CARO AFFITTI/ La soluzione fasulla dei prezzi calmierati

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La casa è un problema acuto per gli abitanti di molte città europee. Tra il 2015 e il 2023, l’indice Ue dei prezzi delle abitazioni è cresciuto del 48%. Se l’Italia ha sperimentato un modesto incremento medio dell’8% è solamente perché nel nostro Paese crescono le disparità territoriali: l’aumento in provincia di Milano è stato invece del 58%. Ha avuto particolare eco la difficoltà per gli studenti universitari di far fronte al caro affitti; ma la crisi degli alloggi è di portata ben più ampia e colpisce specialmente i lavoratori meno abbienti e più giovani.



A ogni livello di governo, le istituzioni si stanno attivando per rispondere alla sfida. Per esempio, nel Parlamento europeo sono appena iniziati i lavori di una commissione speciale sulla crisi degli alloggi, presieduta da Irene Tinagli. Troppo spesso, però, tanto i politici come gli elettori sembrano non sapere o non voler riconoscere la natura del problema e le sue cause. Ne consegue un serio rischio di adottare risposte poco efficaci se non dannose.

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L’errore più grave, ma anche più semplice, è interpretare l’aumento dei prezzi come una patologia in sé, anziché come mero sintomo di una crisi sottostante. Può essere vero in casi puntuali come quello del petrolio: da cinquant’anni i Paesi dell’Opec ne decidono il prezzo e riducono la produzione quanto occorre per conseguirlo. Ma nel mercato immobiliare non ci sono monopolisti come l’Arabia Saudita. Al contrario, il 73% delle famiglie italiane vive in un casa di proprietà, e anche gli alloggi in affitto appartengono per lo più a piccoli proprietari. Se i prezzi salgono non è perché qualcuno ha ed esercita un potere di mercato, bensì semplicemente perché la domanda aumenta più in fretta dell’offerta.



Ogni intervento regolamentare volto direttamente a calmierare i prezzi è perciò, nel migliore dei casi, un palliativo pericoloso: può offrire un aiuto di breve termine a particolari categorie in difficoltà, ma unicamente al costo di peggiorare il problema globale nel medio e lungo termine. Concordano la teoria economica e l’esperienza empirica di tutto il mondo, inclusa l’Italia con il cosiddetto “equo canone” vigente dagli anni ’70 agli anni ’90: riducendo artificialmente i prezzi si aumenta la domanda mentre si riduce l’offerta. Molti proprietari sceglieranno di non affittare più se non ad amici e parenti, convertendo semmai alloggi in uffici, o passando dal mercato d’affitto a quello di vendita.

Gli interventi efficaci devono necessariamente avere il segno opposto: ossia, devono aumentare l’offerta o ridurre la domanda. Interviene qui una considerazione più complessa. Non esiste un mercato italiano della casa: esistono molti mercati locali, che però sono intimamente legati dalla mobilità delle famiglie, le quali possono trasferirsi dall’uno all’altro e non di rado lo fanno. L’osservazione è forse banale; eppure è cruciale per comprendere come molte proposte regolamentari siano in realtà assai meno potenti di quanto possano sembrare.

Della scarsità di alloggi vengono sovente incolpate la crescita del turismo e degli affitti brevi. Certo, il diffondersi di un uso alternativo non può che aumentare il prezzo degli appartamenti. Ma di quanto? Se è vero che il turismo incide fortemente su quartieri circoscritti di alcuni centri storici, non meno è vero che gli affitti turistici sono di gran lunga inferiori al 5% della totalità delle abitazioni di un’area metropolitana come Milano, che ne conta oltre 1,7 milioni. Che cosa si otterrebbe dunque proibendo gli affitti brevi? Si trasferirebbero entro la cerchia dei bastioni più residenti, provenienti da Segrate o da Sassari. Per indurli a trasferirsi basterebbe però un calo modestissimo degli affitti milanesi: quasi certamente inferiore al 5%.

È legittimo osservare che qualcosa è meglio di niente. Un altro piccolo miglioramento si otterrebbe incentivando i proprietari a non lasciare abitazioni non occupate. Al censimento 2021 erano il 12% in provincia di Milano. La cifra si potrebbe dimezzare senza ledere il funzionamento del mercato; ma non di più: per i potenziali inquilini e compratori è infatti preferibile considerare alloggi già vuoti, in cui possono trasferirsi immediatamente. Anche in questo modo non si arriverebbe dunque a ridurre i prezzi del 5%.

Un aumento dell’offerta che riduca i prezzi di oltre il 10% si può ottenere soltanto nel più ovvio dei modi; altresì il più praticato fino a pochi decenni or sono: occorre tornare a costruire nei maggiori centri urbani. Anzitutto si potrebbero costruire più alloggi se i piani regolatori non lo vietassero. Tra il 1961 e il 1980 venne costruito il 37% delle abitazioni oggi esistenti in provincia di Milano; tra il 2001 e il 2020 appena il 12%.

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Inoltre, si potrebbero ampliare e migliorare le infrastrutture di trasporto per estendere ancora le principali aree metropolitane: se i treni regionali, negletti da decenni, fossero invece efficienti e affidabili, si estenderebbe il bacino del pendolarismo, riducendone al contempo i tempi, i costi e l’impatto ambientale.

Si può controbattere che un ulteriore aumento della densità e dell’estensione della metropoli milanese avrebbe costi socio-culturali, ambientali, estetici. Occorre, però, ammettere altresì che a codeste considerazioni si sacrificano le giovani generazioni, cui viene negato di avere accesso al contempo alle opportunità di lavoro che soltanto la metropoli offre, ma anche alla possibilità di mettere su casa e famiglia a un costo abbordabile.

L’agognata terza via richiederebbe di operare dal lato della domanda, grazie alla crescita della produttività al di fuori di Milano e di pochi altri mercati del lavoro, come Bolzano. Gran parte dell’Italia, e anzitutto del Mezzogiorno, continua a perdere popolazione per carenza di opportunità economiche. Se queste opportunità emergessero, si invertirebbe la tendenza e con essa la pressione al rialzo dei prezzi degli alloggi milanesi.

Aumentare la produttività nelle zone svantaggiate del Paese è purtroppo un obiettivo che sfugge ai governi italiani sin dal 1861. Ciò nondimeno, giova rammentare a elettori e politici di tutta Italia che si tratta di un obiettivo condiviso, particolarmente dalle regioni di punta. Se ciò che si desidera in Lombardia e Alto Adige è la moderazione al contempo degli affitti e delle nuove costruzioni, il solo modo di ottenerlo è la crescita di Campania e Sicilia.

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