L’ULTIMA STANGATA
Nelle settimane passate sono emerse all’onore della cronaca le scelte dell’Amministrazione comunale di Bologna e della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna relativamente alla manovra per far fronte ai tagli del trasporto pubblico locale, nel caso di Bologna, e della sanità a livello regionale.
Il sindaco di Bologna Lepore ha annunciato che dal 1° marzo scatterà l’aumento del biglietto della corsa singola dei bus da 1,5 a 2,3 €, la rimodulazione del costo degli abbonamenti e un rincaro della sosta a pagamento per gli autoveicoli. Dalla Regione sono uscite le indicazioni per incrementare l’addizionale Irpef, in modo progressivo, per i redditi sopra i 28.000 €, aumentare l’IRAP, il bollo auto e far pagare i tickets sanitari sopra i 35.000 € di reddito ISEE.
Entrambe queste impostazioni sono sbagliate. Pur nella differenza di ambiti e di specifici interventi, esse vanno in una direzione non condivisibile per almeno tre ragioni.
La prima è che, guardando al merito delle stesse, produrranno effetti seriamente negativi rispetto alla difesa del sistema di Welfare, di cui le politiche dei trasporti e quelle della salute sono cardini importanti. L’incremento del costo dei biglietti del bus e delle linee extraurbane produrranno inevitabilmente un disincentivo all’utilizzo del trasporto pubblico, mentre sia le politiche della mobilità sia quelle relative alla riduzione delle emissioni climalteranti ci dicono che occorre andare in tutt’altra, anzi, opposta direzione.
Il modello cui fare riferimento non è quello messo in campo da questo e dai precedenti governi che spingono ad innalzare le tariffe, definanziando il Fondo nazionale trasporti, ma semmai quello di Montpellier, città media francese paragonabile a Bologna con i suoi 300.000 abitanti, che dalla fine del 2023 ha deciso di rendere gratuito il trasporto pubblico urbano e che, dai primi dati a disposizione, ha visto crescere di circa il 20% i passeggeri che usufruiscono di tale servizio.
Allo stesso modo, l’intenzione di legare l’importo dei tickets sanitari al reddito – che però andrà vista meglio quando verranno rese note e precisate le modalità – restringe l’area dell’universalismo della prestazione e incentiva a non ricorrere al servizio pubblico, proprio quello che, a parole, la Giunta regionale dichiara di voler contrastare.
Il secondo punto fortemente critico di queste manovre è che vanno a colpire in particolare le classi medio-basse. Infatti, già di per sè l’utilizzo delle tariffe ( costo dei biglietti e tickets) ha un effetto regressivo, per il semplice fatto che le tariffe, a differenza dell’uso della fiscalità ( e in questo, in verità, l’intervento sull’addizionale IRPEF regionale ha meno questo segno), pesano di più in termini proporzionali sui redditi medio-bassi. Soprattutto, però, l’innalzamento del contributo a carico dei cittadini sul trasporto pubblico e sulla sanità, va ad aggiungersi al forte incremento tariffario relativo agli altri servizi pubblici (gas, elettricità ed acqua in primis) che si sta registrando da alcuni anni qua e che ha già letteralmente falcidiato i redditi medio-bassi.
Terza ragione che mi fa dire che siamo in presenza di un’impostazione sbagliata è che assistiamo al paradosso per cui è in primo luogo il governo nazionale di destra a portare la responsabilità di attaccare pesantemente il sistema pubblico e il Welfare, puntando esplicitamente ad una loro privatizzazione, e i governi locali devono farsi carico di coprire i tagli che da lì derivano, magari rispolverando, a partire dai governi di centrosinistra, il desueto e ormai autolesionista “senso di responsabilità”. Non rendendosi conto (voglio sperare, perchè altrimenti, sarebbe ancora peggio) che, così facendo, si alimenta il già troppo diffuso sentimento per cui le persone ritengono che “tutti sono uguali”, che tanto la politica, intesa in modo indifferenziato e generalizzato, non fa altro che gravare sulle tasche dei cittadini. Producendo, alla fine, un ulteriore distacco tra le persone e l’agire politico e acuendo l’idea della mancanza totale di rappresentanza, di cui la crescita dell’astensionismo elettorale e il calo della partecipazione alle scelte pubbliche sono già una buona testimonianza. In più, si rischia di rendere poco plausibile e scarsamente coerente una linea per cui l’opposizione di centrosinistra, a livello nazionale, denuncia i tagli al Welfare e poi, a livello territoriale, si fa carico delle loro conseguenze.
