Giorni difficili per il Papa, ricoverato al Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale. In tanti guardiamo le finestre chiuse della sua stanza nell’ospedale romano, in attesa di un cenno, di poterlo rivedere, anche se da lontano. Seguiamo i bollettini quotidiani con gli alti e i bassi di una malattia complicata. Ma Francesco, anche se in condizioni difficili, continua a lavorare per quanto può, e rimane connesso con quanto sta accadendo in queste settimana. Le parole scritte per l’Angelus, lo testimoniano: “Da qui la guerra appare ancora più assurda. Preghiamo per la martoriate Ucraina, per Palestina, Israele, Myanmar, Sudan, Kivu”.
I conflitti sono contrari alla ragione: giudizio che Bergoglio aveva già reso chiaro in occasione dell’anniversario del centenario dell’inizio della Grande Guerra, utilizzando l’espressione di Benedetto XV, quando parlò di “inutile strage”, rivolto ai belligeranti di allora, nel tentativo di convincerli a deporre le armi e avviare dei negoziati. Parole che non bastano da sole a farci comprendere quale sia la posizione di Francesco rispetto alla guerra.
Spesso si cita, dimenticando altre dichiarazioni, l’intervista al Corriere della Sera, dove tra le possibili cause dell’invasione russa in Ucraina il Papa ha indicato “l’abbaiare della NATO alla porta della Russia” che avrebbe indotto Putin a reagire. È probabile che in quell’occasione volesse mantenere aperto un canale di comunicazione con Mosca, nella speranza di avviare delle trattative di pace, cosa che il Vaticano ha provato con insistenza a fare, senza successo. Bisogna però ricordare che il Segretario di Stato, cardinale Parolin, ha più volte confermato per la Chiesa il diritto alla legittima difesa armata contro un’aggressione violenta, in questa circostanza l’esercito russo che entra nel territorio ucraino. Francesco non ha mai smentito Parolin.
Qual è allora la posizione del Papa e della Chiesa di fronte alla guerra? Si può fare o no? Talvolta sì? E quando? È un male necessario? Da quel letto di ospedale il cuore di Francesco rimane ancorato al Vangelo, quindi beati gli operatori di pace. In un messaggio per la giornata mondiale della pace del 2017 incoraggiava i cristiani alla “non violenza attiva”, di rispondere al male con il bene, e citando come esempi Ghandi, Martin Luther King e altri. Questo è tratto nuovo per la Chiesa rispetto al passato, un passaggio ulteriore, rispetto alle posizioni dei precedenti pontefici, anche se come vedremo, proprio la guerra in Ucraina lo ha spinto ad attenuare questa posizione.
Prima di Francesco esisteva per la Chiesa – e in qualche misura esiste ancora – la guerra giusta, che si è iniziato a mettere in discussione da quando è stata ritenuta “inutile”, quindi senza alcun vantaggio, di conseguenza assolutamente irrazionale, disarmonica, stonata, in altre parole: “assurda”.
Il presupposto della “guerra giusta” è che di fronte alla violazione della giustizia nelle relazioni internazionali, i governi potevano ricorrere al conflitto per ripristinare il diritto violato, sempre che il bene perseguito superasse il male, inteso come ricorso alle armi.
I conti tra bene e male si azzerano però da quando gli eserciti possono fare ricorso alle armi di distruzione di massa (l’atomica o batteriologiche o chimiche). La moralizzazione della guerra diventa impossibile con ordigni che impattano indifferentemente sui civili; non solo, che possono distruggere qualsiasi forma di vita umana e l’ambiente in cui gli esseri umani vivono; e inoltre, come pensare il dopo, quale tipo di convivenza giusta? Per questa ragione, la Chiesa ha iniziato a mettere paletti sempre più stringenti alla guerra giusta (per esempio, l’egida dell’Onu).
Pare di capire che la non violenza ideale indicata da Bergoglio abbia vacillato di fronte alla guerra in Ucraina. Nell’intervista in aereo di ritorno dal Kazakistan, Papa Francesco è tornato a ritenere legittima l’autodifesa dall’aggressore e valuta come positivi valori come l’amore per la patria. La resistenza armata ucraina rientra in questo caso. A queste parole bisogna aggiungere la preoccupazione per una terza guerra mondiale (non solo una “terza guerra mondiale a pezzetti”). Di conseguenza la non violenza di Francesco deve dimostrarsi capace, spingendo i cristiani e tutti gli esseri umani ad uno sforzo creativo, di stabilire condizioni di giustizia. Non prendere le armi non può essere, da quanto il Papa ha finora detto sulla guerra, una resa all’ingiustizia.
I comportamenti non violenti restano la bussola per Francesco, devono però essere esercitati individualmente e collettivamente, con realismo. Per esempio, le formule politiche vuote, se si vuole la pace devono essere messe da parte. Gli interessi vanno messi in luce. Insomma la pace è uno stile di vita, è una pratica su cui ci misura tutti i giorni.
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