La disgregazione della magistratura (perché non è solo una riforma sulla separazione delle carriere). Le ragioni di uno sciopero

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La chiamano “separazione delle carriere” ma il disegno di legge costituzionale di riforma della magistratura non prevede una semplice separazione delle carriere.

È uno strappo. È un taglio nella Carta costituzionale voluta e ideata per garantire i diritti della persona, di qualunque persona, dagli eccessi del potere, di qualsiasi potere.

È in questa direzione che la Costituzione affida la tutela dei diritti ai magistrati, giudici e pubblici ministeri, indipendenti e autonomi ed organizzati in un ordine, unico, indipendente e autonomo.

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La riforma disgrega la magistratura pensata dal costituente antifascista e rende più fragile ciascuno di noi.

Scinde e svuota l’autogoverno, il C.S.M., chiamato proprio a garantirne quell’autonomia e quell’indipendenza e, al contempo, fonda il “quarto potere” dell’accusa costituito da una manciata di potenti pubblici ministeri guidati, se andrà male, da pochi di loro e, se andrà peggio, dai partiti che di volta in volta guideranno l’esecutivo.

Il progetto di riforma – rafforzando e rendendo manovrabile il pubblico ministero, indebolendo e isolando il giudice – divide e sbilancia l’equilibrio delle garanzie, indebolisce il cittadino, fiacca la giustizia.

Ogni discesa, anche la più profonda, inizia sempre con un primo passo verso il basso.

“La situazione è grave, ma non è seria”. Avrebbe detto, del resto, un grande interprete dell’umore italiano.

È stato detto, invece, che i magistrati-cittadini non hanno il diritto di parlare della riforma, di protestare contro la riforma, che non hanno il diritto di scioperare. Ed hanno ragione: hanno il dovere di farlo (“Ho sempre considerato come massima aggravante il fatto che uno non abbia potuto farci niente”, ha scritto una mente caustica). 

Sommario. 1. La disgregazione della magistratura: 1.1 Il primo strappo alla Costituzione; 1.2 Le parole illudono, confondono; 1.3 La disgregazione del potere giudiziario; 1.4 Quattro domande e quattro risposte. 2. Lo svilimento dell’autonomia e dell’indipendenza del magistrato per svuotamento del suo autogoverno: 2.1 La divisione dell’autogoverno; 2.2 L’estrazione a sorte dell’autogoverno (ma non per i componenti di origine parlamentare); 2.3 La perdita del diritto al voto (solo per i magistrati) e la regola “l’uno vale l’altro”; 2.4 Il senso della elezione del C.S.M. prevista dalla Costituzione; 2.5 La perdita del senso 2.6 Un sistema sanzionatorio speciale solo per i magistrati.; 2.7. Il p.m. diventa il giudice disciplinare dei giudici. 3. La pubblica accusa diventa il quarto potere: 3.1 La gerarchia nella pubblica accusa; 3.2 L’accusa come quarto potere; 3.3 Il comando del quarto potere; 3.4 Costruire muri attorno al giudice.

 

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1. La disgregazione della magistratura

È la disgregazione della magistratura.

Chiamiamo con il suo nome il disegno di legge costituzionale – di iniziativa governativa – recante “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” destinato alla riforma delle norme della Costituzione relative alla magistratura.

 

1.1 Il primo strappo alla Costituzione

È la disgregazione della magistratura prevista dalla Costituzione della Repubblica Italiana. Costituzione sorta dai resti dell’Italia distrutta, nel corpo e nello spirito, dalla dittatura fascista e dalla guerra, immaginata e scritta da illustri costituenti, uomini e donne di cultura e libertà, costruttori di un sistema di diritti contro l’oppressione dei poteri di ogni forma, dimensione e colore.

È la disgregazione della magistratura figlia di quell’equilibrio costituzionale e istituzionale maturato in ottanta anni di lotta di liberazione dal fascismo prima e dalla cultura fascista poi, di lotta di liberazione dalle mafie, di lotta di liberazione dai terrorismi di ogni colore, di lotta di liberazione dalla corruzione.

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I tratti di una storia – gravata dal sacrificio di uomini e donne dello Stato – non comparabile con quella di altri paesi, una storia tutta italiana.

