Cecile Verdier: “Andare a un’asta di Christie’s è come visitare un museo senza pagare il biglietto”

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Cécile Verdier è presidente di Christie’s France. Si è laureata a Sciences Po e in storia dell’arte a Paris IV.

Gestisce ancora le aste?
«Ho tre incarichi differenti. Gestisco l’ufficio di Parigi, 150-200 persone, faccio il battitore d’asta e sono specialista di design del ’900. L’ufficio di Christie’s a Parigi è molto più piccolo di quello di Londra e New York, e dobbiamo incarnare la visione globale della società sviluppando conttemporaneamente la nostra identità nel paesaggio culturale francese».

Perché conserva gli incarichi di specialista e delle aste?
«Mi permette di vedere il mercato sul terreno, dal primo contatto con il venditore alla conclusione della vendita. Mi permette anche di rimanere a fianco dei collezionisti, e di poter dire a un cliente che un certo oggetto non è qualcosa cui puntare».

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C’è chi dice che per una casa d’aste i clienti sono più importanti degli oggetti da vendere?
«Abbiamo bisogno di entrambi, ma se non avete clienti, non avete oggetti. Si tratta di costruire fiducia, con i venditori e gli acquirenti. Il nostro è uno dei lavori più legati all’umanità, è tutto incentrato sulle relazioni. L’arte è un modo di collegare le persone, e una casa d’aste non a caso si chiama “casa” e non società».

C’è molta concorrenza tra le case?
«Sì, in Francia ci sono Christie’s e Sotheby’s, ma anche case minori, e Drouot a Parigi è uno spazio condiviso da vari nomi. La nostra attività in Francia è legata anche ai notai che gestiscono i testamenti, e lavorano con le case d’asta che fanno le stime e si prendono cura delle collezioni, che siano grandi raccolte di dipinti o soltanto appartamenti pieni di mobili e oggetti abbastanza comuni».

I mercanti d’arte hanno prezzi fissi, alle aste un dipinto può essere venduto a un prezzo molto più elevato, oppure rimanere invenduto?
«Un cliente può preferire l’asta per avere il prezzo migliore, grazie alla trasparenza della transazione in un mercato aperto. Un mercante compra per rivendere con profitto, mentre Christie’s opera solo come agente. Rimaniamo anche come intermediari in vendite private, un’attività che si è sviluppata negli ultimi anni dopo il Covid e che sta diventando molto importante».


Come ha intenzione di far crescere Christie’s France?
«C’è una grande differenza tra capolavori come L’impero della luce di Magritte, venduto per più di 100 milioni di dollari a Christie’s New York, e l’asta quotidiana. A Parigi, il prezzo medio delle vendite l’anno scorso era intorno a €70.000. Negli ultimi cinque anni sto cercando di promuovere l’idea che potete trovare qualcosa da Christie’s a partire da €5.000. Ricordo bene come era Christie’s 20 anni fa, all’inaugurazione».

Quando era capo del dipartimento stime?
«Sì, e all’epoca il messaggio era: venite da Christie’s perché è un museo dove non dovete pagare il biglietto e l’esposizione cambia ogni settimana. È ancora vero, nel 2024 alle nostre esposizioni sono venuti 40. 000 visitatori, ma cerchiamo anche di cambiare approccio verso l’arte. Vendiamo ancora i classici, ma abbiamo anche sviluppato enormemente l’arte del XX-XXI secolo, che oggi forma i due terzi del mercato. Offriamo i nostri spazi ad artisti e designer giovani, una sorta di “carta bianca”».

Vendete dipinti e sculture famose, ma ora trattate anche auto, gioielli, borse?
«Abbiamo venduto gioielli per secoli (iniziando da quelli di Madame du Barry), borse da più di 10 anni, e di recente abbiamo iniziato a vendere auto con l’acquisizione di Gooding. I settori del lusso, vini inclusi, esistono da molto tempo, ma negli ultimi anni si sono espansi».

Perché la gente vuole avere un pezzo appartenuto a Hubert de Givenchy o a Rothschild?
«L’arte riguarda le persone, è un game tra umani. Vi innamorate di un pezzo, ma anche della storia che c’è dietro. La gente ha sempre apprezzato la provenienza, la storia, ma c’è anche lo spirito del collezionista».

Si compra per investimento o per amore?
«Alcuni sono veri collezionisti, altri investono e qualcuno sta semplicemente arredando la casa con pezzi costosi. I disegni dei vecchi maestri sono il mondo dei collezionisti perché richiedono conoscenza e ricerca, è un settore molto intellettuale. Nel mercato del design del XX secolo le opere sono invece di ogni genere, dal pezzo unico di Eileen Gray a quelli molto più abbordabili di Jean Prouvé, che attirano ogni genere di collezionisti, dagli investitori in cerca del marchio a veri appassionati».

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Cosa vendete di più?
«L’arte italiana. Abbiamo spostato a Parigi le vendite di arte italiana, che prima di Brexit si erano tenute a Londra per 25 anni, e ora per i nostri collezionisti italiani è più facile vendere in Francia. Presentiamo anche artisti più contemporanei che un tempo offrivamo solo a Londra e New York, come Baselitz, Kiefer e Polke, un segno della internalizzazione di Parigi».

Come fate le stime?
«Dobbiamo capire il mercato, osservare i cambiamenti che avvengono con grande velocità, da una stagione all’altra. Andiamo alle fiere e parliamo con i nostri clienti per capire cosa vogliono comprare. La stima è una combinazione di tutto questo, dopo aver annusato l’atmosfera da tutte le conversazioni e le informazioni sul mercato, e calcolato matematicamente le ultime vendite. La perizia non consiste solo nel riconoscere un pezzo d’artista, ma anche di dargli il giusto prezzo. Con il rallentamento del mercato, bisogna spiegare ai venditori che dobbiamo aggiustare le stime».

Se non riuscite a vendere un pezzo, i venditori si lamentano?
«No, se vedono che abbiamo fatto del nostro meglio. Può succedere di tutto. Si può fare una buona stima, ma magari esistono soltanto tre collezionisti di questo artista, uno è morto, il secondo ha perso i soldi in borsa e il terzo quel giorno era impegnato. Se l’hai stimato e proposto nel modo giusto, e parlato con tutti i potenziali acquirenti, hai fatto quello che dovevi. A volte, la congiunzione dei pianeti è fantastica, e l’atmosfera in sala è magica, con offerte che arrivano via telefono, Internet e con le mani alzate, come ai vecchi tempi».



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