Cessioni intracomunitarie franco partenza e nuove criticità

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Il recente D.Lgs. 87/2024 (c.d. Decreto sanzioni), intervenendo sulla disciplina dell’articolo 7, D.Lgs. 471/1997, ha “alzato il tiro” sul tema delle cessioni intracomunitarie (articolo 41, comma 1/a, D.L. 331/1993) con trasporto curato dal cessionario, ovvero dal vettore dal medesimo incaricato. Il fisco, in sostanza, “pretende” che l’arrivo a destino dei beni si concretizzi entro 90 giorni dalla consegna, replicando l’impianto sanzionatorio (modificato nella misura percentuale) che, pur con talune differenze, è da sempre previsto per le esportazioni c.d. improprie (articolo 8, comma 1/b, D.P.R. 633/1972); disciplina che – nel 2013 – ha formato oggetto di “insegnamenti” interpretativi da parte della Corte di Giustizia, su cui il legislatore ha evidentemente ritenuto di poter confidare anche per le cessioni intracomunitarie Exw o con altre rese in partenza.

La novità è in vigore per le “violazioni” commesse dall’ 1.9.2024. Nel precisare detta novità non impatta sulle cessioni intracomunitarie con resa a destino (cioè quelle in cui il trasporto/spedizione è curato dal fornitore ovvero da terzi per suo conto), proviamo ad analizzare il contesto e a formulare qualche riflessione anche in merito alle non trascurabili criticità derivanti dal fatto che i suddetti 90 giorni potrebbero risultare non così agevoli da rispettare (si pensi, su tutti, al caso in cui i beni venduti siano interessati da una lavorazione, da parte di IT2, prima dell’uscita dallo Stato). Il tutto, tenendo opportunamente presenti gli insegnamenti interpretativi di due sentenze della CGUE che, a giudizio di chi scrive, permettono di delineare (e circoscrivere) i contorni di una novità che, in sede accertativa, non mancherà di creare probabili criticità non solo a chi non sarà in grado di dimostrare l’arrivo a destino (questo è scontato) ma anche a chi non sarà preparato nel documentare che detto arrivo si è perfezionato entro i 90 giorni dalla consegna.

 

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La disciplina delle cessioni e degli acquisti intra

Partiamo con il ricordare che:

  • per applicare l’esenzione (non imponibilità) nelle cessioni intracomunitarie di beni (articolo 41, D.L. 331/1993 o articolo 138, Direttiva 2006/112/CE) è necessario che il bene sia “trasportato o spedito nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente o da terzi per loro conto” fermo restando il rispetto anche di tutti gli altri requisiti (passaggio di proprietà, a titolo oneroso, verso cessionario operatore Vies di altro SM che effettua l’acquisto, in quanto tale, con il proprio numero identificativo Iva, e regolare compilazione dell’elenco riepilogativo Intrastat);
  • di converso, è considerato acquisto intracomunitario imponibile ”l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, a destinazione dell’acquirente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto del bene” (articolo 20 Direttiva).

Ricordiamo, inoltre, che:

  • a prescindere da chi cura la spedizione o il trasporto, incombe sempre sul fornitore l’onere della prova che i beni sono trasportati in altro Stato membro e che detta prova è più agevole quando il trasporto è curato dal fornitore attraverso propri spedizionieri/trasportatori;
  • il fornitore – dal 2020 – tanto nel caso di rese a destino (trasporto a cura del fornitore) quanto in quello di rese in partenza (trasporto a cura del cessionario) può “conquistare” una presunzione legale (ancorché relativa) a proprio favore, laddove disponga del set documentale individuato dall’articolo 45-bis, regolamento 282/2011/UE (almeno 3 documenti di cui 2 di parte terza e indipendente);
  • il fornitore può anche ricorrere ai documenti individuati dalla prassi dell’Agenzia delle entrate (ex plurimis risposta ad interpello n. 141/2021 e risposta ad interpello n. 117/2020), fermo restando che tali documenti non confezionano, però, una presunzione legale e saranno soggetti alla valutazione, caso per caso, dell’Amministrazione finanziaria (circolare n. 12/E/2020 3; Note Esplicative Commissione UE su quick fixes del dicembre 2019, par. 5.3.3);
  • non ci sono, invece, indicazioni ufficiali su come provare il trasporto, da cui l’estrema criticità, nel caso in cui sia eseguito (senza vettore terzo) con mezzi propri del fornitore o del cessionario (risposta ad interpello n. 305/2020).

 

I termini di arrivo che, nella direttiva, non sono normati e gli insegnamenti della CGUE

Ciò premesso, è utile ricordare che la direttiva Iva non disciplina in modo esplicito i termini entro cui la spedizione di beni da uno Stato membro si debba concludere con l’arrivo nell’altro Stato del cessionario; in tal senso la Corte di Giustizia (sentenza 18/11/2010 in causa C-84/09) ha, infatti, precisato che “gli artt. 20, primo comma, e 138, n. 1, della direttiva … devono essere interpretati nel senso che la qualificazione di un’operazione quale cessione o acquisto intracomunitario non può dipendere dal rispetto di un qualsivoglia termine entro il quale debba aver inizio o concludersi il trasporto del bene di cui trattasi”.

