La Grecia si è fermata: «Giustizia per i morti della strage del treno»

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Per un giorno la Grecia si è fermata. L’unico incontro possibile nella capitale è sembrato piazza Syntagma – straripante di persone, oltre 200mila secondo la polizia – o uno dei 200 raduni che si sono tenuti nelle altre città elleniche, a cui hanno partecipato più di 100mila cittadini.

Una sola rivendicazione ha attraversato il Paese fino alle porte del parlamento: chiedere giustizia per le 57 vittime dell’incidente ferroviario di due anni fa a Tebi, il cui nome è stato dipinto, rosso come il sangue, sul pavimento dove le guardie presidenziali sono solite darsi il cambio. I sindacati del settore pubblico e di quello privato hanno scioperato. Fermi i traghetti e i treni, cancellati alcuni voli, con una richiesta: che il governo di destra guidato da Kyriakos Mitsotakis non insabbi le indagini sul peggiore incidente ferroviario della storia greca. La mobilitazione, così imponente come non se ne vedeva dagli anni della crisi del debito, è degenerata nella capitale in due ore di scontri tra anarchici e polizia. Il lancio di pietre e molotov è stato seguito dalle granate stordenti, dagli idranti e dai lacrimogeni dei poliziotti che hanno riempito di fumo piazza Syntagma (più di dieci i feriti lievi e cinquantasette arresti).

IL 28 FEBBRAIO di due anni fa, un Intercity partito da Atene e diretto a Salonicco, con a bordo molti ventenni di ritorno dalle feste di carnevale, si è scontrato con un treno merci che viaggiava sullo stesso binario, in direzione opposta. Il capostazione, per un errore umano, aveva indirizzato l’Intercity sul binario sbagliato, ma la tragedia ha suscitato grande rabbia perché sulla linea non era operativo il sistema di segnalazione automatica finanziato con i fondi Ue, né il sistema di controllo della marcia dei treni (Etcs) che avrebbe evitato la tragedia.

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Due anni dopo, le indagini preliminari sono ancora in corso. Molte le domande che necessitano di una risposta, a partire dalle cause che hanno scatenato, subito dopo la collisione, un vasto incendio. I corpi di 27 vittime sono stati consegnati carbonizzati alle loro famiglie e gli audio registrati da alcuni dei loro cellulari hanno confermato che c’erano dei passeggeri vivi dopo lo scontro. «Non ho ossigeno» è la frase di una delle vittime che è diventata lo slogan della protesta.

SECONDO LA PERIZIA di un tecnico commissionata dall’associazione dei familiari delle vittime, sul luogo dell’incidente sono state rinvenute tracce importanti di solventi chimici, come lo xilene, usato per adulterare la benzina, che hanno alimentato il sospetto, condiviso dalla maggior parte dei greci, secondo il quale il treno merci trasportava un «carico fantasma» destinato al contrabbando di carburante, molto redditizio per le organizzazioni criminali in Grecia. Sarebbero stati questi idrocarburi, e non gli olii al silicone dei trasformatori dei treni, come ipotizzato all’inizio dalle ferrovie greche, a scatenare l’incendio. Uno scenario avallato dal rapporto pubblicato due giorni fa dall’Organizzazione nazionale per le indagini sugli incidenti aerei e ferroviari, secondo il quale la struttura dei treni non può avere causato l’incendio, e «la presenza di un combustibile sconosciuto» è ritenuta «possibile».

SECONDO l’organizzazione nazionale, fino a 7 passeggeri sarebbero morti per le fiamme. Le telecamere di sicurezza delle stazioni lungo il tragitto avrebbero potuto verificare la presenza o meno del carico fantasma, ma gli hard disk sono stati consegnati per l’analisi forense solo 21 mesi dopo l’incidente, quando le registrazioni erano ormai irrecuperabili. E l’intervento dei vigili del fuoco sul luogo ha compromesso la raccolta di «informazioni vitali» sulle cause dell’incendio, denuncia il rapporto. Per i familiari delle vittime si è trattato di un vero e proprio «insabbiamento»: i detriti sono stati rimossi in tutta fretta, e il sito è stato contaminato da ghiaia e asfalto, con la motivazione di facilitare il lavoro delle ruspe.

La richiesta di verità lambisce anche l’Italia: se infatti le infrastrutture ferroviarie ricadono sotto la responsabilità della compagnia statale Ose, la società di trasporto ferroviaria greca che gestisce merci e passeggeri, oggi chiamata Hellenic Train, è controllata dalle Ferrovie dello stato italiane, che l’ha acquisita nel 2017 quando le ferrovie elleniche vennero spacchettate e in parte privatizzate su ordine dalla Troika.

IL PREMIER MITSOTAKIS, due anni fa, aveva escluso l’ipotesi del carico illegale, ma nel mese scorso ha ammesso che «tutti gli scenari vanno presi in considerazione». Nel tentativo di deviare l’attenzione dalle responsabilità del governo, Mitsotakis ha ricordato che, stando a quanto dichiarato da Hellenic Train, il treno merci trasportava lamiere, preparati alimentari, birra, fili di ferro e container vuoti. «Se verrà dimostrato (che il treno merci trasportava un carico illegale) Hellenic Train dovrà risponderne giuridicamente e politicamente», ha detto.

La protesta viene cavalcata non solo dall’opposizione di sinistra, ma anche dal partito di estrema destra Ellinikì lisi, determinato a sottrarre il consenso ai conservatori di Nea Dimokratia, e in mezzo ai consiglieri del premier molti temono che le prossime elezioni nazionali (tra due anni) si svolgeranno con il processo in corso. I socialisti del Pasok depositeranno, nei prossimi giorni, una mozione di sfiducia che non ha i numeri per mettere in crisi il governo, saldo nella sua maggioranza parlamentare, ma lo spettro di Tebi aleggerà ancora a lungo su questo esecutivo.
«La società ha compreso che chiunque avrebbe potuto trovarsi su quel treno, e che questo delitto riguarda la nostra sicurezza quotidiana – racconta Vaggelis Vlachos, il cui fratello, Baios, è morto a 34 anni a Tebi – per questo i cittadini danno coraggio e ossigeno al nostro grido di giustizia».



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