Istituti Italiani di Cultura un’opportunità da valorizzare

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“Mi scusi direttore, potrei usare un momento il bagno?”
“Certo! Ma tra un attimo perché prima dobbiamo aprire l’acqua”
“Cioé?”
“Sa, se lasciamo l’acqua sempre aperta, dalla cisterna poi cola lungo le pareti dell’istituto”.
Caracas, Avenida San Juan Bosco, Istituto italiano di cultura

Sono passati due anni dalla mia visita a quel IIC (così vengono generalmente denominati gli Istituti Italiani di Cultura) e mi auguro che le tubature nel frattempo siano state riparate. Certamente Caracas in quel periodo rappresentava un caso estremo, ma situazioni di degrado e di noncuranza per il decoro delle strutture ce ne sono altri. Pacchi di carte sulle scrivanie (una diversa dall’altra); avanzi di caffè; scatoloni di materiale di cancelleria abbandonati vicino alle pareti; cumuli di banner di eventi passati. Questo è lo spettacolo consueto entrando in un istituto. Sono soprattutto i vecchi banner che mi hanno sempre sorpreso. Se su uno di questi teloni si pubblicizza, con tanto di data scritta a caratteri cubitali, un concerto avvenuto tre anni prima perché mai, passato l’evento, non si butta? La risposta è quasi sempre la stessa: “Non si sa mai“!
Non tutti gli 86 IIC sparsi per i cinque continenti sono così. Vi sono anche istituti inseriti in spazi storici e di pregio, come quello di Parigi che ha sede in un prestigioso “hôtel particulier” della fine del ‘700, nel cuore del Faubourg Saint-Germain. Tra gli estremi di Caracas e di Parigi c’è un po’ di tutto. Da quelli che gestiscono bene gli spazi teatrali inseriti al loro interno (Santiago o Copenaghen), a quelli che hanno metrature enormi che non riescono a sfruttare per mancanza di personale. Ne ho visitato anche uno, a Lima, che al suo interno aveva una chiesa che veniva affittata per battesimi e matrimoni; poi, un bel giorno si è staccato un pezzo di stucco dal soffitto, per fortuna senza cadere in testa a nessuno, e gli introiti per l’affitto della chiesa sono da quel momento svaniti.

Lo scopo degli Istituti Italiani di Cultura

A che cosa servono gli istituti italiani di cultura? Domanda ovvia: promuovere la cultura all’estero. Ma il difetto principale è che la promozione della cultura viene intesa più in senso quantitativo che qualitativo. Ci si riempie la bocca con i numeri; “Il mio istituto ha fatto 200 eventi in un anno!”, quando sarebbe stato di gran lunga meglio – e ben più utile alla causa della diffusione delle nostre eccellenze – farne 20 ma di gran livello.
In qualche caso il direttore ha preso talmente a cuore l’obiettivo della promozione, da… autopromuoversi! Qualche anno fa infatti in un istituto europeo il direttore / artista presentava esposizioni di opere della propria produzione. Ma gli artisti, si sa, sono un po’ sfacciati…

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Istituti Italiani di Cultura la difficoltà di organizzare eventi di alto livello

Negli anni o addirittura nei decenni si è stratificata negli istituti l’abitudine ad una offerta di basso livello; gli artisti (pittori, musicisti, ecc.) di grande statura dagli IIC tendono a tenersi in disparte, considerandoli spazi di secondo livello. Esistono ovviamente delle eccezioni, ma la nomea degli istituti è purtroppo questa. Il pittore che non trova gallerie straniere per esporre le proprie opere si affida agli istituti, lo stesso avviene per i musicisti ai quali sono precluse le migliori sale da concerto. Esiste una pletora di artisti specializzati nel vagare e approdare solo e sempre agli IIC per offrire le loro esposizioni o i loro concerti a prezzi ridotti. È una sorta di universo parallelo di piccoli e medi professionisti che non sono mai riusciti a eccellere e che finiscono per orbitare attratti dal campo magnetico degli istituti.
Gestire un evento che costa tremila euro è ben più facile che non una serie di concerti dell’orchestra del Teatro alla Scala che, nel 2020, per un costo complessivo di 1,2 milioni di euro, suonò al Teatro Colon di Buenos Aires in occasione dei duecento anni dell’indipendenza argentina. Più di un milione per tre concerti? E chi ha pagato? Sorpresa delle sorprese, gli sponsor. FIAT, Pirelli e Telecom hanno messo ciascuna 250.000 euro e il resto è stato coperto dalla città di Buenos Aires. È un esempio che ho citato spesso a direttori lamentosi che mi dicevano con fare da addolorata che le ditte alle quali avevano chiesto duemila euro per pagare un conferenziere si erano negate. E ci credo! Che ritorno pubblicitario avrebbe avuto la loro sponsorizzazione?

Istituti Italiani di Cultura

Il Ministero degli esteri e la direzione per le relazioni culturali

Si potrebbe pensare che data l’importanza che la cultura ha sempre avuto nella nostra storia, all’interno del Ministero degli esteri, da cui dipendono gli IIC, vi debba essere una importante ed imponente direzione per le relazioni culturali. La direzione forse non è imponente? No, la realtà è che la direzione per le relazioni culturali non esiste proprio. Se ne occupa una direzione quasi omnibus al cui interno esistono varie altre competenze. Per avere una maggiore consapevolezza della necessità di pensare e mettere in atto mirate politiche culturali si potrebbe proprio partire dalla rinascita della Direzione Generale per le Relazioni Culturali che un tempo esisteva e per un certo periodo venne guidata da personalità del calibro di Sergio Romano.

