Come va l’Argentina di Milei: dopo un 2024 di recessione l’economia riparte e il peso del debito scende. Ma ora chiede altri soldi al Fmi

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I tagli alla spesa pubblica di Javier Milei hanno permesso a caro prezzo all’Argentina di uscire dalla recessione. E oggi il presidente con la motosega punta a superare le restrizioni sui capitali. Ma resta ancora molta strada da fare: le riserve in valuta estera del Banco Centrale restano sotto pressione e proseguono i negoziati con il Fondo monetario internazionale, di cui il paese albiceleste resta il maggior debitore del mondo, per ottenere un nuovo prestito di 11 miliardi di dollari. Nel frattempo la popolazione subisce le inevitabili ripercussioni sul welfare e sulla povertà, che al terzo trimestre dello scorso anno secondo l’Observatorio Deuda Social ha toccato il 49,9%.

Le analisi della banca statunitense JP Morgan forniscono un quadro ottimistico per l’economia argentina dei prossimi mesi, presentando una ripresa a “V” dopo la recessione tecnica dell’ultimo anno. In attesa dei dati del quarto trimestre 2024, sui dodici mesi pesano i risultati negativi della prima parte dell’anno. La debolezza della domanda interna, in parte riconducibile alla riduzione della spesa pubblica, ha generato una contrazione del Pil del 2,1%, in particolare con le performance negative delle costruzioni (-14,9%) e del commercio all’ingrosso e al dettaglio (-6,1%).

Anche i consumi privati hanno seguito questa traiettoria: su base annua c’è stata una contrazione del 3,2%, ma nel terzo trimestre hanno fatto registrare un aumento del 4,6%. Ripresa favorita dal notevole rallentamento dell’inflazione, vera e propria svolta dopo anni di elevata volatilità dei prezzi. I dati dell’INDEC segnalano un tasso di inflazione annuo del 117,8%, una cifra che, sebbene ancora rilevante, rappresenta una significativa riduzione rispetto al 211,4% del 2023 che ne aveva fatto la nazione con il carovita più alto del mondo. Le proiezioni per il 2025 indicano un indice dei prezzi al consumo in aumento di circa il 2% nei primi mesi, con aspettative di inflazione a un anno al 30% e, a due anni, al 20%.

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È stato proprio il terzo trimestre dello scorso anno a far segnare l’inversione di rotta, interrompendo il ripiegamento del Pil che andava avanti ormai da cinque trimestri. Tra luglio e settembre Buenos Aires ha mostrato una crescita destagionalizzata del 3,9% rispetto al trimestre precedente. Oltre agli investimenti fissi, con un aumento del 12%, a mettersi in luce è stato il settore primario: l’agricoltura ha visto una crescita del 32% su base annua, grazie dalla ripresa del raccolto dopo la siccità del 2023; la pesca ha evidenziato una crescita del 7% su base annua, proseguita con un aumento senza precedenti del 111% nel mese di novembre, grazie al boom della raccolta di crostacei e molluschi.

Infine, l’industria mineraria ha visto una crescita del 7,3% e su questo settore il paese albiceleste punta forte per il futuro. Oltre al litio, di cui l’Argentina è già uno dei maggiori produttori al mondo, è l’enorme giacimento di Vaca Muerta, il quarto al mondo di shale oil e il secondo di shale gas, a rappresentare la nuova sfida del paese sudamericano. Oggi produce 400mila barili di greggio al giorno, e secondo il governo l’attività potrebbe addirittura quintuplicare, arrivando fino a 2 milioni di barili quotidiani.

La produzione del settore primario ha visto in buona parte superare i confini del paese. Le esportazioni hanno registrato un aumento del 20,1% su base annua e in particolare del 31,6% a novembre, raggiungendo i 6,5 miliardi di dollari americani. La dinamicità delle esportazioni, insieme alla contrazione del 4,3% delle importazioni, ha permesso un surplus commerciale di 1,2 miliardi di dollari a novembre, che si è tradotto nel dodicesimo mese consecutivo di saldo commerciale positivo.

Gli ultimi dati disponibili di novembre confermano comunque la traiettoria di crescita: l’attività economica è salita dello 0,9% mese su mese e dello 0,1% anno su anno. E così JP Morgan ha rivisto al rialzo le sue stime: per il 2025, prevede una crescita del 5,5%, mentre per il 2026 l’espansione dovrebbe proseguire con un ulteriore 4%. Una previsione certificata dall’accordo che la banca di investimenti americana, insieme a Bbva, Santander, Icbc e Citi, ha raggiunto all’inizio dell’anno con la Banca Centrale per un prestito di 1 miliardo di dollari con orizzonte 2 anni e 4 mesi, “un’operazione che rafforza il processo di normalizzazione dell’accesso al mercato del credito, in linea con il crollo del rischio paese”, ha affermato l’istituto centrale in una nota.

“In molti Paesi abbiamo visto un cambio di marcia sul fronte della politica pubblica, e il caso più impressionante nella storia recente è l’Argentina, dove gli effetti sono stati profondi, con l’implementazione di un solido programma di stabilizzazione e crescita”, ha detto alcune settimane fa la direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva. Se il debito aveva raggiunto il 156% del Pil nel 2023, le stime di Moody’s lo portano oggi al 77% e l’agenzia di rating statunitense prevede che si ridurrà ulteriormente al 50% entro il 2026. Gli imponenti tagli alla spesa pubblica hanno consentito di ottenere un surplus di bilancio per 11 mesi consecutivi.

Grazie al miglioramento dei conti, Milei sta negoziando un nuovo accordo per 11 miliardi di dollari con il Fmi, che nei piani del governo aiuterà a superare le restrizioni al cambio di valuta estera, anche prima del 1 gennaio 2026, data promessa dal presidente argentino. I nuovi prestiti hanno l’obiettivo di rafforzare le riserve del Banco Centrale che attualmente conta uno stock inferiore ai 29 miliardi di dollari, e gli analisti ritengono che per attuare le politiche promesse siano necessari almeno 40 miliardi. Nonostante il massiccio acquisto di dollari dello scorso anno, 4,6 miliardi nel quarto trimestre e 19 miliardi in tutto il 2024, le riserve nette sono negative per circa 10 miliardi di dollari e continuano a essere il vero tallone di Achille del paese albiceleste.

Per dare stabilità al tasso di cambio, la Banca Centrale lo scorso anno ha utilizzato oltre 18 miliardi di dollari per pareggiare il divario tra il cambio ufficiale del peso con il dollaro e i tassi di cambio paralleli. Una situazione che rende il paese vulnerabile agli shock esterni, come la svalutazione del real brasiliano, che mette sotto pressione il peso argentino, il ribasso delle materie prime o i tassi di interesse elevati. A gennaio Buenos Aires ha già rimborsato prestiti in scadenza e interessi per 4,3 miliardi di dollari, la somma maggiore degli ultimi 3 anni, e nell’anno in corso dovranno far ritorno ai creditori altri 20 miliardi da ripagare in valuta estera.



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