COP16 biodiversità, qualcosa si muove

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Agricoltura

 


©FAO/Pier Paolo Cito

E’ un compromesso dibattuto ma che apre spiragli al percorso di tutela e protezione della biodiversità quello che esce dalla seconda sessione della COP16 della Convenzione sulla Diversità Biologica che si è svolta dal 25 al 27 febbraio presso la sede Fao di Roma. Al centro della discussione, che si è chiusa nella notte di ieri, è stato l’obiettivo di affrontare e trovare una soluzione condivisa ai temi rimasti sul tavolo della discussione dopo le sessioni di lavoro a Cali, in Colombia, a fine novembre scorso. Legati principalmente ai finanziamenti che Paesi e operatori privati, filantropici e multilaterali sono chiamati a mettere in campo per politiche di sostegno alla biodiversità.

Divario Nord-Sud da colmare

A dare la misura della situazione attuale sono alcuni dati, secondo cui oltre il 50% del prodotto interno lordo globale è legato direttamente ad attività legate alla biodiversità. La cui perdita ha gravi ripercussioni sulla qualità ambientale e sulla salute di intere popolazioni e comunità locali, a partire dai Paesi più poveri.

Il pacchetto di decisioni chiave prese a Roma ruota attorno ai temi della finanza delle azioni a favore della biodiversità, con un forte riequilibrio fra Nord e Sud del mondo, e del monitoraggio che misurerà il progressivo raggiungimento degli obiettivi.

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Sul divario che separa ancora oggi i Paesi in via di sviluppo e avanzati resta molto da lavorare; con qualche premessa che lascia aperta la strada ai prossimi step. Ancora niente di fatto per la creazione di un nuovo fondo dedicato esplicitamente ed esclusivamente alla biodiversità, ma all’interno della cornice del già esistente Global Environment Facility (Gef) sarà istituita una struttura permanente per il nuovo meccanismo finanziario che dovrà essere adottato nel 2028. Confermate le misure già previste con la mobilitazione di almeno 200 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, mentre i Paesi a economie avanzate dovranno mettere a disposizione del Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal (l’agenda globale dell’Onu che definisce 23 target per fermare e invertire la perdita di natura entro il 2030) una cifra pari ad almeno 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025 e almeno 30 miliardi entro il 2030.

In questa direzione si muove anche la richiesta dell’avvio di un dialogo internazionale tra i ministri dell’Ambiente e delle Finanze dei Paesi sviluppati e in via di sviluppo, per contribuire ad accelerare la mobilitazione delle risorse.

Il monitoraggio dei risultati progressivamente raggiunti secondo i diversi obiettivi potrà avvenire attraverso l’uso di un apposito pacchetto di indicatori approvati dall’assemblea.

Poche risorse a disposizione

L’appello per la COP16 di Roma, a cui hanno aderito 39 organizzazioni e reti di organizzazioni, aveva rimesso sul tavolo della discussione i temi caldi rimasti irrisolti in Colombia.

A fronte di un quadro globale nel quale, si legge:

“la distruzione di biodiversità, gli eventi climatici estremi e la crescente carenza di risorse naturali costituiranno i principali rischi per la stabilità globale nel prossimo decennio”, con un rischio ancora più significativo per i Paesi in via di sviluppo, lo “sviluppo internazionale sostenibile, che rispetti i limiti planetari per creare prosperità, lavoro e inclusione sociale, richiede un cambio di paradigma nel rapporto tra Nord e Sud del mondo con sforzi aggiuntivi e non più rinviabili da parte delle economie più avanzate per mobilitare risorse finanziarie adeguate a contrastare il declino della biodiversità”.