Lo smembramento della magistratura ordinaria è una breccia, la prima breccia, nella Costituzione repubblicana.     

No. Non è una separazione di carriere.

  

1.2 Le parole illudono, confondono 

La chiamano, invece, “separazione delle carriere”.

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È questa l’illusione ottico-giuridica utilizzata dai proponenti della riforma per far passare l’idea-slogan per cui la riforma – un giudice, reso in realtà più solo e debole, e un pubblico ministero, reso in realtà più potente e manovrabile – sarebbe funzionale alla parità delle parti nel processo penale.

Ed è solo un espediente letterale quello per cui l’attuale art. 104 della Costituzione – “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” – viene riformato ribadendo sì che la magistratura costituisce un solo ordine ma specificando che “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. L’unico elemento effettivo di comunione tra requirenti e giudicanti sarà infatti il sistema sanzionatorio incentrato sull’Alta corte disciplinare.

Ed è solo un gioco di suggestioni quello secondo cui la riforma sarebbe necessaria perché il giudice, tutti i giudici, sono oggi influenzabili dai pubblici ministeri e tanto perché questi ultimi “dominano” l’autogoverno comune.

Una volta a regime la riforma, ha detto il Ministro, il giudice godrà di maggiore libertà rispetto ad oggi, quando “il pubblico ministero nei consigli giudiziari e anche al Csm dà i voti al giudice davanti al quale va a perorare una causa”, cosa “irrazionale in qualsiasi Paese del mondo”.

Sia chiaro: il C.S.M. è composto da 33 membri e sono solo 5 i pubblici ministeri. Tra i 10 componenti eletti dal Parlamento gli avvocati sono più di 5. E a questo punto coerentemente anche gli avvocati andrebbero esclusi da quel C.S.M. e dai Consigli giudiziari perché, al pari dei p.m., danno “i voti al giudice davanti al quale [vanno] a perorare una causa”.

Sia chiaro: il giudice non ha interesse alcuno, personale, economico o di carriera, a favorire il p.m. Quale sarebbe?

Sia chiaro: le carriere di giudici e p.m. sono già separate nella legge, che prevede un solo passaggio di funzioni nella vita professionale del magistrato, e nei fatti: nell’arco di cinque anni è dello 0,83% la percentuale dei pubblici ministeri passati a fare il giudice; e dello 0,21% la percentuale dei giudici divenuti p.m.

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Sia chiaro: è la riforma che assoggetta il giudice al p.m. Con l’Alta Corte disciplinare progettata dalla riforma i giudici saranno gli unici cittadini ad avere, come giudice, proprio i pubblici ministeri.

E si può aggiungere solo una battuta e una notazione: i colleghi, in generale, difficilmente sono amici tra loro e si contano, tra gli amici dei magistrati, più avvocati che magistrati.

No. Non è una separazione di carriere.

 

1.3 La disgregazione del potere giudiziario

La riforma è lo svilimento dell’autonomia e dell’indipendenza del magistrato – del diritto del cittadino ad avere dinanzi a sé un tale magistrato – per mezzo della scissione e dello svuotamento della forza e del prestigio dell’organo di autogoverno della magistratura, il C.S.M., pensato dai costituenti proprio a garanzia di quella autonomia e di quella indipendenza. Il progetto di riforma frantuma l’unico C.S.M., l’autogoverno pensato dai costituenti, in tre distinti organi; sottrae all’autogoverno stesso, e soltanto ai magistrati, la funzione disciplinare; delegittima, atomizza e indebolisce i magistrati che siedono nell’autogoverno, in favore dei membri di origine parlamentare, sottraendo solo ai magistrati il diritto di voto.

La riforma è la creazione di un nuovo e forte potere autonomo. Si scorpora dalla magistratura la pubblica accusa e si realizza un quarto potere costituito da una manciata di potenti pubblici ministeri guidati, se andrà male, da pochi di loro e, se andrà peggio, dal potere dei partiti che di volta in volta guideranno l’esecutivo.

