Comitato Nazionale Psicologi contro legge suicidio assistito/ “Aiutare a morire trasgredisce la nostra etica”

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Dopo che la Toscana è diventata la prima regione con una legge sul suicidio assistito, il Comitato Nazionale Psicologi è intervenuto con un comunicato e un’intervista di un suo membro, la dottoressa Clara Emanuela Curtotti, per mettere in guardia dal rischio di un cambiamento del ruolo degli psicologi e dalle potenziali derive.



Pur non entrando nel merito del tema in sé, si ribadisce la posizione a favore del diritto di ognuno persona di prendere una decisione libera secondo coscienza. Il paradosso è che ognuno ha il diritto di scegliere secondo coscienza, ma la legge sul suicidio assistito lo smentisce, anche perché senza investimenti in assistenza, cure palliative e, più generalmente, nella sanità pubblica, il fine vita rischia di diventare una scelta obbligata, trasformando il diritto di morire in dovere.

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Oltre a segnalare la velocità con cui è stata approvata la legge che rende il suicidio assistito a carico dello Stato, mentre ci sono difficoltà a erogare quelle prestazioni e cure che potrebbero migliorare la qualità della vita dei malati e di chi li assiste, gli psicologi evidenziano come alla fine si finisca per seguire il solito schema: proporre una soluzione ritenuta abitualmente inaccettabile, per ‘normalizzarla’ e renderla accettabile, visto che viene presentata come l’unica possibile.

Ma per il Comitato Nazionale Psicologi la priorità è rendere più efficiente e umana la sanità, anziché “burocratizzare e statalizzare la morte consegnandola ai mercanti di malattia“. Il comunicato riporta il sospetto che ci siano altri obiettivi dietro queste decisioni. A tal proposito, viene citato il caso del Canada, dove il suicidio assistito rappresenta il 4,7% di tutti i decessi, per cui uno su 20 ricorre a questa morte.



IL COMITATO NAZIONALE PSICOLOGI ALL’ATTACCO

Dal canto loro, gli psicologi si interrogano anche sulle implicazioni per la loro attività. Ad esempio, chiedono provocatoriamente se si ritroveranno a dover far superare un’eventuale “esitazione suicidaria“. Chi pensa che sia uno scenario irrealistico si sbaglia per EDSU, “dopo quello che abbiamo visto realizzarsi in tempi recenti, in cui scelte non omologate venivano psichiatrizzate“. Per gli psicologi è in atto un tentativo di fermare il ciclo nascita-vita-morte, che però attribuisce “senso e sacralità alla intera esistenza“.

Per gli psicologi, il fine vita non va ‘risolto’ con un disimpegno morale, perché “la morte è un processo che merita la nostra piena assunzione di responsabilità“. Dal canto suo, la psicologia ha un dovere etico, quello di interrogarsi su questo “malessere odierno, nato dalla follia istituzionale che investe più nella cultura della morte che della vita“. Gli psicologi, dunque, scendono in campo contro una cultura che “svilisce sia la vita che la morte“, prendendone le distanze, visto che è “ostile all’essenza stessa della nostra umanità“.

GLI STUDI SULLE CURE PALLIATIVE

Il tema è stato approfondito dalla psicologa e psicoterapeuta Clara Emanuela Curtotti, membro del Comitato Nazionale Psicologi, che a QuotidianoWeb ha spiegato, ad esempio, che “lo Stato ci espropria del nostro diritto alla morte ed anche alla vita“. Ciò accade parlando di libertà, autonomia e fine della sofferenza, ma paradossalmente accade il contrario per l’esperta, che cita anche dati e studi che lo dimostrano.

Si è visto attraverso una peer review anche postata dall’Istituto Veronesi, che se si forniscono cure palliative per la sofferenza e il dolore, le persone non scelgono di morire, perché il problema si pone quando la sofferenza arriva a livelli tali che non si riesce a reggerla né fisicamente né psicologicamente“.

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LA LOGICA DELLA CULTURA DELLA MORTE

Quindi, il suicidio assistito è un modo per mettere fine a questa sofferenza. Curtotti ha parlato di dati che supportano la tesi di malati che preferiscono continuare a vivere, pur nella loro condizione difficile, se le cure palliative alleviano la loro sofferenza. “Se poi si investisse ancora di più in cure palliative evidentemente si troverebbero sempre più, affinerebbe sempre più questa cura del dolore“, ha aggiunto la psicologa.

Si spiega anche così la conclusione del Comitato Nazionale Psicologi, secondo cui con la legge sul suicidio assistito si implementa “una precisa logica della cultura della morte, più che della vita“. Questa cultura della morte, però, rischia di toglierci vita, autonomia, libertà e decisionali, “vampirizzare soprattutto l’energia dei ragazzi, dei giovani, dei bambini“, che sono soggetti “alla manipolazione mentale“, ha aggiunto Curtotti. Ritiene poi ci sia il rischio di una deriva sociale per arrivare a eliminare una serie di categorie sociali.

PSICOLOGI CHIAMATI ALLA “RESISTENZA”?

Il timore del Comitato Nazionale Psicologi è di ritrovarsi a dover aiutare le persone a suicidarsi, anziché fare l’opposto. “Abbiamo avuto un assaggio in pandemia, quando gli psicologi sono comparsi accanto agli altri sanitari come figure che aiutavano a superare l’esitazione vaccinale“, ha dichiarato Clara Emanuela Curtotti a QuotidianoWeb.

Cosa dovremmo fare noi, aiutare le persone a superare l’esitazione suicidaria? Niente di più avverso e contrario all’etica della nostra professione“, ha tuonato la psicologa, ribadendo che la mission fondativa della psicologia è “aiutare le persone a pensare, ad accettare la vita anche col dolore, con la morte e con tutto ciò che ha senso, non è vero che non ha senso, è fondante dell’identità umana“.

Quindi, ha lanciato una domanda che appare come una sfida per lei e i suoi colleghi: “La psicologia può fare molto, intanto deve resistere, intanto deve sciogliere un dilemma morale di fondo, vuole stare col potere o vuole mantenere la propria identità?“. La conclusione che trae Curtotti è che il profitto sia la “molla” che regge questo sistema. “Investire sulla salute, anziché entrare nell’emergenza, nel problema già conclamato, produce una riduzione del budget del Sistema Sanitario Nazionale“.





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