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Cina, Canada, Messico, ma anche Unione Europea. I dazi di Trump, annunciati a inizio febbraio, preoccupano tutti. Con un deficit commerciale che si è allargato dai 170 ai 237 miliardi di dollari nel 2024, la bilancia commerciale degli Stati Uniti, pende infatti a favore dell’UE. E dunque non è da escludere che Mr. Trump abbia dei piani anche per il Vecchio Continente. Ma, cosa accadrebbe all’Italia e, nello specifico, alla Lombardia nel caso in cui venissero applicati dei dazi come nei confronti della Cina?
Caso Lombardia
Per comprendere la situazione è utile cominciare con alcuni dati forniti dal Centro Studi Assolombarda. La Lombardia, infatti, si conferma il cuore pulsante dell’export italiano verso gli Stati Uniti. Con 14,2 miliardi di euro di esportazioni nel 2023, la regione rappresenta l’8,7% del totale nazionale.
Ancora, il peso delle esportazioni sul PIL lombardo è pari al 2,9%, inferiore alla media italiana (3,2%) e nettamente sotto regioni come Toscana (6,6%) ed Emilia-Romagna (5,4%). Tuttavia, i dati del 2024 indicano già una flessione: nei primi nove mesi dell’anno, le esportazioni lombarde verso gli USA sono calate di 203 milioni di euro (-5,7%) rispetto allo stesso periodo del 2023, mentre il totale dell’export regionale è rimasto stabile.
I settori più colpiti
Un primo segnale che riflette il clima di incertezza legato alla politica commerciale americana. Politica commerciale che dopo l’insediamento del secondo mandato di Donald Trump ha riacceso il dibattito sui dazi mettendo in guardia le aziende italiane. Questa strategia protezionistica, infatti, potrebbe avere un impatto significativo sulla Lombardia, che esporta negli USA prodotti a elevato valore aggiunto nei settori più colpiti dalle tariffe. La meccanica ed elettronica rappresentano il 32,4% dell’export regionale verso gli USA, seguite da chimica e farmaceutica (17,0%), moda (14,6%), metalli (12,4%) e agroalimentare (8,7%).
Al di là dei volumi, però, il vero problema è il grado di esposizione delle imprese lombarde alle misure tariffarie. La moda e l’agroalimentare, pur non essendo i settori più forti in termini di valore assoluto, sono tra i più esposti: già oggi subiscono dazi tra il 5% e il 10%, tra i più alti applicati dagli Stati Uniti ai prodotti italiani.
Un ulteriore inasprimento dei dazi, quindi, potrebbe mettere in difficoltà intere filiere produttive, portando ad una “guerra commerciale” che potrebbe portare a una sconfitta che l’Italia, e la Lombardia, non si possono permettere. Soprattutto la già fragile industria del lusso che da qualche anno sta attraversando un importante ciclo negativo.
Il sistema moda lombardo (abbigliamento, calzature, pelletteria) vede infatti negli USA un mercato chiave: con il 14,6% dell’export regionale destinato oltreoceano, il rischio di una riduzione della domanda è concreto.
L’agroalimentare, dal canto suo, soffrirebbe per l’aumento dei prezzi finali. Gli Stati Uniti assorbono quasi il 9% dell’export agroalimentare lombardo, con prodotti come vino, formaggi e salumi che potrebbero subire contraccolpi significativi in termini di competitività.
L’Europa si desta
La vera incognita riguarda quindi la risposta dell’Unione Europea. Mentre le tensioni commerciali tra USA e Cina sono ormai consolidate, il rischio che Washington allarghi la stretta tariffaria all’Europa è concreto. Secondo gli esperti, l’UE ha le carte in regola per reagire con dazi mirati su settori strategici dell’economia americana, ma il rischio di un’escalation è alto. In particolar modo, per regioni con forte vocazione all’export come la Lombardia.
L’incertezza quindi rimane alta, ma una cosa è certa: per il sistema produttivo lombardo, il mercato statunitense resta una variabile chiave. E il 2025 sarà un anno decisivo per capire se l’export regionale potrà continuare a crescere o dovrà fare i conti con nuove barriere commerciali.
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