Ovviamente, è più che legittimo che qualcuno avanzi il rilievo relativo al fatto di poter percorrere altre strade possibili. Il mio parere è che se ne potevano e se ne possono individuare almeno due, più efficaci ed eque.
La più radicale, ma anche quella per me preferibile, è quella di sottrarsi alla “trappola del debito”, ovverossia decidere di non coprire i buchi di bilancio dell’azienda dei trasporti di Bologna e delle aziende sanitarie regionali e aprire una vertenza con il governo centrale perchè sia lo stesso ad intervenire per incrementare le risorse del Fondo nazionale trasporti e del Fondo sanitario nazionale. Una strada che non sta nelle corde solo di chi, invece, come purtroppo è successo al centrosinistra egemonizzato dall’ideologia neoliberista da diversi decenni in qua, continua ad essere preda dell’ “ossessione del debito”, visto come male in sé.
Del resto, fare debito a livello locale e rivendicare che sia il governo centrale a farvi fronte è una scelta già compiuta in passato, proprio dalle Amministrazioni locali emiliane, in particolare negli anni ‘60 del secolo scorso, e ciò fu proprio la leva con cui si costruì il Welfare in questa terra e si fondò il “modello emiliano”.
In proposito, può essere utile ricordare che tale approccio venne utilizzato a partire dal lontano 1961 dallo storico sindaco di Bologna Giuseppe Dozza, che all’epoca, nella sua relazione al bilancio preventivo affermava che “una prima sommaria e prudenziale valutazione delle esigenze attuali della città…è già sufficiente a misurare i termini, politici prima ancora che finanziari, del divario esistente tra i bisogni della collettività cittadina e le possibilità effettive che sono lasciate attualmente all’ente locale di soddisfarli…”. Da qui la conclusione che “si può prevedere sin d’ora la necessità che il prossimo bilancio presenti un disavanzo”.
Si può obiettare che erano altri tempi, che il livello complessivo del debito pubblico non era così elevato e che erano gli anni di una rilevante crescita economica; ciò non toglie che, seppure in un diverso contesto, una politica di utilizzo efficace del debito pubblico è assolutamente realizzabile anche oggi. Certo, ciò presuppone una visione di politica economica e sociale alternativa all’esistente, ma anche a quella messa in campo dai governi di centrosinistra da molti decenni in qua. Se però non si passa da qui, ci si ritrova condannati alla subalternità alle politiche di destra e a non riuscire a prospettare una reale alternativa, credibile agli occhi delle persone.
In subordine rispetto all’opzione che ritengo fondamentale, quella della non copertura del debito e dell’apertura di una vertenzialità forte nei confronti del governo, si potrebbe perlomeno ri-orientare la manovra, ragionando sul fatto di utilizzare la leva fiscale decentrata e non quella tariffaria (aumento biglietto del bus e tickets), salvaguardando i redditi bassi e medi, affermando così una scelta di progressività del prelievo ben più forte di quella finora prospettata. Anche qui, peraltro, si tratta di uscire dal paradigma per cui la forte disuguaglianza di reddito andata avanti negli ultimi decenni era praticamente inevitabile e un portato “naturale” dei processi economici-sociali indotti dalla globalizzazione.
Infine, mi interessa sviluppare un ulteriore ragionamento a supporto delle tesi che ho avanzato. Detto in parole povere, a me pare chiaro che la battaglia per uscire dal ricatto del debito o, perlomeno, per costruire una forte inversione nell’attuale distribuzione dei redditi e dei patrimoni diventerà sempre più attuale rispetto allo scenario delle scelte che si apriranno davanti a noi.
Come si può pensare di opporsi all’aumento delle spese militari che appaiono “ necessitate” dal contesto geopolitico aperto dal trumpismo e dal conseguente ridimensionamento della spesa sociale, in primis istruzione, sanità e gli altri beni comuni, se non si cambia radicalmente l’approccio che anche il centrosinistra ha prodotto negli anni della sua subalternità al pensiero unico dominante, se non si rivede proprio l’idea che il fardello del debito pubblico, il Patto di stabilità europeo, la crescita delle disuguaglianze sono tabù intoccabili e che, invece, occorre promuovere una linea completamente alternativa di politica economica e sociale?
Per questo, rivedere in modo forte le scelte di Lepore e di De Pascale non sono solo un fatto contingente e limitato, ma diventano una cartina al tornasole del futuro che si tratta di mettere in campo. E che occorre affrontare con la radicalità che l’oggi e il domani ci reclamano.
Cover: Maxi aumento biglietti autobus bologna (immagine ètv Rete7)
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Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.
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