Mercurio, l’accusa di scambio elettorale rende Giuseppe Castiglione incandidabile
Scatta sospensione all’Ars. Chiesti soldi alla mafia: «Sempre cortesie ti chiede»
Non bastano le dimissioni da componente della commissione affari istituzionali e antimafia. Stando alla legge Severino Castiglione dovrebbe essere sospeso anche dal parlamento siciliano in quanto destinatario di una misura cautelare in carcere. I rapporti tra mafia e politica per assunzioni nelle aziende di Cosa nostra; la gestione degli affari del gruppo mafioso al Castello Ursino; le aziende sequestrate e i chioschi di Marletta
Che Castiglione vantasse stretti rapporti con il clan Santapaola-Ercolano la procura lo dice a chiare lettere. Del resto il figlio di Santo Castiglione con una lunga carriera in politica, di tempo per stringere rapporti con i mafiosi ne ha avuto parecchio. E di affari in cui immergersi a capofitto ce ne sono stati altrettanti. Così, stando alle risultanze dell’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari, Castiglione avrebbe promesso, direttamente e per il tramite del suo intermediario Giuseppe Coco, di procurare voti in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi dell’associazione mafiosa Santapaola-Ercolano, tra i quali l’affidamento del servizio di pompe funebri connesso alla gestione del cimitero di Catania nonché l’apertura di una nuova agenzia di onoranze funebri per Rosario Bucolo, un altro appartenente alla famiglia.
Scambi di voti, promesse di lavoro e commesse pubbliche. Estorsioni, minacce e promesse per assunzioni. Nell’inchiesta Mercurio che vede indagate 22 persone tra affiliati al clan Santapaola-Ercolano e politici di lungo corso di Mpa e Pd – oltre all’attuale consigliere regionale Castiglione, il consigliere comunale a Misterbianco Matteo Marchese del Movimento per l’autonomia e il sindaco di Ramacca Nunzio Vitale del Partito democratico – c’è proprio di tutto.
«Ho appreso che il mio assistito ha espresso la volontà di dimettersi dal Gruppo ‘popolari e autonomisti’ e dalle commissioni legislative di cui era componente», ha dichiarato il legale di Castiglione Salvatore Pace. Per Castiglione però, in quanto destinatario di misura cautelare in carcere, scatta la sospensione di diritto da consigliere regionale in virtù della legge Severino secondo cui la stessa «consegue quando è disposta l’applicazione degli arresti domiciliari, della custodia cautelare in una casa di cura e della custodia cautelare in carcere». Ed è quest’ultimo il caso di Castiglione che è indagato per il reato di scambio elettorale politico mafioso. Un fatto, l’applicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, che è causa di incandidabilità e legittima la sospensione di diritto.
Di situazioni analoghe ce n’è a bizzeffe e l’esempio è presto fatto. Non ultimo quello riguardante il processo Mafia capitale. È il 2015 e nella Regione Lazio scoppia l’inchiesta Mondo di Mezzo che coinvolge l’ex consigliere regionale del Pdl Luca Gramazio accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione e turbativa d’asta, poi condannato con reato derubricato alla sola associazione a delinquere a cinque anni e sei mesi. Secondo gli inquirenti aveva svolto il ruolo di cerniera «tra l’organizzazione criminale, la politica e le istituzioni». In quell’occasione con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri si accertava la sospensione dalla carica in applicazione della legge Severino per il solo fatto dell’applicazione della custodia cautelare in carcere. Con il decreto si stabiliva la sospensione di Gramazio e l’eventuale cessazione nel caso in cui venisse meno lo stato della misura cautelare. Così come dovrebbe valere per l’ormai ex componente delle commissioni Antimafia e Affari istituzionali all’Assemblea regionale siciliana.
Il profilo di Giuseppe Castiglione
Già dipendente Sac Service srl, dal 2005 al 2008 ha rivestito la carica di consigliere di quartiere alla seconda municipalità, quella di Picanello, Ognina, Barriera e Canalicchio e dal 2008 al 2013 quella di consigliere provinciale e comunale di Catania e, ancora, nella tornata elettorale successiva del 10 giugno 2018, con 1177 preferenze è stato eletto nuovamente al consiglio comunale di Catania, mentre, ad agosto 2018 ha ricoperto la carica di presidente del consiglio comunale.