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Frammentazione e svuotamento dell’autogoverno, creazione del “potere dell’accusa”, sono solo i due lati della stessa medaglia: la disunione del potere giudiziario a fronte dell’unione sempre più salda, per mezzo della maggioranza partitica di turno, tra il potere esecutivo e legislativo.

No. Non è una separazione di carriere.

 

1.4 Quattro domande e quattro risposte

Perché è necessario un unico e solido autogoverno per i giudici e i p.m.?

Perché l’indipendenza del magistrato, il diritto del cittadino ad avere un magistrato non influenzabile dai poteri partitici o economici di qualsiasi colore o forma, è possibile solo se il potere di turno non può minacciare, lusingare o incidere il suo lavoro.

Perché i costituenti hanno fatto tesoro della favola di La Fontaine in cui il vecchio padre insegna ai figli che un fascio di frecce non può essere spezzato a differenza della singola freccia che sola non riesce a opporre resistenza a chi la vuol piegare.

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Perché il p.m. non deve essere assoggettato solo a sé stesso?

Perché sarebbe troppo potente e senza controllo, troppo autoreferenziale. “Il potere dello Stato più forte che si sia mai avuto in alcun ordinamento costituzionale dell’epoca contemporanea” ha scritto un illustre giurista.

I sostenitori della riforma spesso ricorrono al Portogallo come esempio virtuoso di indipendenza della pubblica accusa “separata” dal giudice (e dalla cultura garantista del giudice).

Ebbene il Portogallo è l’unico paese europeo in cui, negli ultimi anni (era il novembre 2023), il primo ministro Costa si è dimesso a seguito di una inchiesta dei pubblici ministeri. Costa era stato coinvolto nell’inchiesta stessa per un clamoroso “errore” di trascrizione in una intercettazione emerso appena qualche giorno dopo le dimissioni. Dimissioni che hanno portato a nuove elezioni con la vittoria di una nuova maggioranza.

Perché il p.m. non deve esser assoggettato all’esecutivo?

Perché il p.m. deve garantire che lo stato di diritto non degradi in stato di polizia.

Perché il p.m. non può essere il braccio armato dei partiti della maggioranza, di qualsiasi maggioranza.

In “Io sono ancora qui”, recente film sulla scomparsa di Rubens Paiva, desaparecido durante la dittatura militare brasiliana, la protagonista, moglie di Pavia, si domanda come sia possibile che, in uno stato di diritto, si commettano migliaia di arresti illegali, si torturi, senza che nessuno indaghi sulle sparizioni.

La risposta è che nessuno poteva indagare e cercare la verità, nessun pubblico ministero e nessuna polizia, perché il potere stava tutto dalla stessa parte.

Quel che accadde con il processo Matteotti è memoria, almeno dovrebbe esserlo. Quel che è accaduto con il volo di Stato per Al Masri è un monito, almeno si spera.

Perché la divisione dell’autogoverno e il sorteggio dei suoi componenti del C.S.M. non eliminerà le correnti in magistratura e le loro degenerazioni?

Perché le correnti sono fisiologicamente dei gruppi di pensiero e per eliminarle bisognerebbe vietare il pensiero o vietare l’associazionismo nonché cancellare oltre 120 anni di storia di associazionismo unitario interrotti solo dal regime fascista. Le correnti continueranno ad esistere finché continuerà ad esistere la libertà di pensiero e di associazione.

Perché i sorteggiati nel C.S.M. non saranno magistrati privi di pensiero o di idee, solo che questi non saranno né note né trasparenti.

Perché i sorteggiati potranno esser pescati anche, ma a caso, tra gli iscritti e simpatizzanti alle correnti (e nel paradosso anche, se il caso lo vorrà, solo tra questi e finanche solo tra i membri di una singola corrente).

Perché per evitare le degenerazioni delle correnti e nuovi “casi Palamara” sarebbe sufficiente tornare a scegliere i direttivi degli uffici giudiziari sulla base dell’anzianità.

Non è una semplice separazione di carriere.