Istituti Italiani di Cultura e l’insegnamento della lingua italiana

Una delle incombenze più gravose e piena di complicazioni per gli istituti è quella dell’insegnamento della lingua italiana, settore sul quale il Ministero degli esteri soprattutto negli anni recenti ha spinto molto. Gli sforzi per la diffusione della nostra lingua sono meritori. Più difficile comprendere perché gli IIC debbano essere gravati di tali compiti quando all’estero, in parallelo agli istituti, vi sono circa 400 comitati della Dante Alighieri che sono “Associazioni culturali autonome, affiliate alla Sede Centrale di Roma, che operano per promuovere e diffondere lingua e cultura italiane nel mondo attraverso attività culturali e corsi di lingua”.  Forse è un vizio nostrano quello di duplicare gli organi che devono occuparsi della stessa materia, con la ovvia conseguenza di far nascere piccole lotte tra istituto e comitato della Dante soprattutto per cercare di strapparsi a vicenda i migliori insegnanti di italiano presenti su piazza.

I direttori degli Istituti Italiani di Cultura

I direttori degli istituti provengono dall’organico APC (Area della Promozione Culturale) facente parte dei ruoli del Ministero degli esteri. Vi sono però eccezioni. Il Ministro può nominare attualmente un massimo di 5 Direttori, detti di “chiara fama” scelti, come recita la legge, tra “persone di prestigio culturale ed elevata competenza anche in relazione all’organizzazione della promozione culturale”. Ovviamente i “chiara fama” sono visti come fumo negli occhi dai direttori APC che li accusano di aver portato via dei posti di prestigio. I “chiara fama” infatti vanno a Londra, New York e Parigi, mica si fanno assegnare a Baghdad o Addis Abeba.

Il tema della sicurezza negli Istituti Italiani di Cultura

Un problema aggiuntivo è sorto a seguito dell’attentato anarchico avvenuto in Grecia ai danni della Consigliera dell’Ambasciata d’Italia ad Atene Susanna Schlein, sorella dell’attuale segretaria del PD, quando, nel dicembre 2022, venne bruciata con una molotov la sua autovettura. Nel timore che simili attentati potessero essere progettati da cellule anarchiche greche, vennero prese misure di sicurezza anche a protezione di quel IIC.
Da quel momento la preoccupazione per possibili azioni violente spinse i competenti uffici del Ministero degli esteri a mettere in atto meccanismi che rendessero maggiormente sicuro, ma al tempo stesso complicato, l’accesso agli istituti in occasione di conferenze o concerti. La macchinosità per controllare gli accessi diventa di fatto un fattore che scoraggia la partecipazione. Gli istituti non possono divenire dei bunker, altrimenti tanto vale che vengano chiusi.

Suggerimenti e proposte per migliorare gli Istituti Italiani di Cultura

Quali sono i possibili suggerimenti e le soluzioni per migliorare l’efficienza e la qualità degli istituti italiani di cultura?
La prima proposta, che però è anche la meno realizzabile dal punto di vista politico perché nessun governo la farebbe propria per non essere attaccato dalle opposizioni, è la chiusura di almeno un terzo degli istituti. Si tratta di quelli ospitati in spazi piccoli, non decorosi e con scarso personale. La soluzione più logica sarebbe quella di sostituire l’istituto con un addetto culturale ubicato all’interno dell’ambasciata o del consolato. L’addetto culturale, analogamente all’addetto scientifico già presente in varie rappresentanze diplomatiche, potrebbe in tal modo concentrarsi unicamente sulla organizzazione degli eventi senza le problematiche relative alla gestione del personale e al mantenimento del decoro della sede.
Il secondo intervento, ben più fattibile, riguarda la cessione per intero della gestione dell’insegnamento dell’italiano ai comitati della Dante Alighieri.
Sarebbe opportuno prevedere un’adeguata preparazione e formazione ad hoc per i futuri direttori, mirata alla realtà culturale in cui andranno ad operare. Le attuali pratiche prevedono alcune lezioni indirizzate all’insieme del gruppo di neo direttori, indipendentemente dalla loro meta.
Andrebbe aumentato il numero di direttori di “chiara fama” che porta con sé il prezioso bagaglio della sua… agenda telefonica.  Il mondo della cultura non è così vasto come si potrebbe pensare e chi ha diretto per anni un museo, un giornale o una manifestazione culturale di rilievo conosce buona parte del mondo che conta e sa come raggiungere le persone giuste nel paese nel quale si troverà a operare.
Soprattutto andrebbe messa in pratica la filosofia di puntare non alla quantità, ma alla qualità degli eventi. Qualità e audacia nelle scelte, maggiore attenzione all’Italia contemporanea e stop agli eventi di basso profilo. Forse così nel giro di un decennio gli IIC potranno rinascere a nuova vita.

Giorgio Guglielmino

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