Il Regolamento CBAM ed il primo atto di esecuzione, un’analisi ragionata di un’imposta correttiva

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Con il lancio del piano European Green Deal (conosciuto anche solo come Green Deal) l’Unione Europea ha manifestato, come è ampiamente risaputo, l’ambizione di assumere una leadership mondiale nella lotta al cambiamento climatico[i].

L’obiettivo del succitato piano è ormai noto a tutti: l’Unione si è posta lo straordinario obiettivo di diventare entro il 2050 il primo continente al mondo ad impatto climatico zero attraverso l’adozione di radicali misure in molteplici settori e garantendo allo stesso tempo la protezione della salute e del benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale.

Quella che è stata annunciata, quindi, è una transizione finalizzata alla conversione delle problematiche connesse al clima e all’ambiente in opportunità “per avviare stabilmente l’Europa su un nuovo percorso di crescita sostenibile e inclusiva”[ii].

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Eppure, ad oggi, con una nuova Commissione appena insediata – sempre presieduta da Ursula Von der Leyen – all’interno di un quadro geopolitico profondamente mutato e in continuo divenire, caratterizzato da una proliferazione di minacce per l’Europa, inevitabilmente il piano per la lotta al cambiamento climatico pare aver perduto quel carattere di priorità che l’aveva inizialmente contraddistinto ponendolo al primo punto nel programma politico della nascente Commissione nel 2019[iii].

Ad ogni modo, per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, è stato stabilito il raggiungimento entro il 2030 di un traguardo climatico intermedio, altrettanto sfidante: la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 con contestuale aumento degli assorbimenti in tutti i settori dell’economia, come stabilito nel regolamento 2021/1119, la prima normativa europea sul clima[iv].

Pronti per il 55

Il traguardo della riduzione dei gas a effetto serra del 55% entro il 2030 è un obiettivo altamente ambizioso che passa attraverso l’attuazione di specifiche riforme contenute in un pacchetto conosciuto come “Pronti per il 55” (o anche Fit for 55), il quale discende, come già anticipato, dalla normativa europea sul clima: esso rappresenta un ampio programma di riforme che, come specificato dalla Commissione, non rappresenta un insieme di “aspirazioni o ambizioni” ma, al contrario, consiste in veri e propri obblighi[v].

Il pacchetto ricomprende in totale dodici iniziative, comprendenti sia l’aggiornamento di normative europee già esistenti sia l’adozione di nuove misure: tra le prime è rientrata la riforma del sistema per lo scambio di quote di emissioni (il meccanismo EU ETS, acronimo inglese di Emission Trading Scheme), istituito dalla direttiva 2003/87/CE, che rappresenta lo strumento chiave per la riduzione delle emissioni in Europa ricomprendendo la regolamentazione di settori quali il trasporto aereo, la produzione di energia elettrica e settori industriali ad alta intensità energetica.

Ebbene, una delle principali modifiche volte a riformare il sistema EU ETS è stato il regolamento 2023/956, più noto comeregolamento CBAM, acronimo inglese di Carbon Border Adjustment Mechanism, che introduce un nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, in linea con l’Accordo di Parigi del 2015.

Tale accordo, pare opportuno ricordare, concluso tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in occasione della chiusura della COP21, è passato alla storia come il primo trattato sul clima a carattere vincolante, avendo obbligato i 196 Stati firmatari ad impegnarsi ad adottare le misure stabilite.

Ratificato dall’Unione Europea con decisione 2016/1841 del Consiglio del 5 ottobre 2016, l’Accordo di Parigi ha sancito all’art. 2 l’obiettivo di limitare al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando ad un aumento massimo pari a 1,5 gradi[vi].

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Il regolamento CBAM

Come si è avuto modo di accennare, uno dei punti cardine del pacchetto “Pronti per il 55” è rappresentato dal regolamento 2023/956 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, più noto come regolamento CBAM che trova la sua ragion d’essere nell’obiettivo di prevenire il rischio di una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, destinato a sostituire, quindi, i meccanismi che furono istituiti dalla direttiva 2003/87/CE.

