Lo scontro alla Casa Bianca: siamo attoniti, non indifferenti

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Trump e Zelensky nella Sala Ovale – Copyright (c) 2025 Shutterstock. No use without permission. / ipa-agency.net / Fotogramma

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Il comico Maurizio Crozza potrebbe essere in crisi. Non perché gli manchino talento o idee, ma perché la realtà ha superato la satira. Oggi, per far ridere il pubblico, dovrebbe semplicemente citare i titoli dei giornali o ripetere, parola per parola, le dichiarazioni dei leader politici.

È un paradosso: mentre la politica un tempo si nascondeva dietro la retorica, oggi espone il suo lato grottesco con un candore che spiazza. E così Crozza, che per anni ha strappato il velo dell’ipocrisia con il bisturi dell’ironia, si trova davanti a una realtà che quel velo se l’è già strappato da sola, mostrando al mondo il volto nudo, e spesso tragicamente comico, del potere.

Siamo precipitati in un tempo in cui la realtà sembra aver saccheggiato i copioni della satira. Ogni giorno ascoltiamo parole e vediamo gesti che un tempo avremmo collocato tra le pagine del grottesco o nei fotogrammi di un film di fantascienza. È come se la politica internazionale avesse scippato i testi ai comici, lasciandoci attoniti, sospesi tra incredulità e smarrimento. Quanto successo venerdì alla Casa Bianca con lo scontro in diretta tv tra il presidente statunitense Donald Trump (e il suo vice Vance) e il presidente ucraino Zelensky ne è una drammatica testimonianza.

Si dice, per cercare un lato positivo, che almeno la comunicazione politica si è levata la maschera dell’ipocrisia. Finalmente, ci raccontano, viviamo in un’era di parole chiare e dirette, dove il politichese ha lasciato il posto a un linguaggio più sincero e spoglio di eufemismi diplomatici. Niente più giri di parole, niente più finzioni: ora si parla senza filtri, con la schiettezza che – sulla carta – dovrebbe avvicinare i cittadini alla verità.

Ma è davvero così? La questione è che le elezioni sono finite. Quel tempo eccezionale, in cui la caccia al voto giustificava l’esasperazione del linguaggio, si è concluso. Durante la campagna elettorale, una sorta di patto tacito permette di giocare al rialzo: metafore improbabili, promesse spaziali, affermazioni iperboliche. Tutto è concesso, o quasi. È la stagione della propaganda, in cui il comizio diventa un teatro e il leader un attore che recita per ottenere l’applauso. Ma ora siamo oltre. Non si tratta più di slogan per strappare consensi ma delle parole di chi governa, di chi ha il potere di trasformare quelle frasi in azioni concrete. E, coerentemente a quelle parole, agisce.

Ed ecco che lo sbalordimento ci avvolge. Non è indifferenza, tutt’altro. È uno stupore che ci lascia senza fiato, come quando si osserva qualcosa di surreale. Ma non è uno spettacolo, è la realtà. La realtà in cui decisioni internazionali, scelte economiche, visioni del futuro vengono esposte con un linguaggio che, fino a ieri, avremmo derubricato alla satira più estrema.
Se un comico pronuncia una battuta grottesca, sappiamo che è una finzione, una lente deformante per ridere o riflettere. Ma quando le stesse parole escono dalla bocca di un capo di Stato o di un ministro, l’effetto non è più il riso: è la paralisi. Tutta la satira, potrebbe trovarsi in crisi perché la realtà ha bruciato le tappe, ha superato la caricatura. Non c’è più bisogno di estremizzare: basta citare il reale.

Ma c’è di più. A rendere ancora più cupo lo scenario è il crescente fanatismo che serpeggia tra le opinioni pubbliche, alimentato da questi copioni. Non si tratta più solo del fanatismo ideologico, quello legato a bandiere o religioni, ma di un nuovo fanatismo della parola, dell’immagine, della narrazione. Un fanatismo che trasforma ogni opinione in dogma, che non ammette dubbi né sfumature, che pretende adesione totale o esclude, condanna, demonizza.

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Questo fanatismo cammina a braccetto con l’estremismo, che non si limita anch’esso alla sfera ideologica ma invade il linguaggio, le immagini, le promesse e persino l’agire politico. Ogni dichiarazione è urlata, ogni immagine è costruita per scioccare, ogni promessa è assoluta e irrealizzabile, ogni gesto politico è pensato per dividere, non per unire. L’estremismo agisce come un amplificatore che distorce la realtà, trasformando il dibattito pubblico in un’arena dove vince chi alza di più la voce, chi propone la soluzione più drastica, chi traccia il confine più netto tra “noi” e “loro”.

Ogni frase diventa una trincea, ogni gesto un confine invalicabile. E mentre le posizioni si irrigidiscono, la realtà si piega, distorta, per adattarsi alla narrativa di turno. I fatti smettono di esistere in quanto tali e diventano proiettili retorici, armi da scagliare contro il nemico di turno.

È quindi fondamentale non confondere il tempo della latenza con il tempo dell’indifferenza. La latenza è un’attesa feconda, gravida di possibilità, è il movimento nascosto delle radici sotto la terra gelata. Quando siamo attoniti, non siamo immobili: stiamo elaborando, digerendo, preparando una risposta. È il silenzio carico che precede una nuova parola, il buio denso che anticipa l’alba. “Adda passà ‘a nuttata”.





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