In senso non difforme (da cui è presumibilmente sorto lo spunto del legislatore della riforma di poter “replicare” sulle cessioni intra la disciplina già prevista per le esportazioni improprie), le precisazioni in materia di esportazioni, laddove (sentenza 19/12/2013 in causa C-563/12) viene, tuttavia, precisato che “gli articoli 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva … devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati al di fuori dell’Unione europea devono aver lasciato il territorio dell’Unione europea entro un termine prestabilito di tre mesi o di 90 giorni successivi alla data di cessione, qualora il semplice superamento di tale termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale cessione”.

In termini più semplici, tutto ciò significa che non è ostativo che una norma nazionale fissi (e sanzioni) il mancato rispetto di un termine ragionevole, purché il superamento del termine non sia sanzionato anche con l’applicazione dell’Iva, se l’esportazione risulta provata.

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Ciò detto, è anche utile ricordare come, nel 2020, ci si fosse chiesti se il novellato articolo 45-bis, Regolamento UE n. 282/2011 (emendato dal Regolamento UE n. 1909/2018) avesse colmato il vuoto della direttiva, nella parte in cui (al § 1/b) dispone che, laddove il fornitore, per le rese appunto in partenza, voglia “conquistare” la presunzione legale a proprio favore dovrebbe disporre della dichiarazione scritta di arrivo rilasciata dal cessionario “entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione”; sul punto, com’è noto, tanto la Commissione europea (note Esplicative Commissione UE su quick fixes del dicembre 2019), quanto l’Agenzia delle entrate (Circolare n. 12/2020 § 2), furono rassicuranti nel precisare che la trasmissione oltre il termini suddetto “non preclude la possibilità per il venditore di beneficare della presunzione in presenza di tutte le altre condizioni”. Rimane fermo che al suddetto documento di parte (se si vuole conquistare la presunzione legale) vanno poi aggiunti almeno altri due documenti di due diverse parti terze e indipendenti, fra quelli individuati dalla norma (CMR, polizza di carico, fattura del trasporto/spedizione, bonifico di pagamento del trasporto, ecc.).

 

La sanzione del 50%, dall’1.9.2024, per l’arrivo tardivo

Così sinteticamente ricostruito il contesto, va focalizzato che (per effetto delle novità introdotte dall’articolo 2, D.Lgs. 87/2024 nell’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 471/1997) la novellata norma nazionale (per “coerenza” dice la relazione illustrativa) prevede per “le violazioni commesse dal 1° settembre 2024” la sanzione del 50% dell’Iva (sanzione così ridotta rispetto alla forbice 50-100% precedentemente prevista per le esportazioni improprie) “qualora il bene sia trasportato in altro Stato membro dal cessionario o da terzi per suo conto e il bene non risulti pervenuto in detto Stato entro novanta giorni dalla consegna.

Si osservi, a tal riguardo, che per il computo dei 90 giorni dalla consegna (Exw, Fca o, comunque, altre rese in partenza), nelle cessioni intra, si guarda quindi all’arrivo a destino dei beni nell’altro Stato Membro e non, come nelle esportazioni improprie, all’uscita dal territorio doganale unionale.

 

La regolarizzazione entro i 120 giorni e l’esimente

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È utile inoltre evidenziare che anche per le cessioni intra in analisi il novellato articolo 7 prevede la medesima esimente sanzionatoria già prevista per le esportazioni improprie secondo cui la sanzione non si applica se, nei trenta giorni successivi, viene eseguito, previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell’imposta”.

Considerata la medesima espressa impostazione normativa è, pertanto, ragionevole concludere che, anche in questo caso, laddove il fornitore temesse di non riuscire ad avere dal proprio cliente i documenti necessari (oppure, come detto, che l’arrivo a destino si concretizzi oltre i 90 giorni dalla consegna) potrebbe – per disinnescare il rischio sanzionatorio – procedere con la regolarizzazione della cessione (nota di debito) con applicazione e versamento dell’Iva (entro i 120 giorni dalla consegna), salva la possibilità di recuperare l’imposta in un momento successivo, al sopraggiungere delle prove (ancorché testimonino un arrivo successivo ai 90 gg), come ammesso dall’Agenzia delle entrate, per l’analoga problematica delle esportazioni improprie, nella risposta ad interpello n. 32/2023 (per eventuali approfondimenti su questo tema si rinvia a Esportazioni a cura del cliente estero: prova, regolarizzazione e cautele”, sulle colonne di EcNews dello scorso 29.6.2023).

Tornando, per un momento, sulla questione della decorrenza della novità in analisi, l’Agenzia è intervenuta nella risposta d’interpello n. 236/2024, pubblicata lo scorso novembre, confermando che, “ai fini di individuare il “dies a quo” a partire dal quale è consentito applicare le nuove misure sanzionatori, occorre aver riguardo alla data in cui la violazione è commessa”. Nell’interpello, l’Agenzia delle entrate ha negato, in sostanza, la possibilità di invocare la regolarizzazione senza sanzioni (caso prospettato dall’istante) per le cessioni intra che si considerano effettuate (leggasi – ex articolo 39, D.L. 331/93 – inizio spedizione/trasporto o, pur se non obbligatoria, emissione della fattura se anticipata) prima dell’1.9.2024.