La nuova normativa ha introdotto, dunque, un meccanismo di compensazione ambientale che stabilisce un prezzo equo all’importazione di merci ad alta intensità di carbonio[vii]  prodotte al di fuori dell’Europa sulla base di politiche ambientali più indulgenti, tali da materializzare il rischio di mettere a repentaglio la riduzione nell’UE delle emissioni di gas a effetto serra e, oltretutto, vanificando in tal modo gli sforzi attuati sulla base dalle normative europee[viii].

L’obiettivo della nuova regolamentazione, in altri termini, è quello di scongiurare il rischio di una “fuga di carbonio”. In effetti, l’impegno dell’Unione ad assumere misure tese ad evitare il rischio di una rilocalizzazione delle emissioni di CO2 è questione risalente: già con decisione delegata 2019/708 della Commissione del 15 febbraio 2019 furono precisati i settori e sottosettori considerati a rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio per il periodo compreso tra il 2021 e il 2030.

L’introduzione del meccanismo di cui si parla segna a tal proposito una svolta: è introdotta a tutti gli effetti “una tassa sul carbonio” che, come chiarito al Considerando 11 del regolamento 2023/956, sostituisce i precedenti meccanismi mediante i quali le quote EU ETS per i settori ad alto rischio rilocalizzazione erano assegnate a titolo gratuito[ix].

Pare conveniente, a questo punto, riferire sulle modalità attraverso le quali questo nuovo meccanismo troverà applicazione.

In particolare, il regolamento prevede due fasi di implementazione: una prima fase transitoria che ricomprende la data di entrata in vigore della nuova normativa – 1° ottobre 2023 – e che terminerà il 31 dicembre 2025 che può considerarsi come “fase di apprendimento”: non è prevista, infatti, l’applicazione della tassa sulle merci importate, ma saranno solo acquisite informazioni sulle quantità dei prodotti in entrata soggetti al CBAM, e che ricomprenderà, evidentemente, la valutazione delle emissioni incorporate. Sarà una fase fondamentalmente dedicata all’attività di autorizzazione dei soggetti obbligati da parte delle autorità competenti nazionali e nel quale non è previsto il pagamento di un alcun corrispettivo per le emissioni incorporate.

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Dal 1° gennaio 2026, invece, avrà inizio il periodo di definitiva entrata in vigore del meccanismo, anch’esso strutturato su due archi temporali: dal 2026 al 2033 le emissioni incorporate per le merci CBAM saranno gradualmente soggette all’obbligo CBAM con contestuale graduale eliminazione dell’assegnazione gratuita nel contesto dell’EU ETS; di seguito, dal 2034, il 100% delle emissioni incorporate delle merci CBAM sarà soggetto ai già citati certificati CBAM e, dunque, per tali merci non sarà concessa alcuna assegnazione gratuita nel contesto dell’EU ETS.

Alcune indicazioni sul funzionamento pratico di questo meccanismo, con contestuale chiarimento degli obblighi gravanti sugli importatori, sono opportune: le merci CBAM, ossia quelle importate in Europa dalle industrie del cemento, dell’alluminio, della ghisa, del ferro e dell’acciaio, da alcune industrie chimiche e dal settore dell’energia elettrica[x], potranno essere importate all’interno dell’Unione soltanto da importatori autorizzati.

Dunque, come prescritto dall’art. 5 del regolamento 2023/956 un importatore stabilito in Europea per importare le merci interessate dal regolamento deve acquisire innanzitutto lo status di «dichiarante CBAM autorizzato» riconosciuto dall’autorità competente dello Stato membro in cui il richiedente è stabilito a patto che siano soddisfatte precise condizioni[xi].   Una volta ottenuta l’autorizzazione, i cd. dichiaranti CBAM saranno tenuti a calcolare la quantità di CO2 incorporata nelle merci importate.

Dal 2026, invece, terminata la fase transitoria, su di essi graverà l’obbligo di acquistare i cd. “certificati CBAM”: essi sono acquistabili attraverso una piattaforma gestita dalla Commissione, corrispondono ad una tonnellata di CO2 immessa nell’atmosfera ed il loro prezzo non sarà stabilito su base giornaliera – aspetto che caratterizza le quote EU ETS – ma su base settimanale.