 

2. Lo svilimento dell’autonomia e dell’indipendenza del magistrato per svuotamento del suo autogoverno. 

La Costituzione ha assicurato l’autonomia e l’indipendenza dei giudici e p.m. per mezzo di un unico organo di governo autonomo e indipendente dall’indirizzo politico di maggioranza: il Consiglio Superiore della Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, i cui componenti eletti sono magistrati e non magistrati (c.d. laici). Al C.S.M. spettano tutte le decisioni più significative sulla carriera e sullo status professionale dei magistrati – compreso il disciplinare – e ha il compito di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

 

2.1 La divisione dell’autogoverno

Il disegno di legge costituzionale spezzetta l’autogoverno.

Se ad oggi il C.S.M. è unico e composto da 33 membri – 20 membri appartenenti alla magistratura (di cui 5 pubblici ministeri) e 10 membri eletti dal Parlamento scelti tra professori ordinari in materie giuridiche o avvocati con almeno 15 anni di esercizio della professione – la riforma prevede una scissione con due distinti organi di autogoverno, uno per i giudici e uno per i p.m.

Ed a questi due nuovi C.S.M. si aggiungerà un terzo organo, frutto di una ulteriore scissione: all’autogoverno viene sottratta la funzione disciplinare e viene istituita una Alta Corte destinata a giudicare (in sede disciplinare) esclusivamente i magistrati ordinari.

 

2.2 L’estrazione a sorte dell’autogoverno (ma non per i componenti di origine parlamentare) 

Secondo la riforma i componenti magistrati dell’autogoverno non saranno più eletti dai magistrati stessi, come accade ora, ma saranno estratti a sorte tra circa 7.000 giudici (per il C.S.M. giudicante) e circa 2.000 pubblici ministeri (per il C.S.M. requirente).

I componenti di origine parlamentare, i c.d. laici, saranno anch’essi sorteggiati dal Parlamento ma non tra le migliaia di soggetti legittimati secondo la Costituzione – ossia tra tutti i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra tutti gli avvocati con almeno quindici anni di esercizio – ma da una lista ad hoc, una short list dalla estensione oscura, stilata per l’occasione dalla maggioranza dei partiti di turno.

  

2.3 La perdita del diritto al voto (solo per i magistrati) e la regola “l’uno vale l’altro” 

I magistrati ordinari risulteranno così la prima e unica categoria a perdere il diritto di voto.

Sarà vietata la possibilità di scelta tra i soggetti e i gruppi di pensiero ritenuti idonei a comporre l’autogoverno pensato dai costituenti.

L’autogoverno delle altre magistrature (di quella amministrativa, contabile, tributaria, militare) preserva il voto e l’elezione.

L’autogoverno dell’avvocatura preserva il voto e l’elezione: i consigli degli ordini degli avvocati continuano ad essere eletti e così il Consiglio Nazionale Forense.

L’autogoverno dell’università anche e così come ogni altra aggregazione di persone, fino al condominio.

La regola dell’uno vale l’altro varrà solo per i magistrati e solo per i magistrati dell’autogoverno.

Per ora.

 

2.4 Il senso della elezione del C.S.M. prevista dalla Costituzione 

La Costituzione ha indicato, come metodo di selezione dei componenti magistrati del C.S.M., l’elezione da parte dei magistrati stessi. Una elezione considerata di particolare rilievo come suggerisce il paragone con l’elezione dei membri laici: per questi il Parlamento si riunisce in seduta comune come accade per l’elezione dei giudici costituzionali o la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica.

Il C.S.M., come mostrano la sua composizione e le sue attribuzioni, non è un ufficio tecnico-amministrativo ma il governo dell’autonomia e della indipendenza della magistratura e come tale è chiamato a scelte valoriali che esprimono un modo specifico di preservare l’autonomia e l’indipendenza di giudici e p.m.

Il ragionamento costituzionale è tanto semplice che, come spesso accade con le cose piccole, sembra scivolato dalle tasche.

Se il C.S.M. è un organo autorevole presieduto dal Presidente della Repubblica – chiamato a prendere decisioni generali e puntuali sulla autonomia e indipendenza dei magistrati – allora è necessario che i suoi membri vengano scelti tra personalità, o gruppi di personalità, fornite di un proprio e individuabile bagaglio culturale, che si auspicano di esperienza, autorevoli e capaci di relazionarsi e mediare per operare in un organo collegiale che decide a maggioranza sulle questioni riguardanti l’autonomia e l’indipendenza dei giudici.

