La banca del riarmo. Ue e Uk creano un salvadanaio per difendersi da Putin

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Eppur si muove. Il colloquio di Emmanuel Macron con Donald Trump spinge l’Ue a rompere gli indugi sulla difesa comune e a mettere in moto l’unico motore al momento a disposizione: quello anglo-francese, anche se la Gran Bretagna non fa più parte dell’Unione. Nell’attesa che a Berlino il conservatore Friedrich Merz formi un governo e nella speranza che riesca a convincere il Bundestag a investire sulla difesa altri centinaia di miliardi di euro (la cifra che circola nel dibattito tedesco), l’Ue studia la creazione di un fondo insieme a Regno Unito per cominciare a gettare le basi della gestione della propria sicurezza senza dipendere dagli Usa. Non è una rottura da Washington, almeno da parte europea. Ma un piano d’azione che parte dalla constatazione che la nuova amministrazione Trump non garantisce sulla tutela degli alleati Nato da questa parte dell’Atlantico, minacciando di lasciarli in pasto a Putin dopo aver negoziato con lui e solo con lui la pace in Ucraina. 

Il nuovo fondo, secondo le indiscrezioni pubblicate sul Financial Times, sarà discusso alla riunione dei ministri dell’Economia del G20 a Città del Capo mercoledì e giovedì. Ci sarà anche il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Valdis Dombrovskis. “Potrà essere un fondo o una banca”, spiega il ministro della Finanze polacco Andrzej Domanski, rappresentante della presidenza di turno dell’Ue. “Stiamo anche considerando l’idea della ‘banca del riarmo’”, continua, spiegando che discussioni in questo senso sono in corso da mesi con Londra. “Senza il Regno Unito è difficile immaginare una Difesa europea”, precisa Domanski. 

Trump ha chiesto agli alleati europei della Nato di portare la spesa per la Difesa al 5 per cento del Pil, più che raddoppiando l’attuale obiettivo del 2 per cento, che diversi Stati membri dell’Alleanza ancora faticano a raggiungere. Ma certo nelle cancellerie dell’Unione nessuno si aspettava di dover discutere della questione con la pistola alla tempia dell’esclusione dalle trattative del presidente Usa con il capo del Cremlino sull’Ucraina. E dunque ora si corre per mettersi al riparo, cercando di aprire un ombrello europeo laddove quello americano potrebbe chiudersi.

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Dell’aumento della spesa militare europea hanno discusso lo scorso weekend la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il premier britannico, Keir Starmer, che giovedì sarà da Trump. Ieri alla Casa Bianca ci è andato Emmanuel Macron che domattina informerà gli altri colleghi europei sul suo colloquio con il tycoon in una riunione in videoconferenza convocata dal presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, in preparazione del summit straordinario della prossima settimana. Il capo dell’Eliseo ha informato Trump del piano anglo-francese di mettere a disposizione 30mila soldati sul campo in Ucraina, per vigilare sulla pace una volta raggiunta. Ma ne ha ricavato solo l’affermazione che, alla fine, Putin accetterà la presenza di una forza di interposizione europea, dice l’americano senza sbilanciarsi sul vero nodo della questione, la richiesta di Macron e Starmer. E cioè che a vigilare sugli accordi di pace ci siano anche gli americani in qualche maniera, anche solo con sorveglianza aerea.

Giovedì il premier britannico proverà a insistere. Domenica sarà lui a ricevere Macron e altri leader europei a Londra per aggiornarli sul colloquio con il tycoon. Ma, da quanto trapela, il numero uno di Downing Street potrebbe trovarsi di fronte ad una richiesta indigeribile, almeno per ora: quella di ammorbidire le dichiarazioni contro Mosca, cominciare a girare anche la macchina della comunicazione per adeguarla al nuovo corso dettato dagli Usa, secondo cui Putin è un pacificatore e Zelensky è uno che doveva fare un accordo con il Cremlino già tre anni fa. Per ora Starmer non cede, come si vede dalle dichairazioni a Westminster oggi, dove il premier riferisce sulla svolta sulla difesa e sul viaggio a Washington.

“Sarà il più grande aumento della spesa per la difesa dalla fine della guerra fredda”, promette il premier britannico. L’aumento degli investimenti militari “al 2,5 per cento del pil è solo la prima tappa. L’obiettivo è di aumentare ulteriormente la spesa, ora al 2,3 per cento, al 3 per cento entro il 2030”. Soldi che verranno presi dall’aiuto internazionale allo sviluppo, che scenderà dallo 0,5 allo 0,3 per cento del Pil. Una mossa che si inserisce nello stesso solco scavato da Trump, che ha chiuso i battenti all’agenzia di aiuto internazionale allo sviluppo Usaid. 

