Nelle ultime settimane, le conclusioni di un un allarmante studio hanno occupato buona parte delle redazioni di tutta Europa, portando una fetta dei grandi giornali a riportare la seguente notizia: gli stanziamenti militari della Federazione Russa stanno aumentando a un ritmo tale che il budget bellico complessivo di Mosca supera quello di tutti i Paesi europei messi insieme. A Bruxelles occorrerebbe, di conseguenza, prendere seriamente il monito di Trump sull’aumento strutturale e significativo delle spese militari vista l’incombente minaccia russa che, nonostante i primi spiragli di pace, non accenna a diminuire. Una decina di giorni più tardi però, lo studio è stato smentito.
E a farlo non è stata una realtà accademica a cui è possibile attribuire posizioni anti-atlantiste di principio, bensì l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore diretto da Carlo Cottarelli, una personalità certo non appartenente a quella che qualcuno definirebbe un’estensione della propaganda del Cremlino.
La pubblicazione del think tank britannico International Institute for Strategic Studies, che riceve larga parte dei suoi finanziamenti da istituzioni e aziende private con interessi pubblici vicine, se non contigue, all’industria della difesa, come Lockheed Martin Corporation, Raytheon International Inc, General Atomics Aeronautical Systems e BAE Systems, presenta gravi imprecisioni prima di giungere alla principale conclusione, nella quale si afferma in sostanza che, alla luce di un esame svolto tenendo conto della parità del potere d’acquisto, “la crescita europea è rimasta superata dagli aumenti della spesa militare totale della Russia, che è cresciuta – nel 2024 – del 41,9% in termini reali per raggiungere una stima di RUB 13,1 trilioni (USD 145,9 miliardi)”. Secondo questa stima, la Russia da sola spenderebbe quindi 3,4 miliardi di dollari in più degli Stati europei, che complessivamente si fermano invece a 457,3 miliardi.
La risposta nel merito prodotta dall’Osservatorio CPI ha però evidenziato due macro errori. In primo luogo il confronto fra stanziamenti russi ed europei è basato su due definizioni diverse di spesa militare. Si utilizza per la Russia la cosiddetta “Defense Expenditure”, una definizione più ampia utilizzata abitualmente in ambito Nato, mentre per gli stati europei ci si limita ad esaminare il “Defense Budget”, una definizione invece più ristretta che non tiene conto di una serie di parametri paralleli ma ugualmente importanti e determinanti. Su questo punto, il commento dello studio è molto netto: “I media hanno confrontato due definizioni che non sono coerenti. Se si utilizzasse anche per l’Europa la definizione NATO, la spesa europea salirebbe a 493,1 miliardi (1,9% del Pil), oltre trenta miliardi sopra la spesa russa”.
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Il secondo errore attiene sempre a differenze importanti nel metodo di calcolo della spesa militare. L’ammontare della spesa russa è calcolato secondo i tassi di cambio di cambio PPP (dollari internazionali), mentre per quello europeo ci si limita ad un calcolo basato su dollari correnti. Un errore che “sottovaluta la spesa europea perché il livello dei prezzi in Europa è più basso di quello statunitense per un importo significativo”. Tramite un calcolo coerente, che tenga quindi conto della definizione univoca NATO e di una conversione a tassi di cambio PPP, emerge in conclusione che la spesa militare europea “risulta di 730 miliardi di dollari internazionali nel 2024, ossia il 58% più alta rispetto ai 462 miliardi spesi dalla Russia”.
Si tratta di errori netti e piuttosto importanti quelli evidenziati dal CPI, che aggiunge un’ulteriore precisazione omessa dall’IISS. Ovvero che la spesa militare europea, a differenza di quella russa degli ultimi tre anni, “non viene erosa da attività belliche e quindi va interamente, per la componente relativa agli armamenti, a incrementare le capacità di difesa”. Mosca infatti, essendo alle prese con la guerra d’invasione scatenata contro l’Ucraina nel 2022, spende buona parte dei suoi stanziamenti per “rimpiazzare le ingenti perdite sul campo di mezzi e munizioni sostenute dall’inizio dell’invasione”. Un altro dato che andrebbe considerato se si intende portare avanti un confronto appropriato, oggettivo e depurato da intenti economico-propagandistici.
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