Perché Donald Trump vuole controllare i giornalisti al seguito?

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D’ora in poi, sarà la Casa Bianca a
decidere quante organizzazioni giornalistiche e quali reporter potranno
avvicinarsi abbastanza da interfacciarsi direttamente con il presidente degli
Stati Uniti in luoghi iconici come lo Studio Ovale o l’Air Force One. Ne ha
dato notizia l’amministrazione Trump martedì, mentre il presidente Donald Trump ha tuonato: «Saremo noi a condurre le danze». In risposta all’annuncio, il
presidente della White House Correspondents’ Association, Eugene Daniels, ha
dichiarato che l’associazione – nella quale confluiscono le organizzazioni al
seguito del presidente – non avrebbe più distribuito i resoconti collettivi dei
corrispondenti scelti dalla Casa Bianca. Queste le parole di Daniels: «Non
sosterremo alcun tentativo da parte di questa amministrazione o di qualsiasi
altra di impossessarsi della copertura stampa indipendente della Casa Bianca. Questa
mossa minaccia l’indipendenza di una stampa libera negli Stati Uniti. E suggerisce
che il governo sceglierà i giornalisti che copriranno il presidente».

Che cos’è il pool stampa

La necessità di un pool di giornalisti al
seguito del presidente, scrive fra gli altri il New York Times, emerse con
forza durante il mandato di Dwight D. Eisenhower, alla Casa Bianca dal 1953 al
1961. All’epoca, si trattava soprattutto di risolvere un problema pratico:
quando il presidente «fa notizia» in viaggio o nello Studio Ovale, chi fra i
corrispondenti può (e riesce) a essere presente?

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Grazie a una cooperazione fra le testate
giornalistiche e le amministrazioni presidenziali di entrambi gli schieramenti,
negli anni prese corpo un piccolo gruppo di corrispondenti, fotografi e cameraman.
Gruppo, o pool se preferite, che da oramai diversi decenni presta occhi e
orecchie al più ampio corpo stampa della Casa Bianca.

L’accordo, di per sé, è semplice: la Casa
Bianca accetta che un gruppo di giornalisti segua il presidente in volo o,
appunto, nello Studio Ovale, mentre la scelta di quali corrispondenti «far
entrare» spetta alla citata White House Correspondents’ Association o WHCA, organizzazione
indipendente creata nel 1914. La composizione del pool, di per sé, riflette i
cambiamenti che hanno segnato la copertura giornalistica in questi ultimi
decenni. Attualmente, comprende tre giornalisti delle agenzie di stampa, due
giornalisti della carta stampata o dell’online, un giornalista radiofonico,
quattro fotografi, una troupe televisiva comprendente un produttore, un tecnico
audio e un operatore di ripresa.

Ma perché la Casa Bianca vuole cambiare?

Per decenni, dicevamo, la cosa ha
funzionato. Di più, la WHCA ha operato una rotazione interna per garantire che
la Casa Bianca, indipendentemente dal colore politico, non beneficiasse solo di
organi di informazione «amici».

Martedì, la portavoce della Casa Bianca Karoline
Leavitt ha dichiarato che la WHCA non avrebbe più deciso la composizione del
pool e, di riflesso, che questo compito sarebbe passato direttamente alla Casa
Bianca. Una mossa, evidentemente, che garantisce all’amministrazione Trump un
certo controllo sul flusso di informazioni e sul modo in cui le attività del
presidente vengono riferite al grande pubblico. Leavitt, nel suo briefing, ha
parlato in un certo senso di meritocrazia: «D’ora in poi, il pool stampa della
Casa Bianca sarà determinato dalla squadra stampa della Casa Bianca. Le testate
storiche che hanno partecipato al pool stampa per decenni potranno comunque
unirsi, non temete. Ma offriremo anche il privilegio alle testate meritevoli
che non hanno mai avuto il permesso di condividere questa fantastica responsabilità».

