Nel 1988, forse un po’ provocatoriamente, Federico Zeri scrisse che nella Galleria Nazionale delle Marche, a Urbino, il contenitore superava il contenuto. In quel ‘contenuto’ erano peraltro compresi (tra gli altri) Piero della Francesca, Paolo Uccello, Giusto di Gand, ma è vero che il Palazzo Ducale di Federico da Montefeltro è un luogo impareggiabile, e quindi, magari… Certo questo discorso è ora vero più che mai per il Museo di Palazzo Grimani a Venezia, in cui il contenuto è – come in fondo suggerisce il nome – il contenitore. Acquistato dallo Stato nel 1991, e aperto al pubblico nel 2008 dopo un lungo restauro (perfetto, certo, ma sempre un po’ troppo lungo), è oggi quasi un guscio vuoto, che fatica a competere con le altre istituzioni museali veneziane: bisogna riempirlo, farlo vivere. Dalla primavera del 2022, ad esempio, ospita una serie di dipinti di George Baselitz pensati in origine come una mostra d’arte contemporanea site specific (d’altronde quale non lo è, ormai?), che ora è procrastinata sine die, e che illumina una tipica, allungata Sala del Portego veneziana, al piano nobile.
Fino all’11 maggio di quest’anno è poi aperta, in altri ambienti, A Cabinet of Wonders, a cura di Thierry Morel, sulla raccolta di naturalia della George Loudon Collection, che è stata anche il pretesto per cercare di ridare vita a una Wunderkammer in bilico tra Rinascimento e Barocco. Rispetto alla rievocazione della medesima categoria del collezionismo messa in scena alla Fondazione Prada nel 2019 dal regista Wes Anderson, spettacolare ma anche inspiegabilmente gelida, questa si avvicina di più al suo scopo, aiutata anche dal contenitore, appunto, in un dialogo con le decorazioni a soggetto naturalistico del palazzo, dove fu attivo niente meno che Giovanni da Udine. Certo, a volte si è a un passo dal bric-à-brac, nella stanza in cui si è voluta rievocare una quadreria sulle pareti, ma il Camerino di Apollo, in cui i meravigliosi artificialia sono esposti contro un parato ideato dall’incisore contemporaneo Érik Desmazières, che si è liberamente ispirato alle Wunderkammern seicentesche, è davvero suggestivo.
Chissà se anche parte di questa mostra verrà prolungata (di sicuro non i prestiti delle collezioni pubbliche, a partire dai molti del Museo di Arte Applicata di Vienna), ma certo l’allestimento di alcuni ambienti potrebbe rimanere permanente. Così come ci si augura, soprattutto, che rimanga per sempre allestita come è ora la stupefacente, bellissima – scegliete voi altri possibili superlativi – Tribuna. Quest’altra parola chiave della storia del collezionismo di età moderna evoca subito lo spazio più illustre delle Gallerie degli Uffizi, e se quella di Palazzo Grimani non può stargli accanto sul piano della celebrità, non gli è inferiore, oggi, per impatto visivo. I due ambienti espositivi sono accomunati dalla luce zenitale, uno speciale accorgimento museografico ante litteram, perfetto soprattutto per il godimento dei marmi antichi (lo avrebbe sostenuto con forza anche Bernini, in Francia, nel 1665). È quasi incredibile che non si sappia l’autore del progetto architettonico di questo ambiente, il cui allestimento culmina con il Ganimede sospeso sotto la luce della lanterna, quasi come la Maria Assunta di Asam a Rohr, in anticipo di quasi un secolo e mezzo.
I Grimani, fondamentalmente il cardinale Domenico e poi il nipote ed erede Giovanni, patriarca d’Aquileia, erano i maggiori esponenti del patriziato papalista veneziano: per questo il loro palazzo era alla ‘romana’, con cortile, e con quell’impareggiabile, almeno per Venezia, collezione antiquaria. Un nucleo fondamentale della raccolta era stato messo insieme da Domenico a Roma, prima del Sacco, esposto inizialmente in una villa sul Quirinale e poi in Palazzo Venezia; già nel 1523 i marmi venivano inviati a Venezia, in un momento in cui la politica papale di protezione del patrimonio delle antichità di Roma non era ancora sufficientemente efficace. Con una generosità e soprattutto un profondo senso della res publica che commuovono ancora oggi, i Grimani donarono la loro collezione alla Serenissima già nel 1593, alla morte di Giovanni, dando così vita allo Statuario Pubblico di Venezia, praticamente uno dei primi musei pubblici al mondo: non è possibile avere un solo parametro attraverso il quale indicare quale fu davvero il primo, ma lo Statuario è certamente in gara. E così quei busti e quelle statue sono stati molto più a lungo nell’antisala della Biblioteca Marciana, dove la Serenissima volle collocarli (ci furono spostamenti, ovviamente, con l’istituzione del Museo Archeologico Nazionale di Venezia, ospitato nelle vicine Procuratie Nuove), piuttosto che nella Tribuna di Palazzo Grimani: quale è, allora, il posto ‘giusto’, quello corretto storicamente, dove esporle oggi? È una domanda che sempre mi affascina, e anche in questo caso non può esserci una sola risposta corretta.
