Matrimonio e diaconato, quel duplice ministero e la fatica di condividere

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I diaconi permanenti e le mogli passano la Porta Santa in San Pietro – Foto Siciliani

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Oltre seimila i diaconi permanenti domenica 23 febbraio a San Pietro per il Giubileo della speranza, con una larghissima rappresentanza dei 4.800 diaconi italiani che hanno attraversato la Porta Santa insieme alle rispettive mogli. Un’immagine significativa, che ribadisce la caratteristica di questo apostolato, tanto importante per la vita della comunità, fondato su un sacramento che va a “coabitare” con quello del matrimonio in una dimensione di difficile equilibrio. La realtà del diacono permanente, la cui vita ecclesiale va ad innestarsi su quella coniugale e familiare, attende ancora di ricevere dalla teologia, quella nuziale soprattutto, approfondimenti capaci di fare chiarezza in relazione alla partecipazione delle mogli alla missione del marito. È una questione che non riguarda soltanto i diaconi, ma l’intera comunità, oltre ad offrire spunti di riflessioni sul matrimonio. Ecco perché, a distanza di una settimana dalla giornata giubilare, ci è sembrato giusto tornare sul tema. Lo facciamo pubblicando uno stralcio del libro scritto da Enzo Petrolino, presidente della Comunità del diaconato in Italia, Matrimonio, diaconato e famiglia (Effatà). Il capitolo scelto è proprio quello dedicato alle mogli. Al rapporto coniugale i diaconi stanno anche dedicando il loro ciclo di incontri di formazione – “Affettività e sessualità nella coppia” – tenuti dalla biblista Rosanna Virgili (info su https://www.comunitadiaconato. com).

Nella trasformazione del marito con l’ordinazione, come diventa la sposa? Certamente c’è un dato da considerare che possiamo chiamare il «paradosso del matrimonio ». L’unione coniugale non può esistere se ciascuno sposo rimane sé stesso. Col sacramento del matrimonio Dio vuole il fiorire delle personalità – quella dello sposo e quella della sposa – in ciò che esse hanno di maschile e di femminile e in ciò che realizza ciascuna delle due. E tuttavia, gli sposi non formano che una sola carne: l’unione più intima. Questa unione compie la sua opera facendo in modo che ciascuno dei «congiunti» si realizzi nella sua personalità per mezzo dell’altro e con l’altro. Ciascuno conserva la sua personalità, ma si dispiega grazie all’altro/a e in armonia con lui/lei. Ma le altre domande sono: uno degli sposi può essere segnato da un sacramento senza che l’altro lo sia? Chi è segnato dall’ordinazione del marito? La sua persona? La mutua relazione tra gli sposi? Di fatto, ci si domanda, chi è realmente ordinato? Il marito o la coppia? Cerchiamo di fare chiarezza. Il battesimo, come l’ordinazione, è un sacramento che raggiunge la persona in tutte le sue dimensioni e non è iterabile. La penitenza è un sacramento personale. Ciascuno dice a Dio come ha personalmente mancato verso di Lui, confessando i suoi peccati personali. Non è la coppia che si confessa.

Tuttavia, se colui che riceve il sacramento di penitenza si converte, la sua vita ne risulterà cambiata e ciò non sarà senza conseguenze nella vita coniugale. Frequentemente gli sposi hanno una pratica eucaristica differente e succede che l’uno dei due la modifichi. La vita eucaristica di ogni coniuge, infatti, segna l’insieme della vita della coppia. L’ordinazione pone gli stessi problemi. È uno degli sposi che viene ordinato, e non la coppia: eppure l’ordinazione riguarda la coppia nella sua globalità. Uomo e donna sono collocati diversamente in rapporto al diaconato, poiché l’ordinazione dello sposo non cambia lo statuto personale della sposa nell’ambito del popolo di Dio; tuttavia, nell’unità coniugale, la sposa porta con il suo sposo le responsabilità, sulla vita familiare, del cambiamento dello status ecclesiale del marito. Occorre tenerne conto. Si tratta di fatto di un delicato intreccio che “può aprirsi (venire aperto dalla grazia) a una vocazione diaconale, così che, senza confusioni prive di senso, la moglie del diacono risulti non semplice spettatrice né semplice beneficiaria, nella Chiesa, della vocazione del marito, senza peraltro essere in qualche modo investita dall’ordinazione di lui. In forza dell’ordine, di fronte alla Chiesa come suo ministro non sta la coppia di coniugi ma il diacono sposato. Però, se lo è: cioè come uno la cui vocazione ministeriale ha preso forma entro il quadro e in armonia con la storia della sua vocazione matrimoniale e familiare” ( T.Citrini, Ministero ordinato e vocazione matrimoniale).

