioni. Tra l’altro, l’art. 117 c.p. non potrebbe comunque essere applicato alla fattispecie di concorso in esame che si colloca al di fuori di tutte le ipotesi ivi previste. Né, tantomeno, conclude l’Avvocato Generale, potrebbe essere richiamato l’art. 116 c.p. visto che, nel caso di specie, non si discute di concorrenti anomali.
Tali assunti non sarebbero, peraltro, messi in dubbio da una recente sentenza delle Sezioni Unite. Quest’ultima, sulla scia dei precedenti maggioritari, ha affermato che, nel caso in cui la condotta tipica sia posta in essere da un terzo a tutela di un diritto altrui, per configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in luogo di quello di estorsione, occorre che il terzo abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abbia ricevuto incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio; qualora il terzo agente – seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 c. p. nella previsione dell’art. 393 stesso codice – inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione ex artt. 110 e 629 c. p.
Conclusione, questa, legittimata dal doppio presupposto che il reato di cui agli artt. 392 e 393 c.p. non sono ‘di mano propria’, ma solo ‘reati propri’ e che la loro differenza rispetto all’estorsione è tracciata dal diverso confine dell’elemento soggettivo, non già da quello della materialità del fatto, pur se caratterizzati da una materialità “non esattamente sovrapponibile”. Per contro, “risulta determinante il fatto che i terzi eventualmente concorrenti ad adiuvandum del preteso creditore abbiano, o meno, perseguito (anche o soltanto) un interesse proprio. Ove ciò sia accaduto, i terzi (ed il creditore) risponderanno di concorso in estorsione; in caso contrario, ove cioè i concorrenti nel reato abbiano perseguito proprio e soltanto l’interesse del creditore, nei limiti in cui esso sarebbe stato in astratto giudizialmente tutelabile, tutti risponderanno di concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni”.
In questa ipotesi specifica, l’art. 110 c.p. continua a svolgere la sua funzione tipizzante. Ben diverso è il caso in cui, sotto l’art. 110 c.p., vengano in rilievo due diverse condotte tipiche quali quelle delineate nei commi 1 e 4 dell’art. 73 T.U. Stup. e comma 5 della medesima disposizione, tra le quali esiste, ab origine, una diversità materiale di condotta e, dunque, una tipizzazione ontologicamente autonoma di fattispecie e che dunque non abbisognano del legame concorsuale per ‘ottenere’ reciproca qualificazione normativa.
5. Le Sezioni Unite n. 27727 dell’11 luglio 2024.
Nella sentenza a Sezioni Unite dell’11 luglio 2024, n. 27727, la Corte Suprema, dopo aver ripercorso gli orientamenti più sopra esaminati, ha messo in chiaro, sin da subito, un concetto fondamentale ovvero che la concezione monistica del concorso di persone non è messa in dubbio in quanto il dettato legislativo e l’argomento storico non ammettono argomentazioni contrarie. Pur tuttavia, la nozione di “concorso” non è conclusa e implica un concetto di relazione che va riempito con un preciso termine di riferimento, individuato dal legislatore nel “reato”, come confermano sia l’art. 110 c.p. sia le disposizioni successive allo stesso che parlano di “cooperazione nel delitto”, di “commettere un reato”, di “reato commesso” etc.
Tali concetti vanno, però, coniugati con la moderna lettura dei principi di colpevolezza e di offensività alla luce anche dei più recenti approdi della Corte Costituzionale. Tanto sembra andare nella direzione di una maggiore personalizzazione della responsabilità penale.
A questo punto, occorre, però, calare tali considerazioni nel contesto della normativa di riferimento e, in particolare, dell’art. 73, comma 5, T.U. Stup., che ha subito svariate modifiche, come si è visto, nel corso degli anni. Il problema, infatti, sorge nel momento in cui, è bene ricordarlo, il comma quinto diventa un’autonoma fattispecie di reato.