Tra il maggio 2021 e il novembre 2022 è stata allestita nel palazzo la mostra Domus Grimani che aveva il suo focus nel riallestimento della collezione – già attuato nel 2019 – in quello spazio che è sublime, metafisico (riporta alla mente la Sacrestia Nuova di Michelangelo), se vuoto; ed è superlativo, come detto, se riempito dei suoi marmi. A guidare i curatori sono stati almeno mezzo secolo di studi: tante le testimonianze sulla storia della raccolta, a partire da un inventario del 1593, e da un importante disegno del British Museum, opera di Federico Zuccari, un altro dei pittori ‘romani’ al lavoro in Palazzo Grimani (affrescò la volta dello scalone). Dipinti, arazzi e altri manufatti che erano parte di quella mostra sono tornati alle loro sedi, ma le antichità no, e sul loro destino non ci si è ancora pronunciati definitivamente. Nel febbraio del 2024, intanto, sono stati istituiti i Musei Archeologici Nazionali di Venezia e della Laguna comprendenti, tra pochi altri, quello centrale alle Procuratie e, appunto, Palazzo Grimani: si tratta di una scelta che sembra andare nella direzione che qui ci si augura, poiché privato delle sculture rientrate tra quelle mura nel 2019, l’accorpamento del palazzo ai musei archeologici non avrebbe senso.
La vicenda, insomma, mi sembra sia parallela, anche cronologicamente, a quella del romano Palazzo Altemps, altro eccezionale e stratificato complesso rinascimentale, che dopo l’acquisto nel 1982, e un altro restauro non proprio blitz, venne aperto al pubblico nel dicembre del 1997 con i marmi della collezione Ludovisi, e costituisce una sezione del Museo Nazionale Romano. Certo, si tratta sempre di una questione di accenti. Molti dei marmi che sono rientrati a Palazzo Grimani non sono, presi singolarmente, dei pezzi di eccezionale importanza per la storia dell’archeologia; è maggiore il loro valore in rapporto alla storia del collezionismo di età rinascimentale, a quella della recezione dell’Antico, anche attraverso i restauri, o le imitazioni.
Il bellissimo busto di Antinoo, ad esempio, è ancora in bilico: pezzo antico restaurato, o capolavoro del Cinquecento, magari di Guglielmo della Porta? Forse ancora più rilevante il caso della Musa, reinterpretata come una Cleopatra dal restauro rinascimentale, opera forse di Tullio Lombardo (e quindi precocissima), un’opera che era collocata in una delle nicchie del secondo registro, e che però è rimasta nel Museo Archeologico, poiché è giusto, oggi, poterla vedere da vicino, isolata: non si deve, infatti, procedere con l’accetta, tutto qui o tutto lì.
Una visita a Palazzo Grimani dovrebbe essere un momento irrinunciabile per ogni turista non affrettato di Venezia; ma ancora non è così. È un problema per tante altre realtà italiane, e se la colpa è prima di tutto dei nostri tempi, una parte di responsabilità è anche della comunicazione. Non so cosa bisognerebbe fare, ma qualcosa ci si dovrà pure inventare. In accordo con le perverse logiche commerciali, un’ormai persa Barbara Bobulova in Cuore sacro di Özpetek si chiede come scovare i desideri nascosti delle donne dei paesi poveri, per trovare nuovi mercati ai prodotti di lusso. Rovesciando in chiave virtuosa questo ragionamento: in molti dei turisti che affollano Venezia ci deve essere un desiderio nascosto di vedere Palazzo Grimani; sta a noi andarlo a intercettare. Anche perché l’inopportuno tempio del lusso a Venezia, inopportunamente aperto al Fondaco dei Tedeschi, sta chiudendo.
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