Il nucleare italiano? È velleitario

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Un disegno di legge delega sul nucleare “sostenibile”. Messo a punto dal ministero dell’Ambiente e trasmesso al governo, definisce il percorso per lo sviluppo di una nuova generazione di impianti in Italia: piccoli reattori modulari e a fusione. Peccato che queste tecnologie ancora non esistono sul mercato, non ci sono. E questo è il primo fondamentale problema che un programma così ambizioso presenta. Ma ci sono anche altri aspetti da considerare, tutti molto discutibili.

Nucleare velleitario

“Si tratta di un’operazione velleitaria – spiega Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr -. Il governo sta facendo una scommessa: la fusione è di là da venire e oggettivamente parlarne oggi non è credibile. Se mai arriverà passeranno decenni. Quindi tra le tante criticità che vedo, c’è la mancanza di una risorsa chiave: il tempo. Nel 2050 dobbiamo aver concluso la decarbonizzazione del sistema elettrico italiano”. Se nel 2050 fosse pronta la fusione nucleare, per stessa ammissione della presidente del Consiglio Meloni, come potremmo aver già raggiunto gli obiettivi di neutralità climatica per quella stessa data?

Rischi e costi elevati

“L’opzione nucleare presenta costi e rischi molto elevati – si sostiene nella memoria che la Cgil ha presentato alle commissioni della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul tema -, ha tempi di realizzazione incompatibili con quelli dell’azione climatica, enormi problemi di localizzazione e di accettazione sociale, di dipendenza e quindi insicurezza energetica nazionale e non rispetta l’esito dei due referendum in materia. Inoltre, è una tecnologia ad alta intensità idrica, incompatibile con la crescente crisi idrica del nostro Paese”.

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RIFIUTI NUCLEARI FOTO DI © REMO CASILLI/SINTESI
RIFIUTI NUCLEARI FOTO DI © REMO CASILLI/SINTESI

Energia a che prezzo?

Questione potenzialmente più interessante è quella dei piccoli reattori, che sono sempre esistiti: la novità starebbe nel fatto di produrli e assemblarli in fabbrica, pezzo per pezzo, e poi portarli e installarli dove servono. “Di quale tecnologia ci vogliamo avvalere? – chiede lo scienziato del Cnr -. Il percorso che sembra voler sposare il governo è quello delle centrali di quarta generazione, che però ancora non esistono. La scommessa è grande, perché non si sa quando si faranno. Di conseguenza non possiamo sapere quanto costerà l’elettricità prodotta da una tecnologia che oggi esiste solo sulla carta”.

Pura propaganda

E se l’obiettivo è far pagare meno l’energia, la promessa fatta, puntare sul nucleare per abbattere il costo in Italia per famiglie e imprese, è pura propaganda. I dati lo confermano. “L’Agenzia internazionale per l’energia – sottolinea la Cgil -, ha stimato che in Europa nel 2023 il costo della generazione elettrica prodotta da nuove centrali nucleari sia stato di 170 dollari a MWh, a fronte di un costo di 50 dollari a MWh del fotovoltaico e di 60 dollari per l’eolico onshore. Inoltre, la convenienza economica delle rinnovabili si confermerà anche negli scenari al 2030 e al 2050”.

Senza contare che i costi di realizzazione degli impianti hanno storicamente superato quelli preventivati in tutti i Paesi, dalla Francia agli Usa e che spesso non tengono conto dei costi elevati del decommissioning e della gestione dei rifiuti da fissione. È notizia di due settimane fa che in Francia la Corte dei conti ha fermato la realizzazione di nuovi impianti causa dei costi in continua crescita e dei tempi incerti di realizzazione.

AG.SINTESI
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Italian newco

Intanto però, disegno di legge delega a parte, che se verrà approvato in parlamento dà al governo 24 mesi per emanare i decreti esecutivi, il progetto nel suo complesso va avanti. Con la regia del ministero del Tesoro, è stato siglato un accordo tra Enel, Ansaldo e gruppo Leonardo per la costituzione di una newco, una nuova compagnia per l’energia nucleare: prima punterà sugli Smr, small modular reactor, minireattori ad acqua di terza generazione, poi su ricerca e monitoraggio degli Amr, advanced modular reactor, reattori di quarta generazione.

