Il presidente della Camera penale di Piacenza, avvocato Stefano Moruzzi, interviene sullo sciopero di venerdì scorso della magistratura italiana contro la proposta di legge costituzionale sulla separazione delle carriere tra giudici penali e pubblici ministeri.
L’intervento dell’avvocato moruzzi
Secondo quanto riportato dagli organi di stampa locali, la sottosezione di Piacenza dell’Anm, dando atto della adesione unanime da parte dei magistrati piacentini allo sciopero del 27 febbraio (23 su un organico di 24), sottolinea altresì l’inutilità della riforma costituzionale avente ad oggetto la separazione delle carriere dei magistrati atteso che non ridurrebbe i tempi dei processi e non renderebbe efficiente il servizio giustizia, con la conseguenza che finirebbe invece per danneggiare di fatto i cittadini, alterando l’equilibrio costituzionale dei poteri.
Preliminarmente occorre sottolineare come l’avvocatura penalistica italiana facente capo all’Unione delle Camere Penali Italiane ritenga quanto meno avventato che l’ordine giudiziario protesti contro una proposta di legge costituzionale ad iniziativa popolare e sicuramente sottoposta – in caso di approvazione da parte di entrambe le Camere – al referendum popolare confermativo. Senza dimenticare che nel piano programmatico di questo Governo – legittimamente votato dal Popolo italiano sovrano – e di alcuni partiti all’attuale opposizione vi era la separazione delle carriere.
D’altronde l’Anm ha proclamato lo sciopero non certo per manifestare una contrarietà ideologica già ampiamente espressa e sostenuta, ma per contrastare attivamente l’iter della legge, ricorrendo a una tipica ‘arma’ di lotta sindacale.
Ciò premesso, entrando nel merito della riforma, la Camera Penale di Piacenza ritiene che con le su citate affermazioni Anm voglia surrettiziamente spostare il focus dalla necessaria implementazione dei principi costituzionali che ruotano attorno al giusto processo e alla cui base qualunque ordinamento democratico deve porre le proprie fondamenta ai problemi oggettivi della giustizia penale che nessun operatore avveduto può ai nostri giorni ragionevolmente negare.
Appare quantomeno parossistico affermare che tale riforma finirebbe con ” l’alterare l’equilibrio costituzionale dei poteri” allorquando la separazione delle carriere dei magistrati è proprio finalizzata a dare attuazione all’art. 111 Cost laddove statuisce la terzietà e l’imparzialità del giudice, da intendersi per la communis opinio della dottrina costituzionalistica non come endiadi ma quale esigenza, rispettivamente, di equidistanza del giudicante dalle parti processuali (PM e difesa) in condizioni di parità ed in ossequio al principio del contraddittorio – ciò in totale aderenza alle ragioni fondanti il processo accusatorio (terzietà) – e di indifferenza rispetto all’oggetto del processo (imparzialità).
Sul punto scrive l’Anm locale che la riforma costituzionale “renderà il Pubblico ministero sempre più un avvocato dell’accusa – che ragiona in termini di “vittoria o sconfitta” – e sempre meno il primo dei giudici incontrati dall’indagato, cerca prove a suo discarico e ne chiede l’archiviazione o l’assoluzione con la serenità che gli deriva dall’essere indipendente da ogni altro potere e di non aver nessun interesse a “vincere” un processo”.
La verità è che il nuovo art. 104 Cost attribuirà in titolarità piena ed autonoma al PM la garanzia di indipendenza da ogni potere dello Stato mentre oggi l’art. 107 Cost. gli estende graziosamente le garanzie del giudice, un bel salto di qualità, parafrasando il prof. Avv. Oliviero Mazza (cfr. intervento ne Il Dubbio del 26/02/2025). Altro argomento travisato è, appunto, l’imparzialità del PM: il feticcio dell’art. 358 c.p.p. è già stato demolito dalla Corte Costituzionale (ord. n. 96 del 1997) secondo cui il PM deve eventualmente considerare le prove a discarico per valutare la tenuta della ragionevole previsione di condanna ma giammai deve dimostrare l’innocenza dell’imputato che, fino a prova contraria, è presunta dalla Costituzione e non è un tema di prova. In fase di indagini preliminari è per l’appunto il giudice per le indagini preliminari che deve o dovrebbe svolgere appunto l’importante funzione di “controllo” dell’operato del PM: si tratta della grammatica procedurale.
Quindi, a bene vedere, le ragioni vere dell’opposizione appaiono risolversi nel rifiuto all’introduzione dell’Alta Corte disciplinare e del sorteggio dei componenti togati dei futuri Csm, in maniera tale, scrive l’Anm locale, da creare “il rischio di un magistrato pavido, indotto a prendere decisioni che evitino di scontentare la maggioranza di turno , che potrà influenzare le sorti della sua carriera e dei suoi procedimenti disciplinari”.
Sempre parafrasando il prof. avv. Mazza così si dimentica la degenerazione correntizia svelata dal caso Palamara: a mali estremi, estremi rimedi. Il sorteggio (peraltro temperabile con futura legge ordinaria) rappresenta l’amara medicina necessaria per curare una conclamata malattia.
Nella brochure rinvenuta in diversi Uffici del Tribunale di Piacenza è riportato , tra le altre, che Giovanni Falcone sosteneva solo la separazione delle funzioni (cosa diversa dalla separazione delle carriere). In realtà , il Magistrato così scrisse circa la separazione delle carriere: “Timidamente, dunque, e tra molte esitazioni e preoccupazioni, comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, essendo diverse le funzioni e quindi le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere”( Giovanni Falcone in “La posta in gioco, interventi e proposte per la lotta alla mafia” con la presentazione di Giuseppe D’Avanzo e la prefazione di Maria Falcone – Rizzoli Editore, pagg. 186-187).
In conclusione, diversi costituzionalisti, in aderenza ai principi costituzionalmente garantiti del diritto di difesa, del diritto di uguaglianza, del giusto processo accusatorio in condizioni di terzietà ed imparzialità del giudice, si domandano non tanto perché tale riforma non debba trovare concreta attuazione ma il motivo per cui essa non sia stata ancora approvata.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link