la parità è raggiunta solo ai Giochi

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Uno studio dell’Osservatorio di Pavia segnala buoni risultati sul racconto del ruolo delle donne alle Olimpiadi di Parigi, ma l’UNESCO riferisce che nel quadriennio le news di sport femminile sono state il 4%. Lungo corso Vittorio Emanuele II a Milano, venti scatti del fotografo Gerald Bruneau ritraggono campionesse che hanno a cuore la causa femminile nello sport

La leggenda narra che fu lei a voler correre nonostante il divieto. La cronaca dice invece che la prima discriminazione ufficiale nella storia dello sport femminile si consumò con l’aggravante dell’inganno. Era il 1896 e il neonato olimpismo rappresentava un affare per soli uomini. Stamata Revithi, giovane greca abituata alle fatiche della vita, non lo sapeva e lei la maratona dei Giochi olimpici la voleva proprio correre nella speranza di guadagnarsi un’opportunità per il futuro e riscattare le sorti dell’altra metà dell’umanità.

Si presentò al via e la derisero, dissero che non ce l’avrebbe mai fatta e quando poi le spiegarono che, comunque, il regolamento vietava la partecipazione alle donne in qualsiasi disciplina, protestò sdraiandosi sulla linea e impedendo la partenza. Per convincerla ad alzarsi le promisero che il giorno seguente avrebbe potuto correre da sola ma con la misurazione ufficiale del tempo. All’indomani i giudici diedero il “via” a Stamata che fece la sua corsa però, arrivata allo stadio Panathinaiko dove avrebbe dovuto percorrere l’ultimo chilometro, lo trovò chiuso: ad aspettarla non c’era nessuno.

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La redenzione del CIO

Ci sono voluti 128 anni perché il CIO espiasse questo peccato originario e si arrivasse ai Giochi della perfetta parità nella partecipazione di atleti e atlete. Un contingentamento tagliato in modo un po’ chirurgico ma simbolicamente necessario, ottenuto con un sofisticato regolamento di qualificazione incrociando discipline e continenti: non gentile concessione dall’alto ma conquista frutto della caparbietà di cinque generazioni di donne.

C’è stato bisogno della sfida vincente lanciata da Alice Milliat a De Coubertin; del Giro d’Italia di Alfonsina Strada concluso tra pregiudizi e offese più duri di Gavia e Mortirolo; dell’oro di Ondina Valla vinto nella Berlino nazista; del travestimento di Bobbi Gibb alla maratona di Boston; dell’avanguardia delicata e determinata di BJ King, di Megan Rapinoe, ambasciatrice di giustizia. Ha dovuto attraversare i secoli dribblando le insidie del patriarcato ma, alla fine, la lunga staffetta di pioniere, atlete, campionesse, attiviste, ce l’ha fatta: il testimone della dignità, il riscatto in memoria di Stamata e le sue eredi ha tagliato il traguardo dei Giochi di Parigi 2024. Lo sport ha dunque chiuso il suo gender gap?

I venti ritratti di Bruneau

Passeggiando per le vie di Milano, sembrerebbe proprio di no. Lungo corso Vittorio Emanuele II, fanno bella mostra di sé 20 scatti del famoso fotografo Gerald Bruneau, ritratti di donne, italiane, che oggi, dentro o fuori il campo di gara, portano avanti la causa femminile nello sport. L’esposizione realizzata da Fondazione Bracco, nasce nell’ambito del progetto “100 donne contro gli stereotipi” (#100esperte) ideato dall’Osservatorio di Pavia (Istituto di ricerca indipendente specializzato nell’analisi dei media) con l’associazione G.I.U.L.I.A. (GIornaliste Unite LIbere Autonome) e il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.

Il progetto #100 esperte è una banca dati online con i nomi di professioniste e accademiche che in vari ambiti, dalla Scienza alla Politica internazionale allo Sport appunto, promuove la visibilità della competenza delle donne al fine di colmare il divario di genere. È questo dunque il contesto in cui, col patrocinio del Comune di Milano, è nata la mostra fotografica chiamata Una vita per lo sport. Volti e conquiste delle 100 esperte. Un’iniziativa che rientra nell’ambito dell’Olimpiade culturale Milano-Cortina 2026, un programma di eventi e appuntamenti artistici e culturali attraverso cui animare la discussione sullo sport in attesa dei Giochi olimpici invernali, al via il prossimo 6 febbraio 2026.