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120 reattori: in quali territori?

Piccoli impianti da 100, massimo 300 MW l’uno. Per arrivare all’obiettivo di produzione nucleare indicato nel ddl, tra 8 e 16 GW, prendendo un valore intermedio, che è 12 GW, significherebbe installare in Italia circa 120 reattori della tipologia Smr. Quindi bisognerebbe individuare 120 territori dove piazzarli.

“Il capo del dipartimento della protezione civile ci ha ricordato che il 95 per cento del territorio nazionale è a rischio idrogeologico elevato – afferma Armaroli -. Quindi, se si escludono le aree che per ovvi motivi non possono ospitare un reattore, risulta sostanzialmente proibitivo trovare decine di luoghi dove realizzare le installazioni. Già è difficile in Italia mettere una pala eolica a 12 miglia marine dalla costa, mi devono spiegare come sarebbe possibile collocare un reattore sulla costa. Problemi paesaggistici, ma poi ci sono anche quelli sismici e idrici, perché non dimentichiamoci che i reattori sono tipicamente raffreddati ad acqua e, lontano dalle coste, occorre attingere ai fiumi”.

Soldi di Stato

E gli investimenti? Chi investe? Chi investirà? Lo Stato dovrebbe metterci i soldi, e tantissimi: non c’è posto al mondo dove il nucleare non sia sovvenzionato.

“Vogliamo parlare seriamente di nucleare oppure relegarlo alle discussioni tra amici? Perché in questo modo si fa solo propaganda – aggiunge il ricercatore del Cnr -. 15 anni fa eravamo nello stesso film, quando il governo Berlusconi aveva annunciato un piano nucleare. E ogni tanto salta fuori di nuovo forse perché ci sono aziende che lavorano principalmente all’estero e che hanno interesse a rilanciare qeusta opzione. Ma un Paese non può lanciarsi in un progetto di nucleare credibile senza prima chiudere i conti con quello precedente. Ancora non abbiamo deciso dove mettere i rifiuti radioattivi prodotti 60 anni fa, abbiamo rifiuti sparsi in decine di siti in condizioni non dico critiche ma certamente non ottimali, senza considerare quelli parcheggiati momentaneamente all’estero. Prima dobbiamo risolvere questo problema”.

Il nucleare nel mondo

Se si dà uno sguardo a quello che succede nel resto del mondo si scopre che non c’è un boom del nucleare, in nessun angolo del Pianeta. La quota di produzione elettrica mondiale dall’atomo è passata dal 17,2 per cento del 1996, quando ha registrato il massimo storico, al 9,2 per cento del 2024. E oggi non è in programma un rinascimento.

L’uranio, che è la fonte primaria per alimentare le centrali, è concentrato in un unico Paese, il Kazakistan, che ne detiene il 43 per cento a livello mondiale: il suo prezzo è aumentato del 137 per cento dal 2021 al 2025. Sul fronte della tecnologia? C’è un dominio russo e cinese pressoché totale. In definitiva l’Italia non possiede né le tecnologie e neppure il combustibile, ha difficoltà a trovare i siti dove impiantarli, e ha un serio problema a chiudere il precedente programma nucleare.

100% rinnovabili si può

E quindi? Quindi bisogna puntare sulle rinnovabili. “Diversi lavori e rapporti internazionali sostengono che la decarbonizzazione del sistema elettrico è già economicamente sostenibile – sostiene la Cgil -. Uno studio dei professori Lorenzo Mario Pastori e Livio De Santoli dimostra la fattibilità tecnica ed economica di un sistema di energia 100 per cento rinnovabile in Italia, segnalando l’importanza di un’attenta pianificazione energetica complessiva che tenga conto e integri le esigenze di tutti i settori, riscaldamento, trasporti, industria, compresi quelli hard to abate (difficili da abbattere, ndr). La pianificazione, da affrontare in un processo di partecipazione democratica, è uno dei cardini delle politiche di giusta transizione. Un concetto, quest’ultimo, completamente assente nell’agenda di governo”.

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