“Se quando è caduto il muro di Berlino, mi aveste detto che nella mia vita avrei visto di nuovo i carri armati russi entrare in città europee, non vi avrei creduto”, dice Starmer. “Eppure eccoci qui, in un mondo in cui tutto è cambiato, perché tre anni fa è successo esattamente questo. Una delle grandi lezioni della nostra storia è che l’instabilità in Europa si rifletterà sempre sulle nostre coste e che tiranni come Putin rispondono solo alla forza. La Russia è una minaccia nelle nostre acque, nel nostro spazio aereo e nelle nostre strade”. La Nato è “un pilastro” della sicurezza in Europa, aggiunge Starmer, sottolineando di “non voler scegliere fra l’alleanza vitale con gli Usa e quella con gli alleati europei”.

Una banca per il riarmo permetterebbe agli Stati europei di aumentare la spesa, a fronte di garanzie nazionali, senza aumentare immediatamente i bilanci. Cosa che per il momento risolverebbe il problema dei rigidi vincoli europei di bilancio previsti nel Patto di stabilità e crescita. Di certo, Bruxelles e le capitali stanno ingranando una qualche marcia come spesso accade nei momenti decisivi. La fibrillazione è massima nelle cancellerie, un po’ come ai tempi del covid, quando la risposta fu il Next Generation Eu, o dell’invasione russa in Ucraina, quando gli europei si accodarono alla linea americana di sostegno a Kiev e sanzioni contro Mosca. Oggi l’orizzonte è più fosco, perché molte di queste decisioni vengono prese per reazione a Trump, il cosiddetto ‘alleato atlantico’, più che per rispondere ad un’azione del Cremlino. Un tornante storico che sta rivoluzionando gli equilibri geopolitici degli ultimi 80 anni. Tanto che, filtra a Bruxelles, una banca per la difesa potrebbe non bastare.

È per questo che allo stesso tempo la discussione sull’uso dei beni russi congelati con l’invasione dell’Ucraina sta guadagnando terreno. In prima linea ci sono i baltici e i nordici. L’Unione Europea deve “usare” i beni russi congelati, che ammontano a “300 miliardi” di euro, per sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia e “rimpiazzare gli aiuti Usa, se decidono di non sostenere Kiev”, dice il ministro degli Esteri dell’Estonia Margus Tsakhna, esprimendo il punto di vista della Danimarca, Svezia, Lettonia e Lituania, il blocco baltico-nordico. Un’opzione auspicata anche dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera Kaja Kallas, estone, la quale però riconosce che non c’è ancora “il sostegno di tutti” sull’uso degli asset russi congelati. “Non sono così ottimista sul fatto che raggiungeremo un accordo a marzo, ma allo stesso tempo devo dire che il lavoro è in corso”, dice Kaja Kallas. Una spinta arriva da Londra. “L’Europa dovrebbe agire rapidamente. Dovremmo passare dal congelamento al sequestro di questi asset”, non ha dubbi il ministro degli Esteri britannico David Lammy.

E invece dubbi ce ne sono, per i rischi legali di una mossa del genere, allo studio da tempo tra Bruxelles e Washington ai tempi dell’amministrazione Biden, ma che non è mai scattata per la cautela degli europei, a cominciare dalla Francia, dalla Germania e dall’Italia che vorrebbero avere tutte le garanzie legali prima di agire. No fermo di Belgio e Lussemburgo. “Il fatto che alcuni in Europa stiano finalmente iniziando a parlare in modo sempre più audace dell’utilizzo dei beni russi congelati in un modo o nell’altro dimostra che questa sicurezza sta diventando una vera priorità per l’intera Unione Europea, compreso il finanziamento delle spese relative alla sicurezza”, dice il premier polacco Donald Tusk, che ricorda la spaccatura tra Usa e Ue al voto di ieri all’Onu sulla risoluzione sulla Russia. “Il voto alle Nazioni Unite ha dimostrato che l’Europa è praticamente, con una sola eccezione, unita, e quando si tratta di Ucraina non c’è da sorprendersi”, sono le parole di Tusk. La sola eccezione è l’Ungheria del putiniano Viktor Orbán.



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