Il dichiarante, in particolare, in linea con quanto stabilito dal codice doganale dell’Unione Europea (CDU) può essere: l’importatore che presenta una dichiarazione in dogana di immissione in libera pratica di merci a proprio nome e per proprio conto; la persona autorizzata a presentare una dichiarazione in dogana di cui all’art. 182, par.1 del CDU, il quale dichiara l’importazione di merci oppure, terza ed ultima ipotesi,  il rappresentante doganale indiretto, se la dichiarazione in dogana è presentata dal rappresentante doganale indiretto nominato a norma dell’art. 18 del CDU, qualora l’importatore sia stabilito al di fuori dell’UE oppure qualora il rappresentante doganale indiretto abbia accettato gli obblighi di comunicazione a norma dell’art. 32 del regolamento CBAM.

Per contro, in capo alla Commissione europea, sulla base dell’art. 14 del regolamento, ricade l’obbligo di istituire un registro CBAM nel quale registrare i cd. “dichiaranti CBAM autorizzati”[xii]: si tratta di una vera e propria banca dati elettronica contenente i dati relativi ai certificati CBAM dei dichiaranti autorizzati e che sono rese disponibili “automaticamente e in tempo reale” alle autorità nazionali competenti.

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Nella fase transitoria di applicazione del regolamento, attualmente in corso, ricade sui dichiaranti l’obbligo di presentare alla Commissione un rapporto su base trimestrale (la cd. “relazione CBAM”) che, conformemente all’art. 35 del regolamento, deve contenere informazioni riguardanti il totale delle emissioni incorporate effettive, le emissioni indirette totali, il prezzo del carbonio dovuto in un paese di origine per le emissioni incorporate nelle merci importate.

Nell’ipotesi in cui la Commissione ritenga le informazioni contenute nel rapporto incomplete può domandare informazioni supplementari all’autorità nazionale dello Stato nel quale il dichiarante è stabilito e sarà, quindi, l’autorità nazionale ad avviare la procedura di rettifica e a comunicare all’importatore quali sono le informazioni supplementari necessarie per perfezionare la sua relazione.

Normativa sugli obblighi di comunicazione

In riferimento agli obblighi di comunicazione, la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione 2023/1773 del 17 agosto 2023 il quale, all’art. 3, chiede agli importatori di specificare i seguenti punti:

– il quantitativo di merci importate;

– il tipo di merci identificato dal rispettivo codice NC;

– quale sia il paese di origine;

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– l’impianto nel quale è stata prodotta la merce;

– i percorsi produttivi usati;

– le emissioni dirette incorporate delle merci.

Il regolamento, in particolare, stabilisce le sanzioni che possono essere comminate agli operatori economici vengano meno all’obbligo di rendicontazione: è specificato come l’importo della sanzione sia compreso tra i 10 e i 50 euro per tonnellata di emissioni non comunicate e come la sanzione aumenti conformemente all’indice europeo dei prezzi al consumo[xiii].

Ai fini della determinazione dell’importo della sanzione, è precisato come la Commissione debba tenere conto di taluni fattori, tra i quali l’entità delle informazioni non comunicate, i quantitativi non comunicati delle merci importate e le emissioni non comunicate relative a tali merci o se il comportamento del gestore sia stato caratterizzato da dolo o colpa[xiv].

Tale normativa regola, inoltre, un numero importante di elementi collegati al funzionamento del registro CBAM: è precisato che la Commissione gestisce il registro transitorio CBAM conformemente ai termini concordati (art. 20), fornisce i servizi di autenticazione che consentono agli utenti del registro transitorio CBAM di accedere in sicurezza a tale registro (art. 21 par.2).

Quindi è istituito un portale CBAM in favore degli operatori commerciali attraverso il quale questi ricevono le notifiche relative ai propri obblighi di conformità al CBAM (art. 22 par. 2 lett. b). L’importanza di questo portale risiede nel fatto che in esso vengono conservate le informazioni sugli impianti dei paesi terzi e sulle emissioni incorporate, come in un archivio.