 

Iva e sanzione al 70% per le cessioni senza trasporto

È bene osservare che il punto più interessante del sopra citato interpello è, tuttavia, un altro. L’istante, per il caso di una fatturazione emessa a giugno (impropriamente) in articolo 41 per una cessione con espresso passaggio di proprietà, mentre la merce si trovava già in Italia (quindi senza trasporto), aveva provato a invocare la possibilità di regolarizzare l’operazione, senza sanzioni, nei termini del novellato articolo 7 (cioè, entro i 120 gg complessivi). L’Agenzia delle entrate ha negato tale prospettazione non tanto (è bene osservare) per una questione di diritto transitorio (la novità, come detto, decorre per le violazioni/cessioni effettuate dall’1.9.2024), quanto perché nel caso dell’interpello la cessione, osserva l’Agenzia delle entrate, risulta “irregolare sin dalla sua effettuazione” non essendo applicabile la non imponibilità quando il bene non è trasferito in altro Stato Membro, da cui la conseguente applicazione delle sanzioni dell’articolo 6, comma 1, D.Lgs 471/1997 (90-180% fino al 31.8.2024 che scende al 70% per le violazioni successive) e non di quelle dell’articolo 7 e, quindi, ferma restando la praticabilità del ravvedimento operoso, senza alcuna possibilità di regolarizzazione gratuita.

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Le conclusioni sono (purtroppo) condivisibili; è bene ricordare, infatti, che l’invio dei beni in altro Stato membro dell’Unione è elemento costituito della cessione intracomunitaria … in assenza del quale non può considerarsi legittima l’emissione di una fattura senza applicazione dell’imposta” (risoluzione n. 345/E/2007 e risoluzione n. 477/E/2008) da cui consegue che, per una cessione perfezionata senza trasporto, il trattamento non può che essere quello delle cessioni interne con la conseguenze sopra indicate.

 

Osservazioni

Ciò illustrato, viene spontaneo chiedersi se la nuova previsione di 90 giorni per l’arrivo a destino dei beni ceduti franco partenza sia legittimo – per le cessioni intracomunitarie effettivamente tali – in punto di diritto comunitario; a giudizio di chi scrive deve darsi (purtroppo) risposta affermativa fermo restando che, a prescindere dalle opinioni personali, è evidentemente questa l’interpretazione che ha mosso le scelte del legislatore domestico. La giurisprudenza retro citata (come già osservato, in materia di esportazioni, nella risoluzione n. 98/E/2014 e nella risposta ad interpello n. 32/2023) non nega, infatti, anche in funzione delle previsioni dell’articolo 131 della direttiva stessa, che uno Stato membro possa stabilire un termine ragionevole per la corretta e semplice applicazione delle “esenzioni” mentre vieta, questo sì, che il mancato rispetto dei termini individuali (90 giorni cit.) dia origine ad accertamento dell’Iva se l’esportazione (e oggi anche la cessione intra franco partenza) risulti effettuata, ancorché successivamente, e provata prima dell’accertamento.

Preso atto della scelta “stringente” del legislatore (scelta che in qualche modo codifica i “desiderata” – sull’acquisizione delle prove “senza indugio” – che l’Agenzia delle entrate aveva già espresso nella vecchia risoluzione n. 19/E/2013) pare abbastanza scontato che per i verificatori non sarà difficile sciolinare con una certa disinvoltura rilievi volti ad eccepire la violazione del novellato articolo 7 tutte le volte in cui il contribuente, in sede di accesso e verifica successiva a i 90 giorni previsti dalla norma, non dovesse essere già in possesso dell’adeguata documentazione.

 

Qualche suggerimento per i beni inviati a IT2 in conto lavoro

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Fermo restando che l’Iva, come detto, non potrà essere pretesa in presenza di adeguate prove d’arrivo (che documentino cioè l’avvenuto arrivo a destino, ancorché successivamente ai 90 giorni), c’è altresì da chiedersi se (ci auguriamo di si) e fino a che punto i verificatori considereranno giustificabili – senza eccepire la violazione dell’articolo 7 – lo sforamento dei 90 giorni in quelle circostanze tradizionalmente dilatorie come nel caso (peraltro previsto dall’articolo 41 medesimo) in cui i beni, prima dei lasciare lo Stato, siano sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio o adattamento ad altri beni.

Lo sforamento, in tali ipotesi, potrebbe essere evento non così raro, ma va da sé – a giudizio di chi scrive – che la violazione in analisi non potrà essere rilevata (non trattandosi si ipotesi trattata dalla norma sanzionatoria) se il trasporto (tanto dal fornitore al lavorante, quanto dal lavorante al cliente finale) non viene curato dal cessionario/committente estero, bensì (e ciò risulti documentabile) dai fornitori nazionali ovvero dai trasportatori dai medesimi incaricati.



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