Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Eā il metodo del putiniano buono e del putiniano cattivo?
Giuseppe De Filippi
Al direttore – Nella sua biografia di Immanuel Kant (il Mulino, 2011), Manfred Kuehn racconta questo aneddoto. Un giorno, durante la consueta passeggiata di unāora nelle vie di Kƶnigsberg, il filosofo tedesco vede un mendicante che, tutto piegato su se stesso, chiede lāelemosina. A quel punto, contravvenendo alla sua nota indole mite e caritatevole, perde le staffe e solleva il bastone come per colpirlo. In realtĆ non ce lāaveva con lui, tantomeno pensava che la sua presenza compromettesse il decoro della cittĆ . Il suo scatto dāira era dovuto alla postura genuflessa del mendicante, che offendeva la dignitĆ che spetta a ogni essere umano, sia esso ricco o povero. Quella dignitĆ che ci fa camminare a testa alta, e che non ci fa prostrare e umiliare davanti a qualcuno piĆ¹ potente di noi. Come dovrebbero fare i sedicenti democratici europei, e quindi anche i sedicenti democratici italiani, invece di belare come pecore (ma loro la chiamano Realpolitik) al cospetto dellāorso russo. Poscritto: probabilmente Giuseppe Di Vittorio non conosceva il pensiero di Kant. In ogni caso, quando insegnava ai braccianti pugliesi di non inchinarsi e di non togliersi la coppola dinanzi ai āsignoriā, lo aveva compreso fino in fondo.
Michele Magno
Sarebbe stato interessante sapere cosa ne avrebbe pensato, Kant, di una frase di questo tipo, pronunciata due giorni fa dalla segretaria del Partito democratico: āNoi non siamo con Trump e il suo falso pacifismo e non siamo con lāEuropa per continuare la guerraā. A Schlein, per volare alto, suggeriamo un formidabile passaggio di Kant, contenuto in un saggio intitolato āPer la pace perpetuaā, pubblicato nel 1795: āChiunque venga attaccato puĆ² difendersi e non dovrebbe essere costretto ad accettare un trattato di pace che lāaggressore conclude con la cattiva volontĆ di riprendere la guerra alla prima occasione favorevoleā.
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Al direttore – Si ĆØ consolidato ormai in larga parte dellāopinione pubblica, circa la questione israelo-palestinese, un orientamento che vuol essere, ritiene di essere fautore di pace, e di fatto ĆØ precisamente il contrario. Eā piĆ¹ che mai importante prenderne consapevolezza nel nuovo contesto che si ĆØ aperto. Ora ĆØ in vigore la tregua. Ma ogni giorno, lo vediamo, essa ĆØ in forse. Soprattutto ĆØ chiaro che se anche dura, e finchĆ© dura, ĆØ solo una pausa in attesa che la guerra riprenda. La ragione balza evidente: Hamas, e con Hamas il regime iraniano, ha come proprio obiettivo essenziale, addirittura come ragion dāessere, la distruzione dello stato di Israele. Il 7 ottobre ha dimostrato che per ādistruzione dello stato di Israeleā esso intende lo sterminio di tutti gli israeliani, e se possibile di tutti gli ebrei. Hamas dunque vuole, progetta guerra. E costringe Israele a praticarla, come ha fatto dopo il 7 ottobre, perchĆ© il suo governo ā non il governo Netanyahu, ma qualunque governo, che ha il dovere di proteggere il proprio popolo ā non puĆ² ammettere che al suo confine operi e cresca una struttura militare che questa unica finalitĆ persegue (per tutto questo lunghissimo periodo, si badi, nessuno ha saputo suggerire a Israele come altrimenti difendersi). Da questa struttura di fondo del conflitto ĆØ derivato lāorrore della strage e della distruzione a Gaza, la striscia ultrapopolata in cui Hamas ha installato la propria struttura militare e di cui ha fatto il proprio scudo umano. Se ĆØ cosƬ, ed ĆØ cosƬ, i moti di opinione pubblica in occidente che per chiedere pace rivendicano āPalestina libera dal fiume al mareā, cioĆØ la distruzione di Israele come la vogliono Hamas e lāIran khomeinista, operano per costringere Israele a difendersi con la guerra. Di fatto, contro le proprie intenzioni pacifiste, finiscono per chiedere guerra. Non a caso, da questi moti dāopinione sorge la ripresa di un antisemitismo che richiama il nazismo e lo stalinismo del patto Molotov-Ribbentrop. Lāopinione pubblica delle democrazie pesa. Occorre, ĆØ indispensabile che a quel moto di opinione se ne contrapponga un altro che chieda, invece, un vero percorso di pace, una offensiva di pace. La premessa indispensabile ĆØ che lāuna e lāaltra parte rinuncino allāobiettivo di distruggere lāavversario; che decidano di scegliere che anche gli altri devono poter vivere ed esistere. Insomma: un movimento che voglia davvero la fine della guerra deve in primo luogo esigere che venga eliminata dalla scena la volontĆ di cancellare Israele. A partire da una tale premessa diverrĆ irresistibile la richiesta di assicurare autogoverno alla popolazione arabo-palestinese. Strada ardua? Certo, in primo luogo perchĆ© Hamas e gli ayatollah iraniani non possono rinunciare a eliminare Israele: per loro non ĆØ un obiettivo politico nazionale, ma un irrinunciabile obbligo religioso, posto che nella loro visione dellāislam ĆØ obbligo dettato da Dio che quella terra santa abbia governo islamico. Un moto dāopinione davvero volto alla pace dovrebbe aiutare, sollecitare, sostenere un processo che nel mondo arabo-islamico porti a isolare, emarginare i fondamentalisti di Hamas, e in Iran a sostenere con efficacia la straordinaria resistenza contro il regime teocratico in nome dei diritti della persona. Insieme, naturalmente, dovrebbe sostenere lāemarginazione in Israele delle minoranze che pretendono il possesso dellāintera Palestina perchĆ© promessa da Dio agli ebrei, e lāinaccettabile politica di espropri e colonizzazione in Cisgiordania. Con tali premesse Europa Radicale lancia questa sfida. Il nostro auspicio ĆØ che in Italia e in occidente si contrapponga lāidea del percorso di pace a quella del falso pacifismo che si limita a mettere in stato di accusa Israele, come se fosse esso a volere e a causare la guerra. Falso pacifismo commisto agli umori āantioccidentaliā che, per molteplici ragioni, pervadono le nostre opinioni pubbliche, contestando la civiltĆ democratico-liberale di cui anche Israele ĆØ unāespressione. Un orientamento delle opinioni altro da quello oggi prevalente potrebbe dare un contributo essenziale anche a far maturare condizioni diverse da quelle presenti in medio oriente.
Lorenzo Strik Lievers, direttivo di Europa Radicale
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