Ha il pregio di essere discreta, via Bausan, a Napoli. È una strada chiusa e anche se così vicina a uno dei centri nevralgici della movida partenopea, il ritmo qui rallenta, si allunga grazie all’assenza del suono dei clacson e del traffico cittadino. Succede così anche una volta varcata la soglia di Persika, delizioso ristorantino dove ci si accorge immediatamente del continuum che unisce spazio esterno e interno. Un unico ambiente dove intimità e calore si rispecchiano in dettagli fatti di colori caldi e luci soffuse.
Una sala nascosta nel cuore della movida
Sulle pareti fanno capolino pochi quadri in una sala minimalista e rilassata separata da un arco di pietra al di là del quale si scorge una piccola cucina che mostra Joar Torch e la sua brigata quasi a mo’ di quadro vivente.
Sembra impalpabile la tensione di una sala piena e di comande che si susseguono, tutto scorre in un rigore estetico squisitamente nordico, che ci può stare visto che Joar, trent’anni appena compiuti, i primi venti li ha trascorsi a Stoccolma. «Ma ogni anno venivo in Italia per trascorrere l’estate nel Cilento, a Pisciotta. Un anno ci ho anche vissuto stabilmente, ho fatto la quinta elementare li», racconta il giovane cuoco.
Non ha nonni o bisnonni cilentani Joar né case ereditate da lontani zii. «Semplicemente mia madre, di origini svedesi, è sempre stata innamorata dell’Italia e soprattutto del Cilento. Anche a casa a Stoccolma cucinava sempre italiano». L’ambizione di Joar di diventare cuoco cresce nelle esperienze che fa in Italia: tra «i cavatelli alla sorrentina all’Osteria Belvedere e i piatti di pesce preparati da Angiolina a Pisciotta», si alimenta di tante domande ed esperienze fino ad arrivare al tre stelle Michelin “Frantzén”, a Stoccolma: «Lì ho fatto il mio primo tirocinio».
Stoccolma-New York-Pisciotta
Dopo poco vola a New York, nell’East Village da Hearth. «In quel periodo volevo imparare il più possibile, così sono partito dai fondamentali studiando e ricercando materie prime di altissima qualità». Ma è a Soho da Estela che delinea il suo stile di cucina: «Ero alla ricerca continua di qualcosa che non avevo mai visto prima. Nuovi sapori da ricreare attraverso nuove tecniche». Eppure, i ricordi di quelle estati italiane, di quella tavola d’infanzia fatta di risate tra amici mescolate al profumo dei piatti di pasta preparati dalla mamma e delle giornate infinite al mare riportano Joar, di nuovo, a Pisciotta.
La piccola piazza del paese, alla quale si accede tra un saliscendi di scale e vicoli caratteristici, era il posto perfetto al momento perfetto. «Con Bruno Liguori, amico di sempre delle estati in Cilento abbiamo aperto Malabar. I migliori prodotti locali cucinati in modo semplice e onesto, questa era la nostra cucina diventata, in pochi mesi, un punto di riferimento gastronomico per locali e turisti».
Pisciotta però, come un po’ tutti i paesi cilentani, “sonnecchia” per diversi mesi all’anno, risvegliandosi d’estate per riprendere da dove tutto è partito. «Volevo un po’ più di stabilità», spiega Joar. Ed è per questo che con suo fratello Timon, che dal canto suo già vantava esperienze di rilievo nel mondo dei vini, inizia a prendere forma l’idea di mollare tutto e ricominciare da Napoli.
L’approdo nel cuore di Napoli
Lì c’era sempre Bruno ad aspettarli. «L’idea stavolta era un po’ diversa, sempre con l’utilizzo degli ingredienti locali, ma in una veste originale, meno scontata, che potesse stupire senza sconvolgere troppo».
Joar evita le frasi fatte e la retorica, punta solo a trattare con intelligenza gli ingredienti, contaminandoli tra tradizioni indigene e libertà di scoperta. Ed eccola lì la nuova proposta gastronomica di Persika: «Una parola che in Svezia significa pesca (il frutto!), esattamente come nel dialetto napoletano». Al mattino è Joar che va al mercato del pesce: «A Porta Nolana, dietro la stazione centrale di Napoli, c’è sempre Pino o Ciro che mi consigliano quello più fresco», racconta. La verdura, invece, arriva principalmente da un’azienda biologica della Valle Caudina, mentre per la carne si va fino a Benevento alla macelleria di Giacomo Buonanno: «Cerco di scegliere solo razze locali allevate al pascolo… Mangiare bene è un atto di cura verso se stessi e verso i clienti».
Ma anche per Timon la ricerca è quasi quotidiana per una carta vini tutta concentrata tra piccoli produttori artigiani e l’idea del buon bere senza mai sconfinare in eccessi naturali. Tutte le sere propone molte delle sue selezioni anche al calice. A Bruno spetta il compito di tessere le fila cucendo su misura quell’ospitalità e atmosfera che ogni volta sa ricreare davanti a un tavolo.
Una cucina libera, che non ti aspetti
Persika è un luogo che non somiglia a nessun altro a Napoli, con un’identità gastronomica consapevole, legata al territorio, ma sganciata dalla retorica della tradizione. Il menu è un curioso meltin’pot che mescola intuizioni e offerte quotidiane del mercato. È fatto di giuste portate, leggibili, veloci e che variano quasi tutte le settimane. «Mi piace agire liberamente». Così in alcuni casi il mare del golfo di Napoli incontra la Francia, come per il crostino con pesce serra affumicato, crème fraîche, cetriolo, cipollotto e menta o si scontra, invece, tra il mare calabro e le montagne piemontesi con l’irrinunciabile cipolla di Tropea grigliata e marinata con salsa tonnata.
La cucina di Joar non è estremista
È un menù che vira verso un carnivoro limitato «con un posto di riguardo ai vegetali e più entrate in gioco del pesce, che poi è anche un po’ la mia dieta personale». Joar, però, non è estremista: «Anche quando si sceglie di mangiare carne l’importante è che si tratti di materia prima di qualità». «Preferiamo spendere di più per trovare carni di animali che sappiamo abbiano mangiato bene, che abbiano pascolato o che non siano di allevamento intensivo» e per far quadrare, i conti «scegliamo tagli meno pregiati come il quinto quarto o i pesci più poveri che valorizzo come le alici, lo sgombro o il pesce serra».
Accessibilità nei prezzi
In questo modo la materia prima non è mai messa in discussione in un binomio sinestetico tra qualità e prezzo finale che vale a rendere Persika anche un posto accessibile economicamente, «ma soprattutto buono», scherza Joar ricordando quanto il suo modello di ristorazione gastronomica sia più devoto al gusto che alle mode: «L’idea che il diverso sia migliore non fa parte della mia cucina». E alla tendenza di piatti esotici e costosi risponde con i prodotti locali: «Viviamo nella terra dei migliori limoni al mondo e poi mariniamo un pesce con un lime costoso e senza succo».
Una nuova forma di ristorazione
«Unire le competenze è forse questo l’elemento chiave che dà forza a un ristorante», e Joar, Timon e Bruno sembrano muoversi con un’eleganza che non è solo estetica, ma fatta di gesti nella relazione con i clienti e nel modo di proporre e raccontare il mondo Persika. «Qui tutti sono indispensabili», dice Bruno mentre dalla cucina suona il campanello con le comande pronte. Lui è già lì a portarle al tavolo 8 coi i calici pronti per essere versati da Timon.
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