La scorsa settimana ho partecipato ad un convegno nel quale relazionavano, tra gli altri, un rappresentante del Mimit e della locale unione degli industriali. Il tema era quello delle varie agevolazioni alle imprese. Non voglio dilungarmi troppo: è semplicemente per riportare il tema, e per segnalare che il pubblico era prevalentemente composto da imprese.
Il motivo per cui ne scrivo è perché è emerso che alcune di queste imprese hanno riferito delle loro remore ad effettuare certi investimenti tecnologici in quanto temono l’intervento dell’Agenzia delle Entrate. Non perché hanno – ovviamente – l’intenzione di alterare o frodare (il pubblico era di “alto livello”), ma perché (riporto): “quando arriva l’Agenzia c’è sempre, comunque, un alto di rischio di contestazione e che – magari – il credito venga considerato inesistente”.
Confesso che, pur avendo visto talune rettifiche sul tema dei crediti d’imposta “fondate sul nulla”, sentirmelo dire (il dirigente del Mimit non ha proferito parola), così, a bruciapelo, mi ha fatto un certo effetto. Specie pensando a quanto più critica sia diventata la situazione dopo gli interventi operati (in sede di attuazione) dalla riforma fiscale.
Oggi, sostanzialmente, il rischio è che qualsiasi contestazione porti all’inesistenza del credito. Infatti, la norma (articolo 13 del Dlgs 471/1997) rinvia alle definizioni contenute nell’articolo 1 del Dlgs 74/2000, il quale stabilisce che inesistente, oltre quello connotato da fraudolenza, risulta anche il credito per il quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo. È evidente che in questa nuova definizione sono suscettibili di confluire praticamente tutti i rilievi dell’ufficio. Si può comprendere – e lo si condivide – che inesistente risulti, a prescindere dalla fraudolenza, anche quel credito per il quale manca del tutto il presupposto oggettivo o soggettivo, ma stabilire che vi rientra anche quello per cui mancano “in parte” i predetti requisiti, significa far ricadere nel “baratro” dell’inesistenza qualsiasi contestazione.
Ma – dico – non si erano raggiunte delle conclusioni tutto sommato condivisibili, anche in seno alla giurisprudenza di legittimità (a parte qualche – solita, purtroppo – oscillazione della stessa)? In pratica, lo “spartiacque” era rappresentato dalla riscontrabilità o meno (prevista comunque dalla norma) attraverso i controlli automatizzati della dichiarazione. Si poteva così giungere alla soluzione (al di là delle oscillazioni giurisprudenziali di cui sopra) che l’inesistenza del credito era di fatto riferita alle ipotesi di simulazione o di utilizzo di documentazione falsa: in una parola, alle frodi.
Ora, invece, la solita “mano” del “legislatore erariale” ha confezionato un (indigeribile) “fritto misto” che non potrà che generare un significativo contenzioso, e da qui le preoccupazioni delle imprese. E nulla, crediamo, potrà fare il più volte annunciato (sul tema) atto di indirizzo del Mef: il problema è la norma e chi l’ha scritta.
A questo si aggiunge la davvero deprecabile previsione di interpretazione autentica (la mano è sempre la stessa) in base alla quale vengono esclusi dal contraddittorio preventivo gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta inesistenti (articolo 7-bis del Dl 39/2024).
Ma come? Proprio su una tematica così delicata e complessa, e in presenza di una norma così equivoca, si va ad escludere l’obbligo di interlocuzione preventiva? E poi, con una norma di interpretazione autentica.
Tra l’altro, bisognerebbe ricordare che l’interpretazione autentica, pur non risultando costituzionalizzata, deve essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale: non solo, quindi, per ovviare ad una situazione di grave incertezza normativa o a forti contrasti giurisprudenziali oppure per contrastare un orientamento giurisprudenziale sfavorevole (seppure nell’ambito della latitudine della norma interpretata).
Nel caso specifico (escludendo – considerata la novità – contrasti o orientamenti giurisprudenziali sfavorevoli) non vi sono minimamente profili di ragionevolezza né motivi di interesse generale che giustifichino la “patente” di norma di interpretazione autentica. Eppure…
Eppure è il solito delirio di onnipotenza del legislatore erariale, al quale oramai un po’ tutti si stanno (purtroppo) arrendendo.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link