Le donne a Parigi

Durante la presentazione della mostra fotografica, tenutasi a Palazzo Marino lo scorso 19 febbraio, sono stati presentati i risultati di uno studio condotto dall’Osservatorio di Pavia su come i media hanno raccontato il ruolo delle donne ai recenti Giochi di Parigi. La ricerca promossa dal CIO e Fondazione Bracco dal titolo: ”La copertura mediale delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Parigi 2024 analizzata da una prospettiva di genere” ha indagato come sono state rappresentate le atlete, quali sono stati gli effetti di stereotipi o pregiudizi rispetto a contenuti, immagini e parole dei principali TG nazionali in fascia prime time.

I Giochi olimpici si sono confermati i Giochi della parità anche in relazione alla copertura mediatica e alla qualità della narrazione nei 7 TG presi in considerazione. Le notizie hanno registrato per il 93% l’uso di un linguaggio non sessista e per il 96% sono state corredate da immagini inclusive ovvero immagini che mostrano sia donne sia uomini, di diverse età e aspetto fisico. Atlete e atleti hanno avuto pressoché uguale visibilità (49% vs 51%) e le donne sono state intervistate più degli uomini (59% vs 41%): dati che parlano di parità anche se le donne hanno vinto trequarti delle medaglie d’oro della spedizione azzurra (9 su 12). Dove permane un’evidente criticità è il coinvolgimento di voci autorevoli: gli uomini sono stati interpellati molto più delle donne in qualità di esperti e commentatori (74% vs 26%), come portavoce (67% vs 33%) e nel ruolo di rappresentanti dell’opinione popolare (59% vs 41%).

La Paralimpiadi

Relativamente alle Paralimpiadi lo studio ha evidenziato una copertura molto più limitata (11%) rispetto alle Olimpiadi (54 notizie vs 472). Nonostante le atlete rappresentassero il 49,3% della nazionale paralimpica e abbiano vinto il 40,8% delle medaglie, le discipline sportive femminili hanno avuto una copertura significativamente inferiore a quelle maschili o miste e le atlete hanno avuto minore visibilità rispetto agli atleti, anche nelle interviste. L’unico valore apparentemente positivo, ovvero un ampio coinvolgimento delle giornaliste (57% vs il 43% dei colleghi maschi) in realtà si può leggere come una tendenza ad affidare alle professioniste dell’informazione tematiche ritenute tutto sommato poco rilevanti, data la scarsa copertura dei Giochi paralimpici.

Nonostante la soddisfazione per i passi in avanti compiuti è evidente la lunga strada ancora da percorrere. Questo studio ha preso in esame il periodo specifico degli eventi olimpico e paralimpico ma molto diversi, in negativo, sarebbero i risultati per gli stessi aspetti analizzati nel lasso di tempo quadriennale che separa le manifestazioni. L’ultima ricerca UNESCO riporta un 4% di news di sport femminile con altissime percentuali di contenuti sessisti. Al di fuori della (quasi) felice isola olimpica dunque le cose non vanno benissimo.

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Inoltre va ricordato che l’immagine ovvero la rappresentazione (portrayal) è solo uno dei cinque pilastri su cui si basano le linee guida del CIO “Gender equality and inclusion” a cui la ricerca fa riferimento. Gli altri quattro sono: partecipazione, leadership, sport sicuro, supporto economico. Se dalla prospettiva della partecipazione e dell’immagine si registrano sviluppi, dalle altre il percorso appare ancora estremamente ricco di ostacoli. Talvolta prevale la sensazione che ci sia stato un “via” ufficiale ma che poi il viale d’arrivo sia sbarrato, come quell’ingresso al Panathinaiko che impedì a Stamata di tagliare il traguardo.

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