Secondo l’appello, a livello globale, si stima siano necessari tra i 722 e i 967 miliardi di dollari l’anno per gestire in modo sostenibile la biodiversità e mantenere l’integrità degli ecosistemi. Attualmente, solo 135 miliardi di dollari l’anno vengono spesi per la conservazione della natura, lasciando un enorme deficit di finanziamento. Al tempo stesso i sussidi pubblici diretti a sostegno dei settori che generano il declino della biodiversità variano da 1,4 a 3,3 trilioni di dollari ogni anno (citando l’IPBES Transformative Change Assessment, 2024).

Un fondo per la biodiversità

Un risultato c’è. La giornata di apertura della COP16 a Roma ha registrato un importante cambio di passo con il lancio dell’atteso fondo Cali per il finanziamento delle azioni di equa redistribuzione dei benefici e dei profitti derivanti dall’uso delle informazioni relative al sequenziamento digitale (DSI) delle risorse genetiche.

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Non c’è tutela della biodiversità senza un’adeguata condivisione con le nazioni e popolazioni da cui provengono le risorse prelevate; il Fondo, che sarà su base volontaria, prevede per una percentuale del 50 per cento sul totale di colmare almeno in parte il divario finanziario legato allo sfruttamento delle risorse di biodiversità anche a favore delle popolazioni indigene che di questa sono custodi, mobilitando finanziamenti privati da parte delle aziende che vorranno accedere alle informazioni genetiche provenienti dalla natura. Fra i primi a essere coinvolti saranno i settori farmaceutico, cosmetico, agroalimentare e biotecnologico.

Primo passo

Il fondo Cali rappresenta il primo passo per implementare le risorse finanziarie del Quadro globale per la biodiversità (Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework) basato su quattro obiettivi e 23 target da raggiungere entro il 2030.

I quattro obiettivi finali da raggiungere, in una prospettiva che guarda al 2050, consistono nella riduzione delle minacce alla biodiversità, l’utilizzo sostenibile della biodiversità con la valorizzazione e conservazione dei benefici offerti alle persone, la condivisione equa dei benefici, economici e non, derivanti dalle risorse genetiche, che includa anche le popolazioni locali, l’implementazione e l’accessibilità per tutte le parti coinvolte agli strumenti necessari all’attuazione dell’accordo, compresi quelli finanziari, tecnici, scientifici e tecnologici.

I target comprendono fra gli altri: l’adozione di strumenti di pianificazione efficaci nella gestione e uso dei territori; la protezione del 30% delle aree marine e del 30% delle aree terrestri, che devono diventare aree protette o soggette ad altre modalità di tutela riconoscendo e rispettando, nel contempo, i diritti delle popolazioni indigene e delle comunità locali; l’integrazione dei valori della biodiversità all’interno dei processi produttivi; la riduzione degli incentivi dannosi per la biodiversità di almeno 500 miliardi di dollari l’anno destinando questi fondi alla protezione e al ripristino della natura con l’uso sostenibile della biodiversità, insieme con il meccanismo di finanziamento annuale costante entro il 2030 improntato all’approccio equo e sostenibile verso i Paesi in via di sviluppo che ha trovato a oggi effettiva conferma alla COP16 di Roma.

Soddisfatto per i risultati raggiunti il mondo ambientalista, protagonista all’apertura dei lavori di un flash mob sotto l’egida del Climate Pride, davanti alla sede Fao. Ma ora si deve passare dalle parole ai fatti.

“Ci congratuliamo per aver raggiunto questi risultati in un contesto politico globale difficile – ha dichiarato Efraim Gomez, Global Policy Director del WWF Internazionale –. C’è consenso su come procedere per mettere in atto gli accordi finanziari necessari per fermare la perdita di biodiversità e ripristinare la natura. Tuttavia, questo accordo non è sufficiente. Ora inizia il vero lavoro. È preoccupante che i Paesi sviluppati non siano ancora sulla buona strada per onorare il loro impegno di mobilitare 20 miliardi di dollari entro il 2025 a favore dei Paesi in via di sviluppo”.

