Venezia, carnevale d’artista nell’antica dimora

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«Le nevrosi mostrano, da un lato, concordanze vistose e profonde con le grandi produzioni sociali dell’arte, della religione e della filosofia, e dall’altro sembrano deformazioni delle produzioni stesse. Potrebbe azzardarci ad affermare che l’isteria è la caricatura di una creazione artistica, che la nevrosi ossessiva è la caricatura di una religione, che il delirio paranoico è la caricatura di un sistema filosofico». È questa celebre frase di Sigmund Freud tratta da Totem e Tabù – e scritta in inglese con un tubo al neon nell’installazione Freud Series dell’artista statunitense Joseph Kosuth – a illuminare l’Orientalbar & Bistrot all’entrata dell’hotel Metropole. E fu proprio in questo albergo storico veneziano che il padre della psicanalisi soggiornò nel 1895. Alla moglie Martha, Freud scrisse: «Non riceverai molte descrizioni. Non è possibile farlo per l’ebbrezza che Venezia mette addosso».

Nelle immediate adiacenze di piazza San Marco, non lontano dall’Arsenale e dai Giardini che ospitano la Biennale, il Metropole accoglie spesso mostre di artisti contemporanei, alcuni dei quali sono tra gli ospiti che ieri sera hanno animato la festa di Carnevale al Metropole. Se il 2024 era stato l’anno del Drago e l’evento glamour di Carnevale era stato dedicato all’antica Cina e a Venezia, quest’anno il tema è stato Marrakech en vogue 1930. Vestiti con lunghi caftani color crema e fez rosso, i camerieri hanno servito focaccia alla curcuma, olive, rosmarino e patate; sfere di melanzana, tonno, menta e mandorle; terrine di ceci e caviale, code di gambero in crosta di pane e chutney di peperoni, couscous con verdurine e pollo alle spezie, limone, menta e olio biologico, medaglione di pesce spada in crosta di pistacchio, patate capperi e lime, sorbetto di menta fresca e lime, tajine di vitello e verdure agrodolci. E, ovviamente, dolci tipici del Marocco.

Gli ospiti – una settantina – si sono immersi in un immaginario ricreato con tappeti berberi, ceramiche variopinte, argenti antichi, agrumi profumati e costumi. «A ispirarmi sono state le scene in bianco e nero del lungometraggio Marocco con Marlene Dietrich e Gary Cooper, un melodramma esotico del 1930, pieno di fascino. Gli anni Trenta erano stati straordinari per Marrakech, penso ai Giardini Majorelle nella villa dell’omonimo pittore francese, poi diventata l’abitazione di Yves Saint Laurent», racconta la direttrice Gloria Beggiato, che dell’evento di venerdì sera è stata la regista. Veneziana, classe 1965, capelli lunghi rossi e piglio deciso, Gloria rappresenta la terza generazione nella famiglia di albergatori. È cresciuta in un ambiente eclettico, intriso di storia e arte. La madre Elisabeth, austriaca, proviene da una famiglia di artisti circensi e le ha invece trasmesso il desiderio di essere attorniata da artisti e musicisti, di vivere in un’atmosfera giocosa, fatta di costumi e spettacoli, e scenografie felliniane.

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Dal padre, Gloria ha invece ereditato la tradizione per l’ospitalità, la passione per il collezionismo e l’antiquariato, di cui il palazzo è particolarmente ricco. Sono oltre duemila i pezzi raccolti a partire dagli anni Settanta, quando Pierluigi Beggiato partecipò a un’asta di vini rari da Sotheby’s a Londra, aggiudicandosi alcune etichette e una piccola collezione di cavatappi speciali. Ogni angolo dell’hotel è adornato con meraviglie e oggetti rari: trousse da sera della Belle Époque, cavatappi dalle forme più estrose, porta biglietti da visita, antichi schiaccianoci, una delle collezioni italiane più complete di crocifissi e, soprattutto, ventagli che si possono ammirare in uno speciale piano, chiamato appunto «l’Étage dei Ventagli». Qui, in teche in plexiglass, sono esposti 200 ventagli appartenenti a diverse epoche. Nel 2014, una selezione di 24 tra questi pezzi fu esposta in una mostra temporanea al Museo del Tessuto e del Costume di Palazzo Mocenigo a Venezia.

Il palazzo in cui si è svolta la festa di Carnevale vanta una storia antica, e lo dimostra – sempre nell’Orientalbar & Bistrot – la cosiddetta «ruota degli innocenti», dove venivano abbandonati gli orfani. Nel 1500 il famoso pittore e incisore rinascimentale De Barbari lo inserì nella sua celebre pianta di Venezia. Nel 1686 all’edificio venne aggiunto un oratorio dove Antonio Vivaldi (1678-1741) impartì lezioni di musica e dove – tra il 1703 ed il 1740 – compose i suoi capolavori: l’Estro Armonico op. III, i Concerti e le Quattro Stagioni. Nel 1745 l’intero complesso fu ristrutturato. Nel settembre 1760 venne consacrata la nuova chiesa detta di «Santa Maria della Visitazione» o della Pietà, progettata da Giorgio Massari e adiacente all’albergo. Nel 1880 un ulteriore restauro trasformò l’edificio in albergo, denominato «Casa Kirsch».

Da «Marrakech en vogue 1930»

Nel 1897 l’Hotel Metropole era elencato tra i primi alberghi nella Guida tascabile di Venezia ed i suoi dintorni di Adalbert Müller. Nel 1900 vi soggiornò Marcel Proust. L’anno successivo lo scrittore Thomas Mann riservò una stanza per sé e per il fratello durante la stesura di Morte a Venezia.

Tra il 1942 e il 1945, l’albergo fu trasformato in ospedale militare. Nel 1954 terminava la gestione dei veneziani Vittorio e Plinio Boscaro, iniziata nel 1912, e nel 1968 la conduzione passava a Pierluigi ed Elisabeth Beggiato.

Nel 1992 il Metropole si ampliava con l’acquisizione del giardino segreto e dell’ala nord. Venivano aperte al pubblico dieci nuove camere e un restauro accurato riportava alla luce l’antico scalone elicoidale datato 1440.

Nel 2000 la gestione veniva tramandata alla figlia Gloria che, seguendo il filo delle più attuali tendenze internazionali, rinnovava gli ambienti con originalità e ricercatezza, apportando nello stile e nell’estetica del Metropole un’impronta misteriosa e un’eleganza orientale, aprendolo a nuovi stimoli culturali.
A proposito di stimoli culturali, a pochi passi da piazza San Marco – in Campiello San Zulian 602A – si trova l’associazione Panorama (https://panoramavenezia.com/). Si tratta di un nuovo spazio espositivo indipendente dedicato all’arte contemporanea di soli 20 metri quadri, minimalista, con tre grandi finestre. Trova sede in quello che era uno dei tanti negozi che vendeva paccottiglia ai turisti. Un anno fa il proprietario dei muri, il ristoratore locale Filippo Zammattio, ha deciso di non rinnovare il contratto di affitto e di dare una svolta culturale allo spazio, restituendolo alla cittadinanza con iniziative culturali. I curatori Giovanni Paolini e Sara Maggioni propongono mostre di artisti italiani e internazionali, e al momento vi sono esposte le opere dell’italo-sloveno Luca Vanello, che fa base a Berlino. Il motto dei curatori è Beyond Insularity: andare oltre l’insularità, l’isolamento o il confinamento in una visione ristretta. In altre parole, implica il superamento di una condizione isolata – sia essa geografica, culturale o mentale – per abbracciare una prospettiva più ampia, integrata e aperta alle connessioni con l’esterno.



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