Sono in contrasto con i principi dell’Unione europea le clausole di “parità” delle tariffe inserite negli accordi tra piattaforme di prenotazione e intermediazione online e prestatori di servizi alberghieri che impongono alle strutture ricettive di non offrire prezzi inferiori rispetto a quelli offerti dalla piattaforma di prenotazione e intermediazione utilizzata.
La vicenda ruota intorno a Booking.com BV che, a seguito di una richiesta risarcitoria avanzata nei suoi confronti da una sessantina di albergatori tedeschi, aveva chiesto al Tribunale competente di far dichiarare, da un lato, che le “clausole di parità” non violavano l’art 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e, dall’altro, che gli albergatori non avevano subito alcun tipo di danno a causa di tali clausole. Dopo alterne vicende, la questione viene sottoposta alla Corte europea che, nella causa C-264/23 (udienza 19/09/2024), chiarisce come certamente queste clausole di parità possono migliorare l’efficienza delle piattaforme, ma non sono compatibili con le normative antitrust europee e, in particolare, con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.
La sentenza della Corte giustizia Unione Europea, Sez. II, Sent., (data ud. 19/09/2024) 19/09/2024, 264/23 è stata analizzata dalla nostra partner Donatella Marino, in un articolo pubblicato da Euroconference-Legal → link https://www.eclegal.it/hospitality-digitale-parita-tariffe-chiarimenti-della-corte-giustizia-unione-europea-nella-sentenza/
Qual è il contesto storico e normativo?
Nel 2006, Booking.com decideva di inserire una clausola di “parità ampia” nei contratti con gli hotel e le strutture ricettive che si valevano della sua piattaforma. La clausola impediva a questi utenti di offrire tariffe più basse “sui propri canali di vendita o su canali di vendita gestiti da terzi”. Nel 2013, l’Autorità tedesca per la concorrenza stabiliva però che questa clausola violava le normative antitrust e ordinava la sua rimozione. Booking.com sostituiva così la clausola con quella per una “parità ristretta”, che limitava la restrizione ai soli canali di vendita diretti. Tuttavia, nel 2015, l’Autorità tedesca considerava anche questa clausola dannosa per la concorrenza. Nel 2019, un tribunale tedesco ammetteva la parità ristretta come una restrizione accessoria necessaria, ma nel 2021 la Corte federale tedesca annullava questa decisione, affermando che la restrizione non era invece né necessaria né giustificata.
Nel 2020, Booking.com si rivolge di conseguenza al Tribunale di Amsterdam chiedendo di chiarire che le clausole di parità non violano l’art. 101 del TFUE. Il giudice olandese si rivolge dunque alla Corte di Giustizia europea domandando se tali clausole possano essere considerate “restrizioni accessorie” e come definire il mercato rilevante secondo il regolamento 330/2010 quando le transazioni avvenivano tramite piattaforme OTA.
Secondo il Tribunale autore del rinvio, “la questione da chiarire in primo luogo è se le clausole di parità della tariffa, tanto ampie quanto ristrette, che sono inserite nei contratti conclusi tra le OTA e i prestatori di servizi alberghieri, debbano, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, essere qualificate come «restrizioni accessorie».
Cosa ha deciso la Corte di Giustizia?
Secondo la giurisprudenza europea, una restrizione può essere considerata “accessoria” se è essenziale per l’attuazione dell’operazione principale, senza comprometterne l’esistenza. Per essere compatibile con l’articolo 101 TFUE, la restrizione deve essere anche proporzionata rispetto agli obiettivi dell’attività. È necessario esaminare se esistano alternative meno restrittive.
Nel caso specifico, l’attività principale di Booking.com – la prenotazione di alloggi online – ha effetti positivi sulla concorrenza, migliorando l’efficienza e offrendo vantaggi sia ai consumatori che agli albergatori. Tuttavia, le clausole di parità che impediscono agli albergatori di offrire prezzi più bassi su altre piattaforme non sono considerate necessarie né proporzionate per il buon funzionamento del servizio.
L’assenza di queste clausole potrebbe influire sulla redditività della piattaforma, ma ciò non le rende indispensabili.
“Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che le clausole di parità, sia ampia che ristretta, inserite negli accordi conclusi tra le piattaforme di prenotazione alberghiera online e i prestatori di servizi alberghieri, non esulano dall’applicazione di tale disposizione per il fatto che sarebbero accessorie a detti accordi.”
Source link
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
Source link