Anche se deve ancora ricevere contributi, il fondo Cali rappresenta una vittoria significativa per le popolazioni indigene e le comunità locali. “A Roma le Parti hanno rinnovato e rafforzato il consenso comune per la tutela della natura – ha aggiunto Bernardo Tarantino, Specialista Affari Europei e Internazionali del WWF Italia -. In un contesto internazionale molto complicato, servono coraggio e leadership per portare avanti l’agenda diplomatica per la tutela della natura. Dopo la scarsa attenzione mostrata per la COP16 ospitata dal nostro Paese, auspichiamo che il Governo italiano si unisca con maggiore convinzione e forza alla necessità di aumentare le risorse finanziarie per la biodiversità e a eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente”.

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Sulla stessa linea anche Greenpeace. “Questo accordo aiuta a mantenere la fiducia sulla possibilità di colmare il divario tra le promesse fatte e i finanziamenti da stanziare per proteggere la natura, ma adesso serve mettere i soldi sul tavolo – ha dichiarato An Lambrechts, responsabile della delegazione di Greenpeace alla COP16 -. Questo significa garantire rapidamente 20 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti pubblici a partire dal 2025 e contributi concreti al fondo di Cali da parte delle grandi aziende farmaceutiche e agroindustriali che traggono profitto dalla natura, pari almeno all’1% dei loro ricavi. Inoltre, i processi avviati a Roma dovranno eliminare i sussidi dannosi per la natura e creare nuovi strumenti di finanziamento trasparenti, equi e giusti».

Sul fondo Cali, ha aggiunto Martina Borghi, campagna Foreste di Greenpeace Italia, “l’accordo raggiunto a Roma dimostra che la nostra richiesta di passare dalle promesse ai fatti per difendere la natura è arrivata al tavolo dei negoziati. Ora è fondamentale che i Paesi del Nord del mondo rispettino i loro impegni e trasformino le decisioni di questi giorni in finanziamenti concreti per proteggere la biodiversità”.

Parla il Living Planet Report

In vista dell’appuntamento di Roma il WWF aveva messo sul tavolo con il Living Planet Report (Lpr), pubblicato a ottobre 2024, i numeri di una crisi che, se non affrontata con urgenza, possono solo delineare una possibile catastrofe in termini di tutela della biodiversità e dell’ambiente. Secondo i dati del rapporto, il 55% del prodotto interno lordo globale, pari a 58mila miliardi di dollari, dipende in misura moderata o elevata dalla natura e dai suoi servizi a fronte di uno sfruttamento insostenibile delle risorse naturali, il degrado ambientale e il cambiamento climatico. Una quota pari a circa 7mila miliardi di dollari si riversano ogni anno in attività che alimentano la crisi naturale e climatica sotto forma di finanza privata, incentivi fiscali e sussidi pubblici che aggravano il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi. In sintesi, sottolinea Lpr, il 7% del Pil mondiale distrugge le basi della sopravvivenza umana sul Pianeta.

Nel rapporto si analizza anche la possibilità di riportare in equilibrio la bilancia del sistema finanziario globale per conseguire gli obiettivi legati a natura, clima e sviluppo sostenibile: ad esempio reindirizzando anche solo il 7,7% dei flussi finanziari negativi, si potrebbe colmare il deficit di finanziamento per soluzioni basate sulla natura e fornire benefici alla natura, al clima e al benessere umano attraverso la protezione, il ripristino e la gestione sostenibile delle terre e delle acque.

Il nodo cruciale sono sempre i finanziamenti a disposizione per garantire questo percorso. Sempre secondo Lpr, il deficit di finanziamenti per una transizione energetica volta a mantenere il mondo entro l’obiettivo di 1,5°C è ancora più ampio. Mentre i finanziamenti globali per il clima per il settore energetico si sono avvicinati a 1.300 miliardi di dollari nel periodo 2021-2022, dovuti in gran parte a un aumento dei finanziamenti per le energie rinnovabili e i trasporti, la necessità è di 9mila miliardi di dollari l’anno fino al 2030 per finanziare sia la mitigazione delle emissioni di gas serra, sia l’adattamento agli impatti del cambiamento climatico.

