Le banche e i “Titoli di guerra” israeliani. Il caso dell’italiana Bper

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Avete in tasca anche voi degli “War bond” o “Titoli di guerra” israeliani? Forse sì, ma senza saperlo. A metà febbraio di quest’anno, nel disinteresse di larga parte dei media italiani e non solo, è stato pubblicato un nuovo studio curato dal centro di ricerca olandese Profundo e commissionato dalle Ong BankTrack e Pax che mostra come banche e gestori europei e statunitensi abbiano svolto un “ruolo significativo” nel finanziare Tel Aviv dall’inizio dell’offensiva sulla Striscia di Gaza nell’ottobre 2023.

Come? Lo hanno fatto comprandone i titoli di Stato (bond), emessi con sempre maggiore intensità dal governo israeliano allo scopo di finanziare anche i costi della guerra contro Gaza (che ha fatto quasi 50mila morti ufficialmente e costretto allo sfollamento il 90% della popolazione civile). “Queste istituzioni corrono il rischio di aver contribuito a violazioni dei diritti umani su larga scala, crimini di guerra e genocidio”, è la denuncia inascoltata di BankTrack e Pax, che tra le fonti citano anche le (pur tiepide) linee guida dell’Ocse in tema di due diligence finanziaria.

Vediamo conti, nomi e cognomi. “L’emissione di questi titoli di Stato, per un valore di 19,4 miliardi di dollari tra il 7 ottobre 2023 e il gennaio 2025, è stata facilitata da un totale di sette banche di investimento internazionali. Facilitare la vendita di obbligazioni -osservano gli analisti- implica che la banca le acquisti, le collochi sul mercato e le rivenda agli investitori. Tra i maggiori acquirenti di obbligazioni c’è il gestore patrimoniale tedesco Allianz, che ha investito 960 milioni di dollari”. Goldman Sachs guida con ampio distacco il pool delle sette banche internazionali con 7,2 miliardi di dollari, seguita da Bank of America (3,6 miliardi), Citigroup (2,9), Deutsche Bank (2,5), Bnp Paribas (2,0), JPMorgan Chase (0,69) e Barclays (0,5). È vero che il debito sovrano di un Paese (Israele incluso) può “coprire” indistintamente le voci di bilancio in generale, ma sono stati i funzionari stessi del ministero dell’Economia di Tel Aviv nel febbraio 2024 a confermare che lo Stato avrebbe dovuto vendere “una quantità quasi record di titoli” lo scorso anno proprio per continuare a finanziare il suo sforzo bellico. Non a caso all’investitore comune sulla homepage istituzionale israelbonds.com viene ben ricordato che “Israel at war”, Israele è in guerra.

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L’indagine di Profundo si è concentrata anche sui gestori patrimoniali che hanno acquistato titoli di Stato israeliani dal 7 ottobre 2023 nell’interesse dei propri fondi, dei loro clienti (più o meno consapevoli), inclusi fondi pensione e compagnie assicurative. Ne è uscita una classifica dei 20 maggiori investitori istituzionali, in gran parte statunitensi, che hanno fornito a Israele oltre 2,7 miliardi di dollari di finanziamenti attraverso l’acquisto di obbligazioni dall’inizio dei bombardamenti.

Il maggiore investitore è Pimco, la filiale Usa della società tedesca di servizi finanziari Allianz, che da sola ha comprato come detto quasi un miliardo di dollari di “War bond”. C’è quindi il fondo speculativo Vanguard -uno dei tre “padroni del mondo” finanziario insieme a BlackRock e State Street-, e a seguire Wellington management, Franklin resources, Capital group.

Spunta però anche la bandiera dell’Italia con i 99 milioni di dollari investiti da Bper banca. Abbiamo chiesto un commento a riguardo all’istituto nato in Emilia-Romagna e che nel risiko bancario di oggi punta ad acquisire la Banca popolare di Sondrio. La linea scelta da Bper, i cui principali azionisti sono il Gruppo Unipol (19,8%), Fondazione di Sardegna (10,2%) e JPMorgan Chase (5,1%), è stata però quella del silenzio.

“Non siamo autorizzati a rispondere”, ci hanno detto dall’ufficio stampa. Come a voler tener bassa la questione, non ingigantirla, farla sgonfiare. Un’occasione maldestramente persa per un istituto di credito che -pur rientrando nell’elenco della campagna sulle cosiddette “banche armate”- punta sempre di più al Terzo settore, all’economia sociale e a quell’universo di persone che a determinati valori ci tiene davvero e non per marketing. Ad alcuni sembrerà eccentrico: ci sono principi che hanno più valore di un’obbligazione.

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