”Alleanze tra bande e mafie tradizionali, la Sardegna non è un’isola felice”

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Il procuratore generale di Cagliari: “Scontro politica-magistratura? nasce dal rifiuto del controllo di legittimità da parte di chi non è eletto

Chi dice che la Sardegna è un’isola felice è troppo ottimista”. A dirlo, intervistato da lavialibera, è Luigi Patronaggio, procuratore generale di Cagliari, già magistrato antimafia a Palermo, poi procuratore capo di Agrigento. Il pg ha spiegato qual è lo stato dell’arte della presenza delle mafie nell’isola. “In Sardegna non c’è una mafia indigena, nel senso di organizzazioni che replicano le modalità tipiche delle mafie del sud Italia. Però ci sono due grossi rischi”, ha avvertito. “Il primo è legato alle storiche bande specializzate nei sequestri di persona, che oggi si sono riciclate: fanno rapine a portavalori e caveau, ma soprattutto narcotraffico, sia coltivazione di marijuana che scambio tra droghe leggere e droghe pesanti. Sono bande organizzate che non hanno le strutture tipiche familistiche delle mafie del Sud, ma operano con modalità che destano grandissimo allarme sociale”. L’altro pericolo è che le mafie tradizionali del Continente “vengano a investire in Sardegna”, in particolare nel turismo. Secondo il procuratore generale “c’è il rischio che intercettino anche l’enorme potenziale economico dato dagli investimenti nelle energie alternative. Infine, osserviamo anche casi di alleanze tra le mafie tradizionali e la criminalità organizzata sarda. Connubio agevolato dalla compresenza, nelle carceri di massima sicurezza dell’isola, delle rispettive rappresentanze, ma anche dal fatto che i familiari di alcuni reclusi si trasferiscono qui ed esportano quindi i loro modelli di criminalità. Insomma, quando si dice che la Sardegna è un’isola felice si è troppo ottimisti”. Secondo il magistrato c’è il rischio che la criminalità organizzata possa mettere mano nei fondi pubblici destinati a incentivare la transizione “e proprio per questo abbiamo sottoscritto un protocollo con la Prefettura e con la Guardia di finanza per attenzionare questo possibile problema. Il fatto che una regione storicamente povera di imprenditoria locale e risorse diventi uno dei principali centri per le energie alternative, non solo a livello nazionale, ma europeo, deve destare un’attenzione particolare”.


Mafie, bande sarde e carceri nell’Isola

Tra i vari spunti proposti dalla procura generale di Cagliari c’è quella di inserire anche le bande sarde nella definizione del reato di 416 bis e che le indagini sulle rapine a mano armata (non rare in Sardegna) siano di competenza alle Dda. Sul primo aspetto, ha commentato Patronaggio, “abbiamo precedenti che mostrano come queste bande storiche hanno delle ramificazioni nella pubblica amministrazione e hanno stretto patti indicibili anche con segmenti della massoneria deviata. Questo desta preoccupazione, perché questo tipo di alleanza tra criminalità organizzata, segmenti dell’amministrazione, della politica e della massoneria deviata ricalca i meccanismi che riscontriamo da sempre nelle mafie tradizionali”. Sul secondo input il magistrato ha spiegato che è stata inviata alla via Arenula e al Viminale “perché ci accorgiamo che questi fenomeni criminali, che mettono in pericolo la sicurezza e l’incolumità pubbliche, hanno ramificazioni e regie uniche”. “Se noi spezzettiamo le indagini nelle varie procure si perde il bandolo della matassa”. “Quei fenomeni sono reati spia – ha spiegato – cioè in quelle regioni è storicamente, sociologicamente e criminologicamente accertato che si tratti di meccanismi di criminalità organizzata. In Sardegna questi episodi, come anche le intimidazioni verso i pubblici amministratori, non vengono collegati in un’ottica unitaria, ma parcellizzati. E questa frammentazione rappresenta oggettivamente uno svantaggio nella conduzione delle indagini”. Sempre sul territorio sardo, il magistrato ha parlato delle condizioni delle carceri isolane. “La situazione in Sardegna è critica, ma non ai livelli di altre regioni d’Italia. Certo, ci sono delle carceri, come quella di Uta, dove registriamo con una certa frequenza e preoccupazione sia attacchi nei confronti della polizia penitenziaria sia atti di autolesionismo tra i detenuti, ma i numeri sono decisamente più bassi rispetto a quelli di altre regioni”.


Le riforme della giustizia e l’attacco della politica ai magistrati

Nell’intervista è stato chiesto anche un commento sulle riforme del governo Meloni. “In questo momento in Italia c’è grande attenzione verso politiche securitarie, che prescindono dal fatto che il problema di sicurezza sia reale o percepito. Ora, la risposta securitaria non può essere l’unica risposta ai problemi del Paese, perché è giusto che non avvengano violenze nelle piazze e nelle carceri. Però bisogna anche avere la capacità di leggere i fenomeni sociali. Non basta soltanto reprimere, occorre anche capire le esigenze della piazza, dei detenuti, delle fasce che reclamano”. E sull’offensiva della classe di governo ai magistrati Patronaggio ha commentato: “Che vi sia uno scontro in atto è fuori dubbio e l’ha riconosciuto anche il presidente della Corte costituzionale. Non è soltanto un problema italiano, ma di tutto l’Occidente democratico, e nasce dal rifiuto del controllo di legittimità da parte di chi non è eletto. Oggi la vulgata internazionale è ‘mi ha eletto il popolo quindi posso fare quello che voglio’. In realtà – secondo il magistrato – la democrazia non funziona così: non esiste soltanto la legittimazione popolare, esistono anche altri tipi di controlli di legalità. E la politica, in Europa come nell’America trumpiana, mal digerisce questo controllo, quindi ciò che generalmente tenta di fare è mettere il pubblico ministero sotto le dipendenze dell’esecutivo e introdurre la discrezionalità dell’azione penale. Questo permetterebbe alla politica di agire in modo libero, senza intralci. Ma la democrazia si basa su pesi e contrappesi, senza i quali l’ago della bilancia si sposterebbe tutto da una parte”. 

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Foto © Davide de Bari

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