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MACERATA – «Il tessuto imprenditoriale manifatturiero della nostra provincia sta attraversando una stagione di estrema difficoltà. Da una parte, il rallentamento dei consumi, dovuto a una congiuntura economica e sociale preoccupante. Dall’altra, l’evoluzione del quadro normativo, con una proliferazione di leggi sempre più stringenti, sta impattando drasticamente sulla competitività delle nostre imprese». Queste le parole affidate ad una nota di Marco Ragni, vicepresidente vicario Confindustria Macerata, che si appella alla politica per salvare le imprese.
E infatti prosegue: «La molteplicità delle normative introdotte negli ultimi tempi impongono costi e adeguamenti burocratici sempre più onerosi. Il GPSR (General Product Safety Regulation), la NIS2 (Network and Information Security Directive), sono solo le ultime in ordine cronologico. A queste si aggiungono ulteriori regolamentazioni nel campo della sostenibilità ambientale di matrice europea: dalla CSRD che impone standard unici di rendicontazione della sostenibilità al regolamento cd. Eudr che vieta l’immissione e l’esportazione di prodotti nel e dal mercato comunitario per prevenire la deforestazione, dal regolamento CBAM che impone costi sulle importazioni da Paesi extra Ue in base alle emissioni incorporate nei prodotti, alle normative ETS e alla nuova responsabilità estesa del produttore».
E aggiunge: «Tutte regolamentazioni ispirate ad approcci esclusivamente ecologisti, che impongono ulteriori adeguamenti infrastrutturali e tecnologici, traducendosi in costi che difficilmente possono essere assorbiti, e soprattutto non promuovono una vera transizione verso modelli produttivi sostenibili globali realmente concorrenziali. Se a questo aggiungiamo le criticità, che ormai da tempo affliggono la nostra regione, partendo dalla drammatica situazione delle infrastrutture materiali come strade e aeroporto, ed immateriali (banda larga), per arrivare alla carenza “impiantistica” strutturale dello smaltimento dei rifiuti speciali (in particolare nel maceratese), allora è chiaro come mai il tanto studiato modello marchigiano è messo in crisi».
E ancora: «Va rilevato inoltre come purtroppo prevalgono approcci ideologici in cui il tema dell’approfondimento scientifico e tecnologico, le esperienze e competenze diffuse in altri luoghi, da noi vengono ostacolate e contrastate. Questo nostro territorio non attrae investitori: pensate come sarebbe importante per le aree interne della nostra regione promuovere un nuovo rinascimento imprenditoriale, in cui accanto al valore culturale e paesaggistico dei nostri paesi vi sia una valorizzazione imprenditoriale sostenibile, compatibile e soprattutto che promuova il ripopolamento delle stesse aree condannate altrimenti ad un lento inesauribile declino. Ed è proprio qui che nasce una riflessione che ci deve porre davanti alla realtà dei fatti: tutto questo è sostenibile dal punto di vista della continuità dell’imprenditoria marchigiana?
Le criticità strutturali della nostra regione uniti al quadro normativo derivano da principi che possono anche essere condivisibili, ma la loro declinazione pratica e il loro impatto sta soffocando il nostro tessuto industriale trasformandolo in una tempesta perfetta. La realtà è che le imprese italiane, e in particolare quelle del nostro territorio, non riescono ad assorbire l’enorme peso dei costi che deriva dalle scelte fatte e non fatte negli anni.
Molti settori sono in crisi, se non tutti. E il silenzio della politica su questi temi è assordante».
Da qui l’appello: «Se non vogliamo davvero perdere gli asset che hanno contraddistinto il successo del modello produttivo, occupazionale e sociale, è necessario che la nostra classe politica fornisca risposte concrete e immediate con un’agenda più orientata alla centralità della manifattura. Serve un immediato cambio di rotta, una visione strategica delle politiche industriali ed energetiche, un’azione decisa per alleggerire il peso fiscale e normativo sulle imprese ed un reale sostegno alla competitività del nostro sistema produttivo. Serve una PA che guardi al sistema produttivo come un alleato per il miglioramento e la competitività del territorio e della comunità e non ad una visione dirigista e statalista. Non possiamo permetterci di aspettare ancora. È il momento di parlare con chiarezza e pretendere che la politica risponda con altrettanta chiarezza. L’industria non può più essere lasciata sola a combattere una battaglia che riguarda il futuro dell’intero Paese e delle nostre comunità».
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