Dagli alunni a digiuno davanti ai compagni ai permessi per uscire a pranzo: così le scuole affrontano il Ramadan senza direttive ufficiali

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L’autonomia scolastica consente soluzioni diverse, ma crea anche frammentazione. «Decidono all’ultimo minuto», commenta Sofia, madre musulmana, a Open

Il primo marzo, inizia il Ramadan, il mese sacro dell’Islam durante il quale i musulmani osservano il digiuno come atto di devozione. Anche quest’anno, ogni scuola si troverà ad affrontarlo a modo proprio. L’autonomia scolastica, se da un lato permette agli istituti di trovare soluzioni adatte al proprio contesto, dall’altro porta a una frammentazione delle regole che, talvolta, crea disorientamento tra le famiglie e gli studenti musulmani. Il caso della scuola di Pioltello, che lo scorso anno decise di chiudere i battenti l’ultimo giorno di Ramadan, aveva scatenato lo scontro politico. Ad oggi, come conferma il ministero, non esiste una direttiva univoca o linee guida nazionali che dicano agli istituti come comportarsi con gli alunni musulmani.

Stare a digiuno davanti ai compagni o uscire da scuola? Cosa fanno le scuole

Premesso che le scuole debbano rispettare la libertà di culto di tutti, ogni istituto ha la possibilità di decidere come affrontare digiuno da Ramadan degli studenti musulmani. Nella scuola Leonardo Da Vinci di Senago (Milano), ad esempio, l’amministrazione ha diramato una circolare in cui viene precisato che gli studenti che stanno osservando il digiuno «non potranno rimanere a scuola durante l’intervallo mensa». E, «qualora gli alunni chiedano ai docenti di poter mangiare o bere durante le ore di lezione, sarà loro concesso». Una politica più flessibile è, invece, quella della scuola Marco Polo dello stesso comune che, pur riconoscendo il diritto degli alunni di digiuno di «scegliere se restare a scuola o uscire durante l’ora del pranzo», declina ogni responsabilità in caso di malesseri legati al digiuno.

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Alla Scuola Narcisi di Milano, invece, non viene permesso agli studenti di restare a digiuno all’interno della scuola, ma vengono obbligati a scegliere se mangiare insieme agli altri o uscire dalla scuola nell’ora del pasto. Soluzioni simili si trovano anche alla scuola Giovanni XXIII di Latina, che offre tre alternative: andare a casa, tornare dopo pranzo o restare in aula senza partecipare al pranzo. A Monza, presso la scuola Koiné, gli studenti in digiuno hanno la possibilità di uscire durante la pausa pranzo oppure restare in un’aula separata sotto la sorveglianza di un docente. O ancora: la scuola Allende di Paderno Dugnano impone una soluzione particolare: gli studenti a digiuno possono rimanere nell’atrio della scuola durante il pranzo ma, secondo le indicazioni della circolare, il Ramadan non giustifica assenze. Queste diverse soluzioni sono tutte frutto delle scelte autonome degli istituti, ma pongono interrogativi su come le scuole affrontino un tema che coinvolge sempre più studenti.

Ramadan e mense scolastiche

La questione del digiuno del Ramadan coinvolge anche le aziende di ristorazione scolastica. Chi lavora dentro Milano Ristorazione, ad esempio, riferisce che l’azienda cerca di organizzarsi per adeguare la fornitura di pasti in base alle presenze. «Se una scuola ci informa che tanti alunni non mangeranno, noi riduciamo il numero di pasti da preparare», spiega una dipendente dell’azienda. «Alcune scuole avvisano le famiglie e chiedono se gli alunni preferiscono uscire a pranzo. Una volta questo problema non si poneva, oggi è diventata una necessità organizzativa», aggiunge.

