BOLZANO. Nel 2023 ha lavorato cinque giorni in una ditta metallurgica, percependo un totale di 391 euro netti. All’uomo, che risultava però in pensione già da quattro anni, è stato sottratto dall’Inps un importo 65 volte superiore: oltre 25mila euro, vale a dire un anno intero di contributi pensionistici.
Il caso, che riguarda un bolzanino di 66 anni, è finito davanti al giudice del lavoro. Ma è solo uno dei tanti. Perché in diverse regioni d’Italia sono centinaia gli anziani che si vedono costretti a restituire la pensione di un intero anno per aver lavorato anche solo per poche giornate.
Lo ha deciso la rigida normativa (decreto 4/2019) che regola Quota 100, prevedendo il divieto di cumulabilità della pensione con il reddito da lavoro dipendente. L’unica eccezione riguarda i compensi derivanti da lavoro autonomo occasionale, nei limiti dei 5mila euro lordi annui. In pratica se una persona lavora quando è in pensione con Quota 100, perde l’anno solare della pensione.
Il problema è che nelle intenzioni del 66enne bolzanino – e di molti altri anziani – non c’era la volontà di aggirare il sistema. Al contrario. Gli sembrava di fare la cosa giusta, ovvero lavorare in regola rifiutandosi di farlo in nero, per evitare di imbattersi in un mare di guai.
Il lavoro e l’amara scoperta
Una carriera ventennale all’Iveco di via Volta, 39 anni di contributi complessivi, l’uomo ha avuto accesso alla forma anticipata di pensionamento (Quota 100, appunto) che consentiva di andare in pensione una volta maturati 62 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva. Tempo dopo, a cavallo tra il 2023 e il 2024, gli è stato proposto di lavorare con contratto a tempo intermittente in un’azienda trentina. Si trattava di un piccolo lavoro a chiamata, occasionale, e senza obbligo di risposta. Insomma, un totale di cinque giorni per neanche 400 euro percepiti. Che però gli sono costati carissimo.
L’Inps infatti, incrociando i dati della dichiarazione dei redditi, ha notato la voce di una nuova entrata catalogabile in lavoro dipendente e gli ha sottratto, con effetto immediato, i 25mila euro di pensione accumulati nel 2023. L’uomo si è affidato all’avvocato Mauro De Pascalis che, dopo la sentenza, ha deciso di fare ricorso.
«L’Inps – spiega il legale difensore – avrebbe potuto scrivere nella sua delibera che il contribuente, in caso di lavoro dopo Quota 100, avrebbe dovuto restituire la mensilità nella quale aveva lavorato, oppure l’equivalente di quanto aveva guadagnato. Invece, dato che la norma non prevede sanzioni, ha arbitrariamente ed illegittimamente deciso che la sanzione era la restituzione di tutto l’ammontare annuo del reddito pensionistico».
De Pascalis sta lavorando su un altro caso approdato in tribunale, del tutto simile. Quello di un operatore vinicolo che nel 2022 ha lavorato per un’azienda locale. Quest’ultima gli aveva fatto firmare un contratto di collaborazione autonoma coordinata e continuativa. L’amara sorpresa gli è arrivata per posta l’autunno successivo: per soli 200 euro guadagnati, l’uomo ha dovuto “pagare” all’Inps qualcosa come 20mila euro.
Le reazioni
«È una norma – conclude De Pascalis – troppo penalizzante. Alcuni giudici più coraggiosi si oppongono, ma altri si attengono a ciò che ha confermato la Cassazione. I casi sono in tutta Italia».Decisa anche la presa di posizione di Marialuisa Gnecchi, una vita all’Inps. Ne è stata vicepresidente dal 2019 al 2023, oggi fa parte del Cda. «Questa sentenza – aggiunge – ha messo una pietra miliare su tutti i ricorsi dei pensionati. Purtroppo il ministro Salvini aveva garantito che per ogni pensionato con Quota 100 sarebbero state possibili due assunzioni, per questo era nella ratio della norma permettere al massimo collaborazioni occasionali fino ad un massimo di 5mila euro, ma ha escluso anche una giornata di lavoro dipendente o un guadagno da lavoro autonomo con iscrizione alla gestione separata o alla gestione artigiani o commercianti». Sulle responsabilità: «Purtroppo – conclude Gnecchi – l’Inps deve dare esecuzione alla norma e il trattenimento di un anno solare è scelta del ministero. Io personalmente penso che si dovrebbe trattenere solo il mese in cui si è verificato il rapporto di lavoro. Sono stati fatti anche emendamenti in questo senso in legge di bilancio, ma sono stati bocciati dal governo».
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