A tal proposito, la Cassazione specifica che la soluzione alla questione deve tener conto dei caratteri strutturali dell’art. 73, considerato che lo stesso disciplina ben 22 diverse condotte, tra loro alternative, come specificato nella sentenza del 2018 precedentemente esaminata. Dunque, posto che, in caso di realizzazione da parte dello stesso soggetto di più condotte tra quelle alternativamente delineate dall’art. 73 T.U. Stup., prevale quella che contiene logicamente le altre, a diverse conclusioni si deve pervenire allorquando le diverse e alternative condotte siano poste in essere da plurimi soggetti concorrenti.
Sul punto la giurisprudenza consolidata riconosce la possibilità di una diversa qualificazione giuridica delle condotte dei concorrenti. Il reale perimetro del contrasto concerne, invece, quelle ipotesi, come quella in esame, in cui la contestazione ponga a carico dei concorrenti, spesso in termini generici, la medesima condotta tipica.
A tal proposito, le Sezioni Unite concludono nel senso che, in relazione al delitto di cui all’art. 73, commi 1 e 4, T.U. Stup., il medesimo fatto ascritto a diversi imputati può essere contestualmente suscettibile di qualificazioni giuridiche diverse, quando, all’esito di una valutazione complessiva, emerga che le condotte di alcuni compartecipi esprimono un diverso grado di disvalore oggettivo e soggettivo. Dunque, quando il contributo fornito da uno dei coimputati si caratterizza per mezzi, modalità e/o altre circostanze, rivelatore di un più tenue livello di offesa ai beni giuridici protetti, per lui solo potrà intervenire la derubricazione del fatto nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, T.U. Stup.
Detta affermazione, peraltro, non mette in discussione la persistente validità, in termini sistematici generali, della concezione unitaria del reato concorsuale, in quanto le norme di cui al primo e al quarto comma, da un lato, e quella di cui al quinto comma dell’art. 73, dall’altro, si pongono tra loro in rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 c.p., nel senso che le prime due hanno carattere di norma generale e la terza di norma speciale.
Dunque, qualora il medesimo fatto, contestato a diversi imputati in concorso tra loro, contenga elementi tali da fare ritenere integrata solo per taluni la fattispecie di cui all’art. 73 comma 5, T.U. Stup. e per altri quella di cui all’art. 73, comma 1, T.U. Stup., si versa al di fuori di un’ipotesi di concorso nel medesimo reato, essendosi in presenza di due reati diversi legati tra loro da un rapporto di specialità nei termini appena ricordati.
Occorre, infine, esaminare quali, tra gli elementi tipici specializzanti presenti nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, T.U. Stup., possono essere valutati in senso diversificato per i concorrenti nel medesimo fatto.
Non hanno rilievo in tal senso “quantità e qualità delle sostanze”, normalmente uguali per tutti i concorrenti; sono valorizzabili, invece: “mezzi, modalità e circostanze dell’azione”.
Sotto tale profilo la Corte ha affermato che potranno essere adeguatamente considerate le finalità dell’attività delittuosa, ad esempio una cessione occasionale, ovvero lo stato di tossicodipendenza del reo che si ponga in “rapporto diretto” con la condotta. Al contrario, l’aspetto relativo alla tossicodipendenza non dovrebbe assumere pregnante rilievo in presenza di sistematiche cessioni operate in favore di un indiscriminato novero di acquirenti.
Sono stati, invece, ritenuti del tutto irrilevanti e non valorizzabili l’eventuale comportamento collaborativo serbato post delictum e i precedenti penali dell’imputato, che non afferiscono all’azione la cui “lievità” si intende apprezzare, a meno che non si evidenzi un collegamento oggettivo tra i fatti criminosi per i quali la persona è già stata condannata con sentenza irrevocabile e quelli oggetto del nuovo giudizio.
Potrà e dovrà essere valutato, invece, se l’attività di spaccio sia stata svolta in un contesto di tipo organizzato. A diverse conclusioni, si dovrà e si potrà pervenire in relazione a quei soggetti che, pur consapevoli della natura organizzata dell’attività delittuosa, non abbiano fatto parte dell’associazione ex art. 74 T.U. Stup., tenuto anche conto del numero di volte in cui ciascun imputato ha partecipato a tali condotte.
6. Conclusioni.
La “trepidante” attesa per la decisione con cui le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi in tema di unitarietà o differenziabilità del reato plurisoggettivo, è stata forse tradita dalla sostanziale riaffermazione della posizione tradizionalmente invalsa.
Chi sperava nella risoluzione dell’annoso e intenso dibattito, generato dall’istituto in esame non può che restare deluso dalla sentenza in commento, modulata (e non poteva d’altronde essere altrimenti) solo ed esclusivamente sulle fattispecie delineate dal T.U. Stup., rimesse all’esame delle Sezioni Unite.
Non risulta vulnerata la lettura unitaria del reato plurisoggettivo che, anzi, trova nuova linfa e conferma in una sentenza che non risolve le divergenze ermeneutiche sedimentatesi nel tempo.
Non può peraltro non evidenziarsi l’intrinseca contraddittorietà di una soluzione che, da un lato, proponga di mantenere l’ideale monistico del reato plurisoggettivo e, dall’altro, consenta, nonostante ciò, di differenziare i titoli di reato dei concorrenti nel medesimo fatto storico. Delle due, l’una: o si ritiene che l’argomento letterale e quello storico svolgano un ruolo assorbente, unificando le fattispecie concorsuali sotto tutti i punti di vista, sia in melius che in peius; o si propende per la soluzione opposta, consentendo, tra le altre cose, la diversificazione dei titoli di reato in nome dei principi di colpevolezza e di offensività.
La sentenza in esame, dunque, sembra rispondere più a logiche di politica criminale; quelle stesse che, nel lontano 2013, ispirarono il legislatore a considerare il comma quinto come una fattispecie autonoma di reato, per adeguarsi ai dettami della sentenza Torreggiani.
D’altronde, a sommesso avviso della scrivente, gli stessi presupposti da cui traggono origine i principi di diritto appaiono precari, atteso che le stesse Sezioni Unite ritengono che la trasformazione della fattispecie del quinto comma da circostanza attenuante oggettiva a effetto speciale a titolo autonomo di reato operata dal legislatore del 2013, sembrerebbe maggiormente calibrata sull’ipotesi della realizzazione monosoggettiva che non sulla eventualità che la condotta tipica sia frutto di un’attività in concorso ponendo, pertanto, problemi di compatibilità con la disciplina del concorso di persone nel reato.
Non a caso la sentenza conclude quasi con un invito a una migliore formulazione dei capi di imputazione: trovandosi in ipotesi di specialità, infatti, si esorbita dal contesto di concorso nel reato.
Per tutte le considerazioni sin qui esposte non sembra che il principio affermato dalle Sezioni Unite essere generalizzato oltre alle fattispecie espressamente esaminate nel caso di specie, né la si può ritenere risolutiva rispetto al dibattito che al quesito stesso era sotteso, prevedibilmente destinato ad un ulteriore e più decisivo approfondimento.
Ex multis: Cass. Sez. Un. n. 9148/1991, secondo cui la norma configura una circostanza attenuante a effetto speciale, e non un titolo autonomo di reato, essendo correlata a elementi (quali i mezzi, la modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e la quantità delle sostanze) che non mutano, nell’obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi dell’articolo, ma attribuiscono a esse una minore valenza offensiva.; Cass. Sez. Un. n. 17/2000; Cass., n. 4240/1997, in cui si affermava a chiare lettere che il comma quinto dell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 “era, pacificamente, una circostanza attenuante (oggettiva e ad effetto speciale) e non era una norma incriminatrice autonoma, con la conseguenza di entrare nel giudizio di bilanciamento”; Cass. Sez. Un., n. 35737/2010 in cui si confermava che “il D.P.R. n. 309 del 1990. art. 73, comma 5, configura una circostanza ad effetto speciale e non un reato autonomo, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, essendo correlata ad elementi (i mezzi, la modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e quantità delle sostanze) che non mutano, nell’obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi dell’articolo, ma attribuiscono ad esse una minore valenza offensiva”.