Essere dei giudici e dei p.m., avvocati o professori, dei tecnici del diritto penale o civile, non significa esser dei buoni amministratori o dei buoni governanti: esser il migliore dei chirurghi non significa esser un bravo direttore sanitario o un bravo ministro della salute così come esser un bravo magistrato non significa esser un buon componente del C.S.M. o un buon ministro della giustizia.

Se il C.S.M. è un organo di autogoverno democratico della magistratura allora deve avere una legittimazione democratica che proviene dai suoi governati magistrati.

 

2.5 La perdita del senso

La volontà della riforma è quella di eliminare i corpi intermedi, gli ambiti associativi di discussione e riflessione, di dividere i magistrati tra loro e i magistrati governati dai magistrati governanti, per destrutturare il governo autonomo e indipendente partendo proprio dal pensiero.

Il primo, inevitabile, esito della riforma è così l’indebolimento della componente della magistratura di fronte alla sempre solida componente partitico-parlamentare. Ed una componente togata, atomizzata o incapace, finisce inevitabilmente per squilibrare il peso istituzionale del C.S.M. in favore della componente di origine parlamentare, politicamente più abile, attrezzata e sempre e comunque connotata da vicinanza partitica.

Il secondo, inevitabile, esito del progetto è la strutturazione di maggioranze decisionali fondate non sulla convergenza delle idee dei gruppi ma sulla convergenza degli interessi dei singoli componenti. Convergenza che, se andrà male, sarà episodica e che, se andrà peggio, sarà strutturata in modo oscuro e non trasparente in modo postumo al sorteggio.

L’autogoverno è ridotto a pratica tecnico-amministrativa e sottoposto ad una oscura maggioranza, non quindi vero autogoverno.

Se l’autogoverno assume decisioni automatiche, in modo oscuro, per cui è sufficiente un tecnico delle norme, allora tanto vale farlo guidare da innominati funzionari del Ministero oppure, perché no, da un sistema di intelligenza artificiale.

A questo punto tanto vale farlo guidare da uno solo.

Oppure da nessuno.

A questo punto tanto vale eliminarlo.

 

2.6 Un sistema sanzionatorio speciale solo per i magistrati

La riforma sottrae all’autogoverno quella giurisdizione disciplinare che i costituenti avevano indicato come uno dei suoi pilastri: “un regime – che si vuol costruire – di assoluta indipendenza del potere giudiziario non è compatibile con la sorveglianza di un organo del potere esecutivo (…) tutta la materia disciplinare deve restare nell’ambito del potere giudiziario, conservando al Ministro la facoltà di richiedere la promozione dell’azione disciplinare” (così un illustre padre costituente).

L’esito del progresso costituzionale è stato così la creazione di una Sezione disciplinare, interna al C.S.M., composta da 4 magistrati (di cui uno solo è p.m.) e 2 laici. L’azione disciplinare è attribuita al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e al Ministro della Giustizia.

Le decisioni disciplinari emesse dall’autogoverno possono essere impugnate dinanzi alle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte (composta da soli giudici) e tanto per la sola ragione che è l’organo supremo di tutta la giurisdizione italiana.

Sia chiaro un punto: in qualsiasi amministrazione pubblica, così come in ogni altro ente, compresi i consigli dell’ordine degli avvocati, le sanzioni disciplinari sono erogate da soggetti od organi interni all’amministrazione stessa.

Lo smembramento della magistratura previsto dal disegno di legge è completato dalla creazione di un sanzionatore speciale disciplinare dedicato solo ai p.m. e ai giudici: l’Alta Corte composta da 15 giudici (di cui 6 giudici, 3 p.m. e 6 laici).

Anche per l’Alta Corte varrà l’applicazione della estrazione a sorte. E di nuovo, a guardar bene, solo per i magistrati essendo la parte parlamentare estratta sempre da una preconfezionata short list.

I magistrati saranno gli unici a subire sanzioni disciplinari, e la minaccia di sanzioni disciplinari, da un organo esterno.

E se un magistrato sