Daniele Fortini: «Impianti moderni e sicuri, oggi è questa la sfida sul fronte rifiuti»

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In una classifica ideale, in quale posizione possiamo collocare la Toscana nell’ambito dell’economia circolare? In parole semplici, a che punto siamo?

Risponde Daniele Fortini, presidente di RetiAmbiente Spa, gestore del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti nelle province di Livorno, Lucca, Pisa e Massa-Carrara.

«Storicamente la Toscana è un territorio dove l’economia circolare è stata quasi inventata: in Toscana si riciclavano già gli stracci secoli fa. E non solo. Abbiamo quindi una cultura del riuso e del riciclo particolarmente consolidata e insita nella nostra gente. Da oltre vent’anni la Toscana, nella raccolta differenziata dei rifiuti, conosce livelli di eccellenza. Non ci sono solo i Comuni “campioni”, ma la maggior parte di essi partecipa con successo, raggiungendo vette di valenza internazionale. La cultura del riciclo è quindi antica e tutte le amministrazioni locali propendono per sistemi evoluti per la separazione dei rifiuti. Il “porta a porta” è uno di questi. Per la partita “economia circolare”, dunque, siamo pronti per la valorizzazione delle matrici riciclabili. Per il “trattamento e smaltimento” dei rifiuti non riciclabili c’è ancora da fare, ma abbiamo progetti importanti, anche per l’immediato futuro».

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Giudica sufficiente il contributo dato allo sviluppo dell’economia circolare da parte delle utilities che si occupano di gestione dei rifiuti? Se no, cosa possono fare di più e meglio?

«Tutte le utilities hanno contribuito a diffondere una cultura ecologica virtuosa. Quando si parla di società pubbliche, come lo è Retiambiente, c’è un’osservanza rigorosa degli indirizzi delle amministrazioni, in quanto i Comuni sono proprietari dell’azienda. Quando le utilities sono quotate in Borsa, ovvero hanno una maggior propensione a produrre utili, è normale che debbano generare economie, talvolta meno scrupolose verso le migliori pratiche ambientali. In ogni caso, i primi ad attivare l’innesco dei comportamenti virtuosi sono i cittadini. Le nostre comunità hanno comportamenti civici eccellenti. Conosciamo certamente il fenomeno degli abbandoni e degli errati conferimenti dei rifiuti, ma le nostre comunità hanno raggiunto una sensibilità elevata. Questa disciplina va supportata con la presenza di centri di raccolta, del riuso e di una dotazione impiantistica che trattenga sul territorio la ricchezza derivante dal trattamento a valore dei rifiuti, sia in termini di materiale recuperato, sia di opportunità di lavoro e sviluppo».

Quali sono (se ci sono) i progetti, nel suo ambito, che rappresentano il fiore all’occhiello dell’economia circolare in Toscana?

«Il più sfidante è l’impianto di ossidazione termica, che abbiamo contribuito a individuare come tecnica più promettente. Infatti, permette di valorizzare il rifiuto indifferenziato, che finora poteva essere avviato solo alle discariche o ai termovalorizzatori, recuperando materie riutilizzabili. Lo abbiamo presentato anche a Ecomondo, a Rimini. Si tratta di una tecnologia matura, già applicata anche in Toscana, finora rivolta ai rifiuti liquidi e gassosi. La nostra sfida è usare questa tecnologia, sicura e conveniente, per trattare rifiuti solidi non riciclabili, facendoli diventare nel processo vetro, anidride carbonica commerciale, acqua ed energia. Il tutto senza il rilascio di gas in atmosfera. Nel nostro piano industriale l’ossidatore termico serve a chiudere il ciclo, garantendoci l’autosufficienza, mentre gli impianti di recupero per pannoloni e rifiuti tessili, ingombranti e rifiuti organici, così come per le terre di spazzamento, contribuiranno a chiudere il ciclo dei rifiuti riciclabili».

Quali sono gli ostacoli maggiori che si frappongono a uno sviluppo dell’economia circolare in Toscana?

«Dobbiamo dotarci di impianti in grado di trattenere sul territorio la materia derivante dalle raccolte. Ancora troppi rifiuti vengono portati in impianti dislocati in giro per l’Italia, con ulteriore aggravio dell’inquinamento, offrendo ad altri la ricchezza di materie che potrebbero essere valorizzate da noi. Attualmente andiamo in discarica con il 25% del rifiuto che produciamo, ma entro il 2035 dovremo mettere mano a interventi importanti, perché a quella data potrà finire in discarica solo il 10% del rifiuto prodotto. Serve perciò una dotazione impiantistica in grado di trattare in sicurezza tutti i rifiuti in loco, senza scivolare nella sindrome “Nimby” (Not in my back yard, “Non nel mio cortile”), quella che dice sì agli impianti, ma purché fatti altrove. La tesi secondo la quale sarebbe preferibile interrare in discarica i rifiuti non riciclabili piuttosto che valorizzarli è contraria alla gerarchia europea dei rifiuti e anche al buonsenso ecologico. In altre regioni, uno dei freni alla raccolta differenziata è anche dato dalle discariche e dagli inceneritori, che rappresentano un sistema semplice e comodo di smaltimento. Si deve tener conto però che gli spazi delle discariche non sono infiniti e che gli inceneritori presto potrebbero essere gravati di una onerosa carbon tax, come già in Germania, Svezia e Norvegia. Il nostro territorio ha considerato tali impianti superati, evitando di investire in strutture di quel tipo, che in prospettiva avranno costi molto più elevati rispetto al passato».

In tale contesto quale contributo possono dare i cittadini?

«L’impegno dei cittadini è essenziale e deve essere premiato con il contenimento della Tari, con in prospettiva la sua riduzione. Chiediamo uno sforzo importante, di cui il cittadino deve percepire il beneficio. Come già accade altrove, la dotazione di un parco impianti moderno e sicuro da cui ricavare profitti è la leva fondamentale per non gravare di ulteriori costi le comunità e le amministrazioni servite». l

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