Vedi Insolera, Spangher e altri, “I reati in materia di stupefacenti” (2019), p. 281, in cui si mette in evidenza come la ratio del comma 5 Art. 73 T.U. Stup. consistesse “nella necessità di garantire ragionevolezza all’impianto sanzionatorio delle norme destinate a reprimere il traffico illecito di sostanze stupefacenti”.
Cass. n. 10233/1987; Cass. n. 3866/1977.
Corte EDU, 8.1.2013 (ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09; 57875/09, 61535/09, 35315/10, 37818/10), Torreggiani e altri c. Italia.
Si legge, infatti, testualmente: “a fronte di ipotesi di allarme sociale generalmente contenuto, quali, a titolo esemplificativo, quelle riconducibili al cosiddetto ‘piccolo spaccio di strada’, che, in base all’esperienza giudiziaria, nella maggior parte dei casi è praticato dagli stessi consumatori, si ritiene ragionevole e conforme al principio di proporzionalità della pena, prevedere una fattispecie di reato con una disciplina sanzionatoria autonoma rispetto alle ipotesi tipizzate nei primi quattro commi dell’art. 73 del Testo Unico”.
È bene, peraltro, ricordare che, nelle more della conversione in legge del suddetto decreto, la Corte Costituzionale (sent. n. 32/2014) ha dichiarato l’incostituzionalità, per eccesso di delega, della legge Fini-Giovanardi, facendo tornare in vigore la previgente normativa contenuta nella l. n. 162/1990 (l. Iervolino-Vassalli). Per l’effetto, è stata ripristinata la differenziazione tra le cd. droghe leggere e le cd. droghe pesanti precedentemente eliminata con l. n. 49 del 2006, di conversione del d.l. n. 272 del 2005.
Ex plurimis, sentt. Cass. n. 11110/2014; n. 5143/2014; n. 9892/2014; n. 36078/2017; n. 30238/2017.
A. Morelli, “Diversi titoli di reato per un medesimo fatto concorsuale? Il rompicapo della disciplina del concorso eventuale di persone nel reato: osservazioni a margine di Cass., Sez. III, ord. n. 20563 del 12 maggio 2022”, in Archivio Penale n. 1 del 2023, p. 3.
Le riflessioni sin qui svolte sul comma quinto dell’art. 73 T.U. Stup. sono state, poi, interamente riprese e condivise dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27727/2024.
Tanto viene confermato dalla giurisprudenza di legittimità che esclude la configurabilità di una pluralità di reati nel caso di realizzazione da parte dello stesso agente, nel medesimo contesto e con riguardo allo stesso oggetto materiale, di più condotte tra quelle descritte dalle singole disposizioni (Cass. n. 9477/2009; n. 7404/2015; n. 22549/2017).
Cass. n. 16598/2020; n. 2157/2018; n. 20234/2022; n. 19626/2021 in cui si era concluso che lo stesso fatto storico, integrante le ipotesi di cui all’art. 73 cit., poteva essere declinato ai sensi del comma primo, per un concorrente, e qualificato invece in termini di fatto di lieve entità, per altro concorrente, valorizzando il contesto in cui quest’ultimo operava, l’occasionalità della condotta rispetto a quella professionale dell’altro, la rilevanza del suo contributo nell’economia complessiva del fatto.
Cass. n. 7624/1981 e n. 3557/1965.
Cass. n. 17245/2018, in cui si diceva che “l’art. 648ter.1 c.p. prevede e punisce come reato unicamente le condotte poste in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo-presupposto, in precedenza non previste e non punite come reato. Diversamente,…., le condotte concorsuali poste in essere da terzi estranei per agevolare la condotta di autoriciclaggio posta in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto, …., conservano rilevanza penale quale fatto di compartecipazione previsto e punito dall’art. 648bis c.p. più gravemente di quanto non avverrebbe in applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato, ex artt. 110 e 117 c.p. e art. 648ter.1 c.p.”.
Cass. n. 30233/2021; n. 34413/2019; n. 13898/2020 in cui la Corte ha specificato che non era possibile la diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto storico sul mero presupposto che, in relazione a taluni correi, il singolo episodio si iscriva in un programma criminoso di stampo associativo come reato-fine.
Relazione, cit., in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, I, 1929, pp. 165 e 171.
Cass. n. 37732/2022 e n. 7098/2022.
Memoria P.G. della Corte di Cass. per l’ud. del 14.12.2023 in proc. Rg. n. 27140/2023.
Corte cost., n. 364/1988 e n. 207/2023.
“Non sussistono preclusioni, né normative né concettuali, alla riconducibilità dell’istituto del c.d. concorso doloso al delitto colposo al combinato disposto dell’art. 110 cod. pen. e delle singole norme incriminatrici di parte speciale che vengono, di volta in volta, in questione con riferimento all’illecito colposo. Ed invero il dolo dell’atto di concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 cod. pen. assume come oggetto la condotta tenuta e la sua connessione con quella degli altri compartecipi e come proprio contenuto strutturale la coscienza e volontà di contribuire alla realizzazione del fatto di reato. Non è necessario il c.d. previo concerto dato che il concorso può instaurarsi senza alcuna determinazione preventiva e la volontà di concorrere può essere anche unilaterale. L’autonomia della posizione di ciascun concorrente rende, dunque, ammissibile il concorso doloso nel delitto colposo. Ed invero, posto che l’esecutore della fattispecie monosoggettiva può anche agire senza dolo, senza con ciò escludere la responsabilità degli altri concorrenti, ne deriva a fortiori che può agire con colpa. Si tratta di una partecipazione non solo causalmente rilevante ma anche tipica rispetto agli eventi concreti previsti dal combinato disposto dell’art. 110 cod. pen. con le norme di parte speciale” (cfr. sent. Cass. 7032/2019).
Cass. Sez. Un., n. 29541/2020.
A tal riguardo, le Sezioni Unite specificano che si tratta dell’unica ipotesi di lieve entità trattata come fattispecie autonoma di reato. Gli artt. art. 648, co. 4, c. p., l’art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, gli artt. 609-bis co. 3 c. p., 311 c. p., 323-bis c. p., vengono, invece, qualificati come fattispecie circostanziali.
“Soccorre la natura di reato a più condotte tipiche in cui si sostanzia l’ipotesi delittuosa disciplinata dall’art. 73 T.U. stup., cosicché si può ritenere possibile individuare distinti reati quante volte le differenti azioni tipiche (acquisto, trasporto, detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale. Solo in questo caso sarà possibile attribuire alle condotte poste in essere dai coimputati nell’ambito di un medesimo contesto una diversa qualificazione giuridica” (Cass. n. 30233/2021). E, nello stesso solco, Cass. n. 6648/2022, Pintore non mass., afferma che “è possibile individuare distinti reati quante volte le differenti azioni tipiche (acquisto, trasporto, detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione ecc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale”. Conseguenzialmente, come afferma Cass. 22212/2021, Comes, non mass, “la condotta del venditore, soggetto dotato di maggiori contatti e canali di approvvigionamento, il quale svolge professionalmente e reiteratamente la sua attività, può essere ritenuta più grave, mentre quella dell’acquirente, in quanto limitata a quantitativi singoli, più sporadica nel tempo e sganciata da stabili rapporti con i grandi canali di approvvigionamento della criminalità organizzata, può essere qualificata di minore gravità”.
Cass. n. 16028/2018, secondo cui “lo stato di tossicodipendente può rilevare sole se si accerti che lo spaccio non ha dimensioni ragguardevoli, sì da fare apparire verosimile che l’imputato ne destini i proventi all’acquisto di droga per uso personale”; Cass. n. 44697/2013.
Aceto A., “Stupefacenti: lo stesso fatto può essere qualificato lieve per un imputato ed escluso per l’altro”, in www.ilquotidianogiuridico.it, 2024.
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