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In ultimo, sulla base dell’art. 36, è affermato che è la Commissione a garantire la sicurezza del registro transitorio CBAM, ma anche come quest’ultima di concerto con gli Stati adotti le misure necessarie “ad impedire a persone non autorizzate ad accedere agli impianti utilizzati per il trattamento dati” (art. 36 par. 2 lett. a) così come a impedire l’introduzione di dati e qualsiasi consultazione, modifica o cancellazione di dati da parte di persone non autorizzate (art. 36 par. 2 lett. b).

Quindi, in conclusione, è stabilito che la Commissione

la C e gli Stati membri si informano “reciprocamente in merito a qualsiasi attività che possa comportare una violazione o una sospetta violazione della sicurezza del registro transitorio CBAM”[xv].

Dalle prime tre rendicontazioni trimestrali presentate alla Commissione europea risulta un numero di dichiarazioni inferiore rispetto alle previsioni: non certamente un inizio incoraggiante per una riforma cardine in vista della tanto agognata svolta green dell’Europa.

Un nuovo tributo ambientale

La breve disamina del regolamento CBAM e dell’atto esecutivo condotta sinora consente di effettuare alcune valutazioni conclusive sulla portata di un tributo destinato a svolgere un ruolo fondamentale affinché l’UE continui a ricoprire un ruolo di primo piano nell’azione globale per il clima.

Come è noto, l’inquinamento è una tipica causa di esternalità negativa nel sistema economico; pertanto, l’introduzione del nuovo tributo di cui si è parlato, avendo l’effetto di gravare sull’operatore responsabile dell’inquinamento, realizzerebbe con tutta evidenza un’applicazione del principio “chi inquina paga”[xvi].

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A ben vedere, dunque, la nuova tassazione ambientale introdotta costituisce un tipico esempio di “imposta pigouviana”[xvii]: ossia, un’imposta applicata a un’attività di mercato che genera esternalità negative (con relativi costi a carico di altri).

L’esternalità, infatti, una volta procurata, causando effetti a carico di un altro soggetto senza che quest’ultimo paghi o riceva un indennizzo, necessita di una correzione che può essere tanto di natura pubblica quanto di natura privata: ebbene, l’”imposta pigouviana” rappresenta la principale soluzione pubblica gravando sul soggetto attivo del reato ambientale, il quale è chiamato a correggere il danno procurato all’ecosistema[xviii].

Alla base di questa tassa ci sono due scopi: finanziario e ambientale.

Per quanto riguarda il primo, esso mira a fornire un’ulteriore risorsa propria all’Unione, che si può pensare potrà essere impiegata in modo vincolato alle politiche di tutela dell’ambiente.

Per quanto riguarda il secondo, esso tende a scoraggiare lo status quo in materia di emissioni, sottoponendolo ad una contribuzione fiscale: da questo punto di vista, l’imposta ha la finalità di promuovere la transizione verso sistemi produttivi con minore impatto sull’ambiente ed auspicabilmente una maggiore efficienza. Tuttavia, in assenza di questi sviluppi (comunque non immediati), al momento rappresenta per i produttori un costo che i loro concorrenti posti in territori extra UE non sono tenuti a sopportare.

Tale ultimo aspetto rappresenta, con ogni probabilità, il punto maggiormente critico per gli importatori operanti in Europa: ciò spiega il motivo per il quale sono stipulati con maggiore frequenza contratti aventi specifiche clausole di tutela contenenti meccanismi di rivalsa nei riguardi di fornitori che abbiano omesso o fornito dati errati in merito al contenuto delle omissioni.

Prima di giungere alle conclusioni, è importante riferire su un’altra questione  legata all’applicazione del nuovo tributo europeo meritevole di riflessione: il rischio, cioè, che esso possa mascherare una malcelata finalità protezionistica in favore delle imprese europee con conseguente svantaggio competitivo a carico di quelle poste al di fuori dell’Unione che potrebbero, dunque, impugnare la nuova normativa europea in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio per denunciarne la difformità rispetto al diritto commerciale internazionale[xix].

Non pare, ad onor del vero, essere questa una critica del tutto fondata: il nuovo meccanismo è stato introdotto – come già riferito – per garantire l’applicazione del principio “chi inquina paga” cui evidentemente corrisponde, come un’altra faccia della stessa medaglia, l’obiettivo (espressamente dichiarato nel regolamento[xx]) di favorire la decarbonizzazione nei paesi terzi.