A settembre 2022, nell’ultima tornata elettorale viene eletto all’Ars nella lista “Popolari e Autonomisti”, con 5397 preferenze e a novembre 2022, in vista dell’insediamento all’Assemblea Regionale, aveva ufficializzato le proprie dimissioni dall’incarico di presidente del consiglio comunale. È stato vice presidente della Commissione affari costituzionali e componente della terza commissione Attività produttive e della commissione di inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia.
Figlio di Santo Castiglione, presidente del cda dell’Ast, oltre a essere stato assessore al Comune di Catania nella giunta Scapagnini, con delega alla manutenzione-nettezza urbana, rapporti con il commissario straordinario al traffico e al mare, dal 2004 al 2012 è stato a capo dell’autorità portuale di Catania.
I rapporti tra Giuseppe Castiglione, Matteo Marchese e Domenico Colombo
Tra i rapporti vantati da Castiglione ci sono, oltre a Bucolo, quelli instaurati con Ernesto Marletta, Antonino Bergamo e Domenico Colombo. Proprio quest’ultimo, ex dipendente della partecipata Sostare, poi distaccato all’Asec, cugino di Dario Santapaola e Francesco Santapaola meglio noto come Coluccio, l’ex reggente del clan a sua volta cugino del più conosciuto Nitto, si sarebbe adoperato per procurare voti a Castiglione e al consigliere comunale di Misterbianco Matteo Marchese, con il Movimento per l’autonomia ma, almeno per Castiglione, alle ultime amministrative era con Nicola d’Agostino di Forza Italia. Che a Colombo avrebbe espresso pure il proprio compiacimento per la scarcerazione di Francesco Santapaola, che sarebbe avvenuta da lì a un anno. «Come sta?», chiedeva Marchese intercettato. «Fra un anno e mezzo esce», diceva Colombo. «Questo mi fa piacere», commentava Marchese.
I rapporti tra i tre andavano ben oltre lo scambio elettorale con ripetute relazioni anche al di fuori della politica. È il caso, tra gli altri, del prestito di duemila euro richiesto da Castiglione a Colombo per un viaggio a Malta. Un episodio poi raccontato a Marchese dallo stesso Colombo. «Ti ho detto che ho parlato con Castiglione?…Mi ha chiesto dei soldi e io glieli ho dati», raccontava Colombo che per procurarli si sarebbe rivolto alla cugina Crissel Santapaola, moglie di Francesco. «E sempre cortesie ti domanda», rispondeva Marchese. Che di cortesie, stando all’inchiesta, dai Santapaola ne avrebbe ricevute e date parecchie.
Come per le elezioni comunali a Misterbianco. Il clan sarebbe stato ben disposto a sostenere Marchese come vicesindaco, ma qualcosa non è andata come previsto. Era ottobre 2021 e candidato alla carica di sindaco tra le fila del Pd c’era Nino Di Guardo. Ad affiancarlo c’era proprio Marchese. «A lui lo sosteniamo – diceva Colombo intercettato -, ma a Di Guardo non lo vuole più nessuno perché è vecchietto». Circostanza che a Marchese non sarebbe andata a genio e nelle conversazioni con Colombo, il futuro consigliere avrebbe manifestato tutta la sua riprovazione. «Chi è che non mi vuole votare, presentameli a uno a uno e ci penso io», diceva Marchese. La cosca sarebbe stata pronta a tutto affinché prendesse la poltrona vicesindaco. Persino, come poi fatto, togliere candidati a Marco Corsaro.
«Non ti preoccupare – diceva Colombo a Marchese – ti sto presentando un altro candidato buono che se l’aveva preso Marco Corsaro e gliel’ho tolto». Perché «parte degli elettori si sarebbe indirizzata verso Corsaro», riassume la procura dalle intercettazioni del dialogo tra Colombo e Marchese. Come faceva Colombo a sapere che parte degli elettori avrebbe votato Corsaro resta un mistero. E poi quali elettori? Forse quelli che conosceva chi, come Colombo, fa parte del clan Santapaola-Ercolano. Alla fine Di Guardo non ha ottenuto la poltrona da sindaco e Corsaro sì. E Marchese, sebbene non sia riuscito a conquistare la poltrona da assessore, è stato eletto consigliere comunale. Del resto Marchese è «amico nostro», diceva Colombo.
