può fare il libero professionista?

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Sono un dirigente medico dipendente Asl. Posso svolgere la libera professione presso una struttura privata e posso anche detenere partecipazioni azionarie di una società che agisca nel settore sanitario?

Partendo dallo svolgimento di attività libero professionale (a prescindere, quindi, dalla titolarità di  partecipazioni azionarie), la norma fondamentale di riferimento è l’articolo 4, comma 7, della legge 412 del 1991 secondo cui l’attività libero professionale dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale è compatibile con il rapporto unico d’impiego, purché espletato fuori dell’orario di lavoro all’interno delle strutture sanitarie o all’esterno delle stesse, con esclusione di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale (avvalendosi poi della facoltà concessa dall’articolo 15 quater, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, lei ha optato per la non esclusività del rapporto di lavoro che le consente lo svolgimento della libera professione in regime extramurario).

Lo svolgimento di attività libero professionale (a prescindere, ripeto, dalla titolarità di partecipazioni azionarie) anche in regime extramurario è pertanto sicuramente lecito:

  • previa comunque autorizzazione dell’Azienda (articolo 14, comma 2, del Codice di comportamento per il personale operante presso la Sua Asl di appartenenza, adottato con delibera n. 141 del 31 maggio 2018);
  • se non risulti in contrasto con le finalità e le attività istituzionali dell’Azienda e se sia organizzato in modo tale da garantire il prioritario svolgimento ed il rispetto dei volumi dell’attività istituzionale, nonché la funzionalità dei servizi (articolo 14, comma 2, del Codice sopra richiamato);
  • dovendo comunque il dipendente che svolga attività libero professionale tenere rigorosamente separate quest’ultima dalla attività istituzionale e non dovendo ritardare, intralciare o condizionare l’attività istituzionale con particolare riferimento allo sviamento dei pazienti verso l’attività libero professionale propria o altrui (articolo 14, comma 3, del Codice sopra richiamato).

Detto questo, occorre aggiungere, per completare il quadro delle norme relative allo svolgimento dell’attività libero professionale extramuraria, che l’articolo 1, comma 5, della legge n. 662 del 1996 ha chiarito che l’attività libero professionale da parte dei soggetti che hanno optato per la libera professione extramuraria non può comunque essere svolta presso le strutture sanitarie pubbliche, diverse da quelle di appartenenza o presso le strutture sanitarie private accreditate anche parzialmente.

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Pertanto, anche se Lei decidesse di non detenere alcuna quota della costituenda società presso cui intende in futuro svolgere la Sua attività libero professionale extramuraria, non Le sarà comunque lecito svolgere tale attività qualora detta struttura privata fosse convenzionata anche parzialmente con il Servizio sanitario nazionale.

Si aggiunga che è orientamento giurisprudenziale consolidato (vedasi sentenze della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 9.881 del 1988 e del Consiglio di Stato n. 4463 del 2004 e n. 7052 del 2018) che suddetto divieto fissato dalla legge debba essere interpretato in senso alquanto ampio estendendolo anche al caso in cui il medico che svolge attività libero professionale extra moenia in una struttura parzialmente convenzionata la eserciti in una disciplina diversa da quella convenzionata ed in un’unità operativa non accreditata.

Questi sono dunque i limiti e le regole da tenere in considerazione per l’espletamento di attività libero professionale extramuraria.

Per quanto attiene invece alla titolarità di quote di partecipazione azionaria nella costituenda società, la Corte di Cassazione (sentenza n. 31.277 del 2019) nel fare applicazione dell’articolo 4, comma 7, della legge n. 412 del 1991 (legge fatta salva espressamente dall’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001) ha interpretato, per come verrà esplicato appresso, la causa di incompatibilità di cui alle lettera d) del citato articolo e cioè la titolarità o compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con il servizio sanitario nazionale.

La Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione di questa causa di incompatibilità stabilendo che:

  • in un eventuale giudizio tocca al dipendente dimostrare che la titolarità di quote societarie di un’impresa non lo ponga in conflitto di interesse con la Asl di appartenenza e ciò avendo come parametro di valutazione l’oggetto sociale della società qualora esso mostri chiaramente la possibile esistenza di tale conflitto; nel caso di specie la società di cui il dipendente deteneva quote di maggioranza aveva ad oggetto sociale lo svolgimento di servizi accessori all’attività medica attraverso la creazione di centri medici, laboratori di analisi e di ricerca, gabinetti di radiologia e fisioterapia ecc. e la Corte di Cassazione ne concluse per la sussistenza del conflitto di interessi e, quindi, per l’esistenza della invocata causa di incompatibilità.

Occorre anche aggiungere che il discorso non muta qualora la quota di partecipazione detenuta non sia una quota di maggioranza e ciò sia perché la legge non richiede che per la sussistenza del conflitto di interessi sia dirimente l’entità della quota posseduta, sia perché in altro caso (Cassazione sentenza n. 34.915 del 2021) il conflitto di interessi e la connessa causa di incompatibilità furono riconosciuti sussistenti anche per una quota di azioni non maggioritaria.

Nemmeno rileva che si ricopra o no un ruolo dirigenziale: è sufficiente la detenzione di quote societarie in società che sia in conflitto di interesse con il servizio sanitario nazionale perché scatti l’incompatibilità stabilita dalla norma.

Valga inoltre l’articolo 4 del Codice di comportamento per il personale operante presso la Sua Asl che fa obbligo non solo di evitare situazioni di conflitto, ma anche di aggiornare annualmente una dichiarazione circa rapporti, a qualsiasi titolo intrattenuti con soggetti esterni, da cui possano derivare situazione di conflitto di interesse e l’articolo 12, c3 dello stesso Codice (norma dettata per i dirigenti) che fa obbligo al comma 3 di comunicare le partecipazioni azionarie che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge.

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Le disposizioni citate e soprattutto le sentenze della Suprema Corte di Cassazione indicate escludono la liceità per il dipendente di detenere quote in società che svolgano attività (desumibile dall’oggetto sociale indicato nell’atto costitutivo) che determinino un contrasto e conflitto di interessi con l’attività istituzionale della azienda di appartenenza.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte



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