Dietro alla sua portata economica, si presenta con tutta evidenza un intento, per così dire, “didascalico”: quello di incentivare una produzione pulita nei paesi terzi, inducendoli a seguire l’azione dell’Unione Europea nel lungo percorso che conduce alla decarbonizzazione ed incoraggiando i produttori di paesi extra UE a ricorrere a tecnologie più efficienti. Anche questo significa esercitare una leadership mondiale a tutela dell’ambiente.

Pertanto, esprimere giudizi negativi sull’applicazione di questo meccanismo nella prima fase transitoria non sembra avere solide fondamenta. 

Che vi siano alcune criticità legate all’entrata in vigore del regolamento CBAM è cosa che non può essere negata: esse sono state oggetto di analisi anche nel rapporto “Il futuro della competitività Europea” redatto dall’ex Presidente della BCE Mario Draghi (noto anche come “Rapporto Draghi”[xxi]) nel quale il successo del nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio è dichiarato essere “incerto”: è affermato che deve essere “monitorato” e viene quindi suggerita la possibilità di posticipare “l’eliminazione graduale delle quote gratuite del sistema ETS per le EII se l’implementazione risultasse inefficace”[xxii].

Pur a fronte di tali legittime perplessità, si ritiene che il giudizio sul nuovo sistema debba essere sospeso perlomeno sino alla conclusione del periodo sperimentale; solo a seguito di un primo, parziale esame dei risultati ottenuti sarà possibile introdurre proposte di modifica o di abolizione di un meccanismo, che va inserito nel più ampio quadro di iniziative globali sia a contrasto dell’inquinamento che con effetti di riduzione dei commerci transfrontalieri.

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NOTE:

[i] Al momento della presentazione del piano, in data 11 dicembre 2019, la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen dichiarò: “Mostrando al resto del mondo la nostra capacità di essere sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri Paesi a muoversi con noi” assimilando quindi il piano Green Deal “allo sbarco dell’uomo sulla luna”. Sul piano, esiste una cospicua bibliografia, in questa sede ci si limita a rimandare a M. FALCONE, Il Green Deal europeo per un continente a impatto climatico zero: la nuova strategia europea per la crescita tra sfide, responsabilità e opportunità, in Studi sull’integrazione europea, n.2, 2020, pp. 379-394; M. C. CARTA, Il Green Deal europeo. Considerazioni critiche sulla tutela dell’ambiente e le iniziative di Diritto Ue, in «rivista.eurojus.it», Fasc. 4, pp. 54 ss; F. ROLANDO, L’attuazione del Green Deal e del Dispositivo per la ripresa e resilienza, siamo effettivamente sulla strada per raggiungere la sostenibilità ambientale?, in Il Diritto dell’Unione Europea, n.2, 2022, pp. 1-19; L. LIONELLO, Il Green Deal europeo. Inquadramento giuridico e prospettive di attuazione, in Jus Online, n. 2, 2020, pp. 108 ss.

[ii] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Il Green Deal europeo, Bruxelles, 11.12.2019 COM(2019) 640 final, p. 2.

[iii] A dispetto di quanto annunciato nel 2019 nel programma politico “Un’Unione più ambiziosa – Il mio programma per l’Europa” nel quale Ursula Von der Leyen presentava la propria candidatura alla guida della Commissione europea, e nel quale dichiarava l’intento di proporre il Green Deal nei primi 100 giorni del suo mandato, il piano è stato approvato dopo soli 10 giorni dall’insediamento della Commissione.

[iv] Così è disposto all’art. 4 del regolamento 2021/1119: “Al fine di conseguire l’obiettivo della neutralità climatica di cui all’articolo 2, paragrafo 1, il traguardo vincolante dell’Unione in materia di clima per il 2030 consiste in una riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra (emissioni al netto degli assorbimenti) di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030”. Tale obiettivo è stato approvato dal Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 10 e 11 dicembre 2020.

[v] Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni “Pronti per il 55%”: realizzare l’obiettivo climatico dell’UE per il 2030 lungo il cammino verso la neutralità climatica, Bruxelles, 14.7.2021 COM(2021) 550 final, p.1.