Sofia, madre musulmana: «Le scuole? Decidono all’ultimo minuto»

Sofia è una madre musulmana che ha visto l’evolversi della gestione del Ramadan nelle scuole dei suoi due figli nel corso degli anni. «Nel mio caso le scuole mi hanno chiamato per sapere se i miei figli seguivano il Ramadan e offrendomi la possibilità di farli uscire durante l’ora del pasto», racconta. «Alcuni genitori preferiscono che i bambini restino a casa durante l’ora di pranzo, mentre altri, come me, trovano più comodo che restino a scuola, se possibile, magari facendo qualcosa di diverso senza guardare gli altri che mangiano», ci tiene a precisare. «La soluzione migliore, però, sarebbe che le scuole decidessero già a settembre come gestire il Ramadan, così noi famiglie sappiamo già cosa aspettarci. Invece, spesso si organizzano all’ultimo», commenta. «Il Ramadan è una scelta personale, non deve diventare un problema per le scuole, ma nemmeno un disagio per chi lo segue», conclude. Riconosce, però, che negli anni la questione del Ramadan è presa sempre più in considerazione dagli istituti.

La prof delle medie che ha scritto le linee guida per i colleghi

Il grande tema, però, resta l’assenza di una direttiva univoca da parte del ministero dell’Istruzione. Se alcune scuole sembrano attente a trovare soluzioni inclusive, in altre si evidenziano rigidità o poca comprensione delle esigenze degli alunni in digiuno. Elisa Belotti, prof di italiano in una scuola media di Brescia e membro del Collettivo di insegnanti “Assenze ingiustificate”, ha realizzato delle linee guida con dei suggerimenti per i colleghi di tutta Italia. Come spiega lei stessa a Open, «manca totalmente una direttiva unitaria che aiuti noi insegnanti a gestire la situazione in modo sensibile e informato, lasciando ogni istituto a fare da sé. Questo ha creato, in molti casi, attriti tra docenti e difficoltà per gli studenti che, non solo vivono il Ramadan in modo intensamente personale, ma sono anche esposti a incomprensioni e discriminazioni».

«Gli insegnanti non sono informati»

Belotti racconta che quando si affronta il Ramadan in classe, soprattutto in un contesto come le scuole medie, ci si trova di fronte a una grande varietà di situazioni: «Gli studenti che digiunano sono fisicamente provati, ma molto spesso questo non è preso in considerazione dai docenti», racconta. «In mancanza di un coordinamento o di direttive nazionali, gli insegnanti si ritrovano a fare scelte che possono sembrare poco sensibili, come fissare verifiche il primo giorno di digiuno, quando gli studenti sono stanchi o magari non riescono a concentrarsi come vorrebbero. Spesso sono decisioni prese senza alcuna malizia, per ignoranza. Il danno, però, c’è».

Cosa c’è nelle linee guida

Le sue linee guida, quindi, sono nate proprio con l’intento di portare maggiore consapevolezza e sensibilità «su un tema che è troppo spesso ignorato». Tra le principali indicazioni, Belotti suggerisce di evitare verifiche o attività particolarmente impegnative nei giorni più significativi del mese sacro, come il 6 aprile 2024, quando molti studenti potrebbero essere stanchi o assenti. In mensa, ad esempio, è consigliato riorganizzare i tempi per permettere agli studenti di riposare durante il pranzo. Inoltre, le scuole sono invitate a promuovere momenti di confronto interculturale, spiegando il Ramadan agli altri studenti e sensibilizzandoli sul digiuno, «senza mai creare situazioni di imbarazzo o discriminazione».

Le difficoltà tra insegnanti

«Le scuole si trovano a gestire situazioni complesse senza alcuna preparazione, ma la chiave sta nell’ascolto. Spesso gli studenti musulmani sono pochi in una classe e per questo motivo tendono a non farsi notare. Ma quando sono una maggioranza, come nelle scuole di alcune zone d’Italia, il discorso cambia completamente», spiega la docente. La professoressa non nasconde le difficoltà incontrate nell’introdurre questi suggerimenti agli altri insegnanti. «Molti colleghi hanno accolto positivamente le linee guida, riconoscendo l’importanza di prestare attenzione ai bisogni degli studenti musulmani. Ma ci sono anche stati feedback contrari, soprattutto da parte di chi non vuole sentirsi obbligato a cambiare il proprio metodo didattico», racconta. «Questo, però, non è l’intento delle nostre linee guida, che mirano piuttosto a stimolare riflessione e consapevolezza», precisa. E conclude: «La scuola, infatti, non è solo un luogo di apprendimento, ma anche di crescita sociale e culturale dove la realtà degli studenti musulmani non può essere ignorata».

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