Parole, quelle legate al merito, che stridono
con alcune, recenti decisioni legate alla copertura del presidente da parte
dell’amministrazione Trump. La squadra stampa della Casa Bianca, ad esempio,
prima di questo annuncio aveva già «cacciato» l’Associated Press dal pool per
essersi rifiutata di chiamare il Golfo del Messico «Golfo d’America».

I primi nomi nuovi

Mercoledì, a proposito di pool, l’amministrazione
Trump ha annunciato che una troupe televisiva di Newsmax, una rete
conservatrice, nonché i corrispondenti di The Blaze e Axios avrebbero fatto
parte della squadra al seguito del presidente. Per contro, è stata confermata l’esclusione
dell’Associated Press ed è stato annunciato che pure a Reuters sarebbe stato
negato l’accesso agli spazi più intimi del presidente. Questo fine settimana
Donald Trump effettuerà un viaggio in Florida e, a oggi, non è ancora chiaro
chi, fra organizzazioni e reporter, potrà effettivamente salire a bordo dell’Air
Force One.

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Le responsabilità

Fare parte del pool, manco a dirlo,
rappresenta una grande responsabilità. Proprio perché i giornalisti al seguito
servono le testate per cui lavorano e, allargando il campo, il resto delle
organizzazioni giornalistiche. Chi segue il presidente, scrive ancora il New
York Times, ne documenta le osservazioni, i movimenti e le azioni «per il resto
del corpo stampa».

Fra le altre cose, il pool garantisce
altresì che il pubblico riceva informazioni tempestive sulla salute e sulla
sicurezza del presidente. Per questo motivo, il pool (o una parte) è sempre
presente.

E se Joe Rogan salisse sull’Air Force One?

Dicevamo che, in vista del prossimo viaggio,
non si sa ancora bene chi ci sarà e chi no. Martedì, e parlando in termini
generali, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha annunciato di
voler aumentare le possibilità di accesso a podcaster, influencer e altri
creatori di «contenuti correlati alle notizie». Di qui la domanda: significa
che vedremo presto Joe Rogan e compagnia sull’Air Force One? Possibile. Di
sicuro, nelle ultime settimane l’amministrazione Trump si è mossa per aumentare
l’accesso a personalità «di parte» che simpatizzano per il tycoon, come
Sage Steel e Brian Glenn.

Detto che anche molte altre organizzazioni
giornalistiche classiche sarebbero interessate a far parte del pool, finora l’accesso
era riservato ai membri della WHCA. E per entrare nella WHCA è necessario,
prima, farsi accreditare presso Capitol Hill, vivere nella zona di Washington e
coprire le vicende della Casa Bianca a tempo pieno. «La WHCA riserva l’iscrizione
alle testate che hanno dimostrato impegno nei confronti dell’informazione e del
giornalismo di alta qualità basato sui fatti» si legge nel sito dell’associazione.

Un problema: i costi

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Fare parte del pool, concludendo, è anche
un problema e una questione di costi. Ogni volta che un reporter sale a bordo
dell’Air Force One o viaggia al seguito del corteo presidenziale, il «prezzo del
biglietto» viene fatturato all’organizzazione giornalistica di riferimento.
Secondo logica, infatti, i contribuenti non pagano le spese sostenute dai
media. Detto di aerei e cortei, lo stesso principio vale per gli hotel in cui
soggiornano i giornalisti, i pasti consumati, le connessioni Internet e via
discorrendo. Nulla, insomma, è a carico della Casa Bianca.

Viaggiare con il presidente, di riflesso, è
tutto fuorché economico: un breve tragitto all’interno degli Stati Uniti, come
il prossimo viaggio in Florida, può costare anche diverse migliaia di dollari,
mentre una tappa in Asia, Africa o in Europa può arrivare a toccare le decine
di migliaia di dollari a persona. Un’organizzazione che manda più persone al
seguito del presidente per una settimana può spendere anche 100 mila dollari. Di
qui l’importanza del pool per le testate più piccole, impossibilitate – visti
gli alti costi d’accesso – a prendere parte .



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