[vi] Nella Relazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio «Attuazione dell’accordo di Parigi – Progressi dell’UE verso il raggiungimento dell’obiettivo minimo “-40%”», è affermato che l’Accordo di Parigi costituisce una “svolta a livello mondiale nel rafforzamento dell’azione collettiva e nell’accelerazione della transizione mondiale verso una società a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatico”.

In argomento, si segnalano E. CAMPO, L’Accordo Di Parigi Sul Clima (12 Dicembre 2015), in Rivista Di Studi Politici Internazionali, vol. 83, no. 3, 2016, pp. 353–94; L. ARISTEI, L’Accordo di Parigi: obiettivi e disciplina, in «Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente», n. 3, 2017; M. GERVASI, Rilievi critici sull’Accordo di Parigi. le sue potenzialità e il suo ruolo nell’evoluzione dell’azione internazionale di contrasto al cambiamento climatico, in La Comunità Internazionale, n. 1, 2016, pp. 21- 48.

[vii] Essi, elencati nell’Allegato 1, sono: cemento, energia elettrica, concimi, ghisa, ferro e acciaio, alluminio, sostanze chimiche.

[viii] È affermato al Considerando 9: “Dato che un numero significativo di partner internazionali dell’Unione attua approcci politici che non conseguono lo stesso livello di ambizione in materia di clima, vi è il rischio della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. La rilocalizzazione delle emissioni di carbonio si verifica se, per motivi legati ai costi delle politiche climatiche, le imprese di determinati settori o sottosettori industriali trasferiscono la produzione verso altri paesi oppure se le importazioni da tali paesi sostituiscono prodotti equivalenti a minore intensità in termini di emissioni di gas a effetto serra”.

[ix] Il Considerando 12, di seguito, stabilisce: “Il CBAM mira a sostituire tali meccanismi esistenti affrontando in modo diverso il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, in particolare garantendo un prezzo del carbonio equivalente per le importazioni e per i prodotti interni. Per garantire una transizione graduale dall’attuale sistema di quote gratuite al CBAM, quest’ultimo dovrebbe essere introdotto progressivamente, mentre le quote gratuite nei settori contemplati dal CBAM saranno gradualmente eliminate. L’applicazione combinata e transitoria delle quote EU ETS assegnate a titolo gratuito e del CBAM non dovrebbe in alcun caso tradursi in un trattamento più favorevole per le merci dell’Unione rispetto alle merci importate nel territorio doganale dell’Unione”.

[x] Fa eccezione l’energia elettrica generata nella zona economica esclusiva (ZEE) degli Stati membri e importata nell’Unione Europea in quanto ritenuta di “origine UE” e, dunque, fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 2 par.1 del regolamento CBAM. Di conseguenza, essa non è soggetta a obblighi di comunicazione per il periodo transitorio, così come non sarà sottoposta ad adeguamento ai sensi delle norme CBAM a partire dal 2026.

[xi] In base all’art. 17 par.2 del regolamento, i criteri sono: “a) il richiedente non ha commesso violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale, delle norme sugli abusi di mercato o del presente regolamento e degli atti delegati e di esecuzione adottati a norma del presente regolamento, e in particolare non ha riportato condanne definitive per reati gravi in relazione alla sua attività economica nei cinque anni precedenti la domanda; b) il richiedente dimostra di possedere la capacità finanziaria e operativa per adempiere ai propri obblighi a norma del presente regolamento; c) il richiedente è stabilito nello Stato membro in cui è presentata la domanda; e d) al richiedente è stato attribuito un numero EORI a norma dell’articolo 9 del regolamento (UE) n. 952/2013”.

Per l’Italia, l’autorità competente è il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

[xii]Al par. 2 dell’art. 14 è specificato: “Il registro CBAM di cui al paragrafo 1 contiene conti comprendenti informazioni su ciascun dichiarante CBAM autorizzato, in particolare: a) nome, indirizzo e recapiti del dichiarante CBAM autorizzato; b) numero EORI del dichiarante CBAM autorizzato; c) numero di conto CBAM; d) numero di identificazione, prezzo di vendita, data di vendita e data di restituzione, di riacquisto o di cancellazione dei certificati CBAM per ciascun dichiarante CBAM autorizzato”.

[xiii] Art. 16 del regolamento di esecuzione 2023/1773.

[xiv] Gli altri elementi da valutare elencati al par. 3 dell’art. 16 sono: la tempestività con cui il dichiarante soddisfa le richieste di fornire informazioni o corregge la relazione CBAM, il comportamento passato del dichiarante per quanto riguarda l’adempimento degli obblighi di comunicazione, il livello di cooperazione del dichiarante nel porre fine alla violazione, l’eventualità che il dichiarante abbia volontariamente adottato misure per evitare violazioni analoghe in futuro. Al par. 4, inoltre, è precisato come si applichino “sanzioni maggiori qualora siano state presentate consecutivamente più di due relazioni incomplete o inesatte ai sensi dell’articolo 13 oppure se le relazioni non sono state presentate per più di sei mesi”.

[xv] Ibidem, art. 36.

[xvi] Tra i principi cardine della politica ambientale europea, esso è contenuto – come è noto – all’art. 191 par. 2 TFUE.

In grado di rivestire tanto una funzione preventiva quanto una curativa (Trattati dell’Unione Europea, a cura di A. TIZZANO, II ed., p. 1630), la ratio di questo principio è quella di evitare che i costi dell’inquinamento ricadano sulla collettività e gravino, al contrario, su chi ne è effettivamente responsabile; esso pare configurarsi più come principio di economia politica piuttosto che come principio propriamente giuridico.

Ampiamente analizzato in dottrina, si segnalano tra i vari M. GATTI, Paga (solo) chi inquina? L’attribuzione della responsabilità ambientale nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Emergenze ambientali e tutela giuridica, 2017, pp. 151-165; R. FERRARA, I principi comunitari della tutela dell’ambiente, in Diritto Amministrativo, n. 3, 2005, pp. 509 – 555; M. LOMBARDO, Il principio «chi inquina paga» e la responsabilità ambientale da inquinamento diffuso nel diritto dell’Unione europea, in Diritto dell’Unione Europea, n.4/2011, p. 719 – 739; T.M. CUCCI – S. CODISPOTI, Il principio del “chi inquina paga” alla luce delle recenti pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea, in Ratio Iuris, 2016.

[xvii] Dall’economista britannico Arthur C. Pigou (1877 – 1959), considerato tra i principali esponenti dell’economia del benessere. Questi, infatti, fu il primo economista a teorizzare un metodo di tassazione volto a colpire le emissioni inquinanti basandosi sul principio di economia del benessere.

[xviii] “Le imposte pigouviane sono pertanto uno strumento di correzione di fallimenti del mercato (beni pubblici ed esternalità, nell’iniziale impostazione di Pigou), così da internalizzare nel prezzo dei beni quei costi (o benefici) che altrimenti non sarebbero inclusi: con ciò assumendo che sia possibile misurare tani costi (o benefici) in termini monetari”, così M. AULENTA, Ambiente, piccoli tributi crescono, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, fasc.1, 1 MARZO 2020, pp. 71 ss.

[xix] L’India è stato il primo paese, tra i partner europei, ad essersi esposta contro il meccanismo CBAM avendo minacciato, fin dall’inizio della fase transitoria, di presentare ricorso dinanzi all’OMC. I timori espressi dal governo indiano sono motivati dal pericolo che ben 8 miliardi di dollaridi esportazioni dall’India verrebbero in tal modo sottoposti a dazi. Il nuovo meccanismo europeo è stato definito dalle Ministra delle finanze Nirmala Sitharaman come “arbitrario” ed in grado di danneggiare l’economia indiana, a suo dire quella in “più rapida crescita al mondo”.

[xx] Considerando 10 del regolamento 2023/956.

[xxi] Il Rapporto, pubblicato il 9 settembre 2024, è strutturato su 5 punti chiave: colmare il divario di innovazione, combinare decarbonizzazione e competitività, rafforzare la sicurezza e ridurre la dipendenza, finanziamento degli investimenti e rafforzamento della governance.

[xxii] Rapporto “Il futuro della competitività Europea”, p.54.



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