«Gli devo dare il voto a Matteo, ma al sindaco (candidato sindaco Di Guardo, ndr) non gliene do, faccio un voto disgiunto, come spacchio è, gli vogliono dare tutti il voto a questa testa di cazzo di Marco Corsaro per provarlo!». In quella che, stando alla qualità degli interlocutori, sembrerebbe una messa alla prova da parte della mafia nei confronti della politica. Parte della quale, quella rappresentata da Colombo, avrebbe stretto un accordo con Marchese vertente sulla possibilità per cosa nostra di investire nei lavori pubblici. Che avrebbe potuto concretizzarsi solo se Marchese avesse ricoperto la carica di vicesindaco, «perché anche se Di Guardo diventa sindaco comanda Matteo», spiegava Colombo nella conversazione con la compagna Dominich Simona Leotta.
La promessa di un posto a Waste Engineering
In cambio del sostegno elettorale Marchese avrebbe promesso commesse pubbliche e Colombo, per la campagna elettorale di Castiglione, si sarebbe impegnato a offrire posti di lavoro nella società Wem, acronimo di Waste Engineering management di proprietà di Antonino Lanza ma di fatto controllata da Francesco Santapaola, attiva nel settore del recupero per il riciclaggio dei rifiuti solidi e biomasse, a quanti avrebbero supportato la campagna elettorale alle regionali di Castiglione. In particolare erano due i posti da assegnare nella ditta che, secondo Colombo, sarebbe stata prossima a rimpiazzare Dusty in diverse commesse. Della questione sarebbe stato informato anche Marchese al quale Colombo precisa che i posti di lavoro sarebbero stati garantiti tramite «cose mie» e che nell’azienda lavorava anche Salvo Santapaola, meglio noto come Salvuccio.
L’azienda ha sede al civico 59 di via Santa Maddalena a Catania e ha un impianto di smaltimento di rifiuti e raccolta differenziata in contrada Giancata alla zona industriale. E riceve annualmente l’autorizzazione all’esercizio da parte della Regione Sicilia. A giugno 2024 dal Comune di Catania arriva anche il nulla osta all’incidenza ambientale per la conversione dell’impianto e il potenziamento del fotovoltaico, presente all’interno della Riserva naturale orientata Oasi del Simeto. Procedimento che verrà attivato dal Comune di Catania il 4 giugno 2024.
La gestione e gli affari del gruppo di Castello Ursino
Assunzione di familiari, rivendicazione di somme di denaro ed estorsioni. L’inchiesta fa luce anche sui rapporti tra mafia e imprenditoria in piazza Federico di Svevia, zona gestita dal gruppo mafioso di Castello Ursino storicamente riconducibile a Natale D’Emanuele, proprietario del servizio di onoranze funebri e cugino di Benedetto Santapaola e Giuseppe Ercolano, che è attualmente detenuto per omicidio. L’attività viene esercitata, tra le altre, anche al civico 23 di via Castello Ursino. Nel periodo compreso tra il 2021 e il 2023 l’inchiesta tra ceste di Natale, minacce e costrizioni per assunzioni, ricostruisce gli affari del capogruppo Ernesto Marletta affiancato da Rosario Bucolo, Emanuele Bonaccorso, Antonino Della Vita, Domenico Di Gaetano, Pierpaolo Gianluca Di Gaetano, Rosario Marletta, detto Roberto, Salvatore Mirabella e Santo Missale.
Le aziende sequestrate
La ditta individuale di Biagio Alessio Nicotra con capitale sociale pari a cinquemila euro con sede a Catania in via Nino Martoglio con insegna Onoranze Funebri San Marco
L’esercizio commerciale Onoranze Funebri San Marco di Lorenzo Bucolo avente sede in via Nino Martoglio e attivo nel settore delle onoranze funebri
I chioschi
Al gruppo del Castello Ursino sarebbe riconducibile anche la proprietà dei due chioschi Luna Rossa. Quello ad Aci Trezza e l’altro, proprio in piazza Federico di Svevia che negli anni però ha cambiato nome in ChioscoIn68. Il chiosco di Aci Trezza, gestito da Roberto Marletta, nel 2021 è stato destinatario di un furto. Evento che lo aveva indispettito non poco per il quale in una conversazione con Bucolo registrata dalle microspie manifestava la sua intenzione di individuare i responsabili, i quali, «pur sapendo della sua appartenenza a cosa nostra, non avevano esitato a danneggiargli il chiosco con il chiaro intento di consumare il furto», lamentando che quanto accaduto «era la logica conseguenza della scelta fatta da Napoli» di non dettare una linea, lasciando tutti liberi di agire per proprio conto perché «tu devi camminare con il tuo nome!», ingenerando la convinzione «di non dover più rispettare quelle regole mafìose che prima garantivano il rispetto per i fratelli».
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