Anche le ripercussioni dell’ordinazione sulla vita coniugale possono essere percepite in modi differenti. Possono essere, ad esempio, avvertite come l’apparire di una concorrenza tra vocazione personale o coniugale e vocazione al servizio della Chiesa. Gli sposi (o uno di essi) possono avere l’impressione che il diacono, obbedendo alla missione affidatagli dal vescovo, perda la sua libertà e che la sposa perda il marito: molte spose, quando si presenta l’eventualità di un’ordinazione, vivono in ansia perché tale situazione viene a squilibrare l’andamento familiare, come uno sradicamento del loro sposo dalla famiglia, senza che ci sia un posto nuovo della sposa nella Chiesa, che la collochi in rapporto al diaconato dello sposo. Certe mancanze di attenzione, poi, rafforzano tali paure. All’inverso, queste ripercussioni possono essere viste in senso positivo perché se l’ordinazione è la risposta a una chiamata di Dio non sono un problema ma una nuova offerta alla dilatazione della vocazione coniugale. Nella fede, gli sposi, in una situazione nuova, scorgono come i carismi loro propri, di ordinato e di battezzata, possono essere messi al servizio dell’unità della famiglia e della Chiesa (cfr. 1Cor 12).

Appare allora che, come non esistono due coppie uguali, allo stesso modo non c’è un modello unico di convivenza per il diacono e la sua sposa: ciascuna coppia deve trovare la sua missione e il suo equilibrio nel piano di Dio. Questa ricerca, in una costante scoperta, è un’azione libera nella grazia, che prende in considerazione gli elementi che influiscono positivamente gli uni sugli altri. Si tratta di mettere in gioco lo stile personale di ciascuno degli sposi, ovvero la vocazione particolare del marito all’interno del sacramento dell’ordine. Rimane, per la sposa, il problema di «come» collocarsi rispetto all’ordinazione del proprio marito. In primo luogo il cammino verso il diaconato, come quello verso ogni sacramento, suppone una conversione. Ora, la conversione dona una nuova immagine di sé e di Dio, e le relazioni nella coppia sono modificate, ponendo la necessità di costruire una stabilità familiare nuova che rispetti le esigenze di ciascuno. Una tale situazione comporta normalmente un radicale cambiamento, un cammino verso una comunione più grande, con le sue tensioni. Secondariamente va considerata la differenza di statuto tra sposi. Quando il vescovo domanda alla sposa se accetta l’ordinazione del marito e le sue conseguenze nella vita familiare, la moglie intende spesso il sì che dice come un nuovo sì coniugale al suo sposo. Certamente non è questo il senso del consenso che pronuncia: si tratta di una risposta non al marito, ma al vescovo, con la quale ella gli dice pubblicamente che accetta che il Cristo chiama alla sequela il marito per farne un diacono. Vi è dunque, da parte sua, un certo dono del marito a Cristo, per il servizio della Chiesa. L’esperienza ci dice che il Cristo dona alla vita coniugale e familiare dei diaconi una comunione coniugale più grande, e più profonda; ma questa comincia irrinunciabilmente come offerta di sé. Il nuovo posto della sposa nella Chiesa lo troveranno gradualmente, sotto forme svariate, poiché, unita dal sacramento del matrimonio al proprio marito, la moglie porta con lui qualcosa della visibilità pubblica del diaconato: è sposa del diacono (…)

Pertanto, nel momento in cui l’ordinazione del marito conduce a ripensare la vita del contesto coniugale occorre evitare un’illusione: e cioè il far ricadere sull’ordinazione certe difficoltà coniugali non dovute all’ordinazione, ma che la situazione nuova può mettere in evidenza. Per esempio, se vi è poco dialogo nell’andamento familiare, la prospettiva di un’ordinazione e i primi tempi dopo di essa non possono che mettere in evidenza questa difficoltà relazionale. Forse gli scambi indispensabili a questo momento della vita saranno un’occasione per superare tale difficoltà; l’esperienza mostra che sovente è questo che si verifica, ma non sarà certo l’ordinazione a risolverlo. Inversamente, se nella coppia del diacono sopraggiungono delle difficoltà, queste dovranno essere trattate serenamente: la salvezza del matrimonio resta primaria, ma i contrasti andranno regolati all’interno della missione ricevuta dal marito, poiché il matrimonio egli lo vive con il sacramento del diaconato. Accade così sia quando la sposa si mantiene indipendente rispetto al ministero del marito sia quando vi collabora in un modo o in un altro. Ma quali mezzi sono offerti alla sposa per collocarsi correttamente? Possono essere necessarie e oltremodo utili alcune riunioni delle spose tra loro, per trattare insieme i problemi comuni. Ma di fatto ciò che occorre trattare è il problema della coppia.

È per questo che, nella pratica attuale, viene proposto alle spose dei diaconi di partecipare con i loro mariti alle riunioni e ai ritiri organizzati sia per i candidati al diaconato sia, in seguito, per i diaconi. Ricevendo insieme le informazioni su ciò che è il diaconato e i mezzi spirituali che rendono capaci di una decisione libera e ragionevole, gli sposi potranno avere una crescita comune e saranno anche meglio disposti a decidere insieme. D’altra parte, spesso, queste riunioni sono per le spose l’occasione di far prendere coscienza ai mariti di questioni che non percepiscono. Sono anche un mezzo per liberarle dalla paura e dalle ansie relative al pensiero che la famiglia non potrà sopportare il diaconato. Pertanto, anche le spose, come i loro mariti, devono affrontare un combattimento spirituale per essere disponibili alla volontà di Dio, sia che nel Suo disegno sullo sposo vi sia o meno l’ordinazione diaconale. È altresì consigliabile la presenza di un accompagnatore spirituale, per oggettivare i sentimenti interiori e disporre alla decisione (…).

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