Allo stesso modo, ribadisce il report WWF, la transizione verso un sistema alimentare sostenibile richiede un enorme aumento della spesa, pari a 390-455 miliardi di dollari l’anno, da fonti pubbliche e private; comunque inferiore a quanto i governi spendono ogni anno in sussidi agricoli dannosi per l’ambiente. Come recentemente rilevato dall’IPBES (la piattaforma intergovernativa delle Nazioni Unite con il compito di valutare lo stato della biodiversità e dei servizi eco-sistemici allo scopo di promuovere l’interfaccia tra scienza e politica), un’azione immediata per la biodiversità potrebbe al contrario generare un valore di oltre 10 trilioni di dollari e sostenere 395 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2030. Mentre ritardare l’azione per la biodiversità, anche di un solo decennio, potrebbe addirittura comportare un raddoppiamento dei costi rispetto a quelli da sostenere nel quadro di un’azione immediata.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Finanziare la natura

Come agire per modificare questo quadro? Il WWF indica due pilastri di riferimento che possono colmare le lacune rafforzandosi a vicenda. Il primo prevede di mobilitare finanziamenti per la conservazione e l’impatto climatico su larga scala, come fondi incentrati sulla conservazione, obbligazioni, prestiti e prodotti assicurativi che mitigano il rischio e costruiscono resilienza, investimenti a lungo termine in imprese e attività rispettose della natura. A questi si affiancano le soluzioni Bankable Nature Solutions, imprese e progetti finanziariamente sostenibili che aiutano a ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità, combattere il cambiamento climatico e contribuire al benessere delle persone, attirando allo stesso tempo investimenti commerciali che consentano loro di crescere su larga scala, e gli Scambi debito-per-natura, basati sulla cancellazione di una parte del debito sovrano di un Paese a basso e medio reddito in cambio del finanziamento della conservazione in quello stesso Paese, o il Project finance for permanence (PFP), concepito per garantire i finanziamenti, la capacità, i partenariati e le politiche a lungo termine per la conservazione della natura e dei suoi benefici.

La finanza verde è al centro del secondo pilastro individuato dal WWF, con l’allineamento dei sistemi finanziari per conseguire gli obiettivi legati alla natura, al clima e allo sviluppo sostenibile. Il nostro sistema finanziario, sottolinea l’associazione ambientalista, ha un impatto sugli ecosistemi pur dipendendo da essi. Secondo uno studio pubblicato dalla Banca Centrale Europea nel giugno 2023, il 75% di tutti i prestiti bancari in Europa sono destinati ad aziende che dipendono fortemente da almeno un servizio ecosistemico (come controllo dell’erosione, approvvigionamento idrico, protezione da inondazioni e tempeste, assorbimento di carbonio e stoccaggio, impollinazione) per continuare a produrre i propri beni o a fornire i propri servizi.

Le istituzioni finanziarie, le banche centrali e le autorità di regolamentazione finanziaria sono sempre più consapevoli di questi rischi e sviluppano iniziative per affrontarli. Un esempio è l’Iniziativa di regolamentazione finanziaria sostenibile: dal 2021, il Sustainable Financial Regulations and Central Bank Activities (Susreg) Tracker 2023 mostra come diverse banche centrali e regolatori finanziari stiano rendendo più ecologica la loro regolamentazione e vigilanza finanziaria. Un’apertura a un approccio innovativo che però a ora sembra recepito principalmente dai Paesi in via di sviluppo, mentre – rimarca ancora il Lpr – i Paesi ad alto reddito, i Paesi con le maggiori emissioni di gas serra e quelli con la maggiore biodiversità sono, ancora, significativamente indietro.

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