Andrea Rivera, vent’anni di satira ribelle fra strada e teatro


Mettere Andrea Rivera sul palcoscenico, fra le pareti di un teatro, sembra quasi un controsenso. Lui, infatti, è nato libero, come quei randagi che cerca nei canili per farne dei compagni di vita. Un artista ribelle, scanzonato, profondamente sincero nella sua indomabile irriverenza: chi non ricorda le battute al vetriolo durante il concerto del Primo Maggio 2007, quando accusò il Vaticano di aver concesso i funerali religiosi a Pinochet o a uno dei capi della banda della Magliana, ma non a Piergiorgio Welby?

Storie di strada

È cresciuto sfidando i temi più ostici, Andrea. E anche il pubblico più difficile. Quello che per anni ha cercato di conquistare, un po’ Pasquino, un po’ amabile chansonnier, con quel viso da eterno adolescente nei vicoli di Trastevere, fra i cuori della movida romana, aprendo la custodia della sua chitarra sui sampietrini per raccogliere le offerte.

Eppure, alla bella età di 54 anni (li compirà fra 20 giorni), nonostante la strada rimanga il suo ambiente elettivo, funziona alla grande questo suo Nonsense di me che il Teatro di Villa Lazzaroni (rivitalizzato un paio d’anni fa dalla direzione artistica di Giancarlo Sammartano nel segno del teatro militante), nel quartiere Appio di Roma, ha riproposto domenica scorsa come replica straordinaria dopo il triplice sold out di metà gennaio.

Andrea Rivera sul palco di “Nonsense di me”. Foto: Sapereambiente

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Andrea Rivera sul palco di “Nonsense di me”. Foto: Sapereambiente

Teatro zona franca

Funziona perché quel palco, fin troppo alto per uno abituato come lui al ground zero della street-art, diventa una vera e propria zona franca, uno spazio di libertà che si contrappone al mondo apparentemente trasgressivo ma in realtà edulcorato e omologato del piccolo schermo, che pure Rivera ha frequentato in preda al suo fatale destino da artista border-line che l’ha visto entrare e uscire più volte dai format di grido (a partire dai suoi interventi da “citofonista” nel Parla con me di Serena Dandini, su Rai Tre, nella prima decade del Duemila).

Satira in croce

Ecco allora che in questo lavoro, di sponda con Matteo D’Inca’ alle chitarre, racconta il percorso che ha compiuto in vent’anni di satira senza compromessi, quella satira anarchica e spietata che il mercato, in vena di generi più rassicuranti, oggi rifiuta e che lui celebra con un’immagine che la dice lunga, all’inizio dello spettacolo: quando si presenta in boxer come un Cristo di Caravaggio in croce al cospetto della platea (Ho risorto si intitola del resto un altro suo lavoro nel quale usa la stessa metafora).

Andrea Rivera insieme a PignAndrea Rivera insieme a Pign
Andrea Rivera insieme a Pigna. Foto: Facebook

Anima disobbediente

Ne consegue un viaggio a base di gustosi anagrammi d’ispirazione politica (dove Matteo Salvini diventa “L’invasato mite” o “comunista” si tramuta in “temo Stalin”), a conferma della sua vocazione per il calembour e l’illusionismo verbale, ironico e sempre allusivo. Poi le tappe di una carriera vivace e travagliata fra innamoramenti, rotture e cambi di rotta all’insegna della sua incrollabile disobbedienza. Quella che l’ha portato, dopo le parole sacrileghe di piazza San Giovanni, a diventare una delle colonne del Primo Maggio di Taranto, il concerto alternativo a quello dei confederati che coinvolge, senza i riflettori della Rai, decine di migliaia di giovani nella città simbolo dell’inquinamento industriale.

E ancora i suoi brani melodici e scanzonati che possono ferire e commuovere, nei quali il confine fra teatro e musica diventa sottile, con quell’andamento da menestrello, filosofo e poeta nel quale sembrano rivivere le diverse anime che si porta dentro: quelle di Giorgio Gaber e Gigi Proietti, Pino Quartullo, Rino Gaetano, Franco Battiato, Fabrizio De André, Stefano Rosso, fino all’indimenticabile e poliedrico Remo Remotti.

Oltre la biografia

Ma questo Nonsense di me, durante il quale l’artista dialoga con la voce fuori campo di Maurizio Fabretti, a suo tempo attore di Nanni Moretti e oggi apprezzato light designer, va oltre la dimensione autobiografica. Nella storia di Andrea Rivera se ne leggono molte altre, con tanti riferimenti alle ingiustizie del presente, dal dramma del popolo palestinese alla vertenza dell’Ilva: il brano dedicato a Lorenzo Zaratta, il bambino di Taranto morto nel 2014 a causa di una grave malattia correlata ai veleni dell’acciaieria, rimane come uno dei più significativi nella sua produzione.

Andrea Rivera al premio Fabrizio De AndréAndrea Rivera al premio Fabrizio De André
Andrea Rivera al premio Fabrizio De André. Foto: Facebook

La divergenza vi seppellirà

E alla fine, tra gli applausi di un pubblico che ride, riflette e e sta al gioco delle sue provocazioni, sulla scena arriva anche Grace, la cagnolina entrata nella sua vita dopo che Pigna, storica compagna di scorribande, è mancata nell’autunno scorso. A raccogliere anche lei l’affetto che suscita questo artista divergente, apparentemente aggressivo ma in realtà animato da una profonda sensibilità umana.

Uno che in fondo non ha bisogno del mainstream per farsi amare.

MieliziaMielizia



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