In Italia si è acceso il dibattito sul nucleare: venerdì scorso il consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per conferire una delega all’esecutivo su quello che è stato definito il «nuovo nucleare sostenibile», da allora i membri del governo hanno continuato a rilasciare interviste che mancano di descrivere che cosa renderebbe davvero diverso un ritorno all’atomo. Ieri il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin si è arrampicato su specchi molto inclinati cercando di spiegare il motivo per cui il provvedimento non sarebbe in contrasto con la volontà espressa dai cittadini di
cancellare il nucleare con due referendum nel 1987 e nel 2011. «Questa scelta, dopo un’analisi fatta anche con molti giuristi, non va a contrastare i referendum. Il ddl dice chiaro che non ci saranno più le grandi centrali. È un po’ come un referendum su un motociclo anni Trenta e poi una Ferrari di oggi». La Ferrari di cui parla, però, non c’è, come spiega Nicola Armaroli, dirigente di ricerca presso il Cnr: «Si continua a parlare di una tecnologia che non esiste. Questo fa sì, tra l’altro, che non si possa sapere quanto costano queste nuove centrali. E io mi chiedo qual è la base numerica di un business plan in base al quale questo governo dice che l’energia prodotta dalle centrali costerà meno. Sulle bollette non si può scherzare».
A febbraio è stato audito alla Camera: ha spiegato che le tecnologia su cui punta l’Italia non ci sono. Che cosa intende dire?
La prima azienda che stava sviluppando il nucleare modulare su piccola scala, NuScale, alla fine del 2023 ha annunciato che chiude il progetto. Si tratta di un’azienda Usa, la prima ad avere ottenuto l’autorizzazione a mettere sul mercato un reattore da 77 megawatt. Arrivati però al dunque, con l’impianto già venduto a un paio di aziende, ha dovuto ammettere che le stime promesse sui costi di produzione di energia elettrica erano errate, che il prezzo reale sarebbe stato ben più alto rispetto a quanto prospettato. In Francia, invece, Edf ha abbandonato il piano di realizzare quelli che si chiamano Smr, Small modular nuclear reactors. Questi sono i fatti. L’idea dei Smr non è nuova. Prima però occorre un prototipo credibile dai costi certi e poi fabbriche che lo producono in serie. Il governo dovrebbe essere più esplicito su questo dettaglio.
Grafici alla mano, nella sua audizione ha sfatato anche il mito di un presunto rinascimento nucleare. Qual è la realtà?
La curva dell’andamento degli impianti nucleari è ben nota. I tre decenni d’oro del nucleare sono stati quelli tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. Da quarant’anni le installazioni non aumentano. Gli Usa, paese che detiene la tecnologia, le risorse e i siti in cui realizzare nuove centrali, ha zero reattori in costruzione. Perché? Poniamoci la domanda.
C’è poi un altro limite, legato all’uranio, alla sua disponibilità e al suo prezzo, che è schizzato del 137% dal 2021.
L’Italia e l’Europa non dispongono di materia prima. Il più grande player del settore nucleare è Rosatom, una società di proprietà del governo russo, che dispone di una filiera integrale del nucleare. Contro di essa ci si è ben guardati da imporre sanzioni, anche perché questo avrebbe creato seri problemi a numerose centrali in tutto il mondo, alle quali fornisce ad esempio le barre di combustibile. Oggi i dominatori della tecnologia nucleare, che nelle economie di mercato ha fallito, sono Cina e Russia. Questa è la situazione. E non si capisce perché se sulle risorse e tecnologie russe e cinesi facciamo tanti distinguo, l’idea che dominino nella filiera nucleare passi sotto silenzio. Mi chiedo poi se è plausibile quello che propone il governo, ovvero che gli investimenti del programma italiano li faccia il privato. Non esiste un paese al mondo a economia di mercato dove il nucleare sta in piedi da solo. Quindi il decreto certifica che il nucleare non si farà. A meno che non si voglia aggirare l’ostacolo, considerando «private» le grandi aziende nazionali partecipate a maggioranza dallo Stato.
Quanti sarebbero i reattori in costruzione in Italia?
Decine di piccoli reattori, indicativamente tra 50 e 200, quindi molto diffusi lungo lo Stivale. Ho però l’impressione che il nucleare sia soprattutto un argomento politicamente comodo. Si dichiara di risolvere un problema (bollette alte). Tanto poi, coi tempi biblici in gioco, la patata bollente toccherà a qualcun altro.
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