quel ruolo da protagonista che l’Europa ha dimenticato

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L’Europa deve risvegliarsi prima che sia troppo tardi. Le idee, da sole, non si muovono: se non saremo noi a orientare le scelte, altri lo faranno al nostro posto. Dobbiamo riaffermare il primato della politica, oggi relegata in secondo piano dall’egemonia tecno-finanziaria. Un vero movimento di liberazione europea potrebbe sembrare un’iperbole, forse un paradosso, ma, alla luce degli effetti di decenni di neoliberalismo, questa prospettiva appare tutt’altro che irrealistica. Viviamo in un mondo modellato dal paradigma neoliberale, un sistema che ha favorito la concentrazione del potere economico, consolidando monopoli e interessi privati a scapito della stragrande maggioranza della popolazione. Il problema non si riduce a una questione di redistribuzione delle risorse: ciò che è in discussione è la stessa nozione di sovranità, sempre più erosa da logiche che sfuggono al controllo democratico.

Gli interessi collettivi al centro

Se non vogliamo ridurci a semplici marionette nelle mani degli interessi geopolitici di Stati Uniti, Russia o Cina, il minimo spazio di autodeterminazione resta quello degli Stati nazionali, mentre la condizione essenziale per un’esistenza relativamente autonoma sul piano geopolitico è l’Europa, almeno nella sua configurazione originaria con i paesi fondatori. Sarebbe auspicabile un movimento capace di riportare al centro gli interessi collettivi, ristabilendo il primato dei valori etici e della sostenibilità nei processi produttivi, senza che questi ultimi siano subordinati, direttamente o indirettamente, alle multinazionali e alle tecno-oligarchie. Queste, oggi imprescindibili per lo sviluppo economico, esercitano un’influenza crescente sui governi, determinando scelte che andrebbero invece rimesse alla politica e al controllo democratico.

L’esempio africano

L’assetto attuale dovrebbe risultare intollerabile a chiunque possieda ancora le coordinate fondamentali del pensiero liberale e socialista. Da un lato il dominio dei monopoli e il sistematico controllo della nostra esistenza attraverso il digitale; dall’altro la concentrazione del potere economico in poche mani, con singoli individui più ricchi e influenti di interi Stati: una dinamica forse senza precedenti nella storia moderna. Si tratta di un sistema insostenibile per chi riconosce l’impatto devastante prodotto dall’attuale ordine finanziario ed economico e dalle nuove forme di colonialismo avanzato. L’Africa, oggi terra di conquista, ne è l’esempio più evidente, ma anche l’Europa subisce il ricatto di interessi geopolitici che le sono estranei. Basterebbe osservare il comportamento di alcuni leader e imprenditori globali per rendersi conto che le logiche dominanti sembrano sempre più tratte da un copione distopico piuttosto che da una visione politica consapevole.

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Europa, la culla della civilità

L’Europa è la culla della nostra civiltà, della democrazia e della scienza moderna, ma le sue radici culturali, comprese quelle cristiane, sono oggi minacciate da un pensiero che relativizza i valori per piegarli alla logica di un mercato globale dominato da pochi attori privati. L’impatto delle nuove tecnologie nei prossimi decenni sarà enorme: se resteranno nelle mani di soggetti privati – anziché essere governate da istituzioni pubbliche – assisteremo alla definitiva marginalizzazione della politica, sacrificata sull’altare di una presunta efficienza del mercato.

In questo senso, ciò che potrebbe sembrare una provocazione è in realtà un’affermazione necessaria: per poter esistere domani, dobbiamo riaffermare il ruolo della politica all’interno della democrazia liberale. Senza un vero e proprio movimento capace di restituire all’Europa la sua sovranità politica, saremo condannati, nel migliore dei casi, a una condizione di subalternità nei confronti della superpotenza di turno. Potremo forse scegliere il nostro padrone – Stati Uniti, Russia o Cina – ma la sostanza non cambierà. Nel peggiore dei casi, lo scenario è ancora più inquietante: la perdita definitiva della nostra capacità di autodeterminazione. E la schiavitù moderna ha molte forme, alcune così sfumate da non essere nemmeno riconosciute come tali. Ma, prendendo a prestito le parole di Lenin, “uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi già non è più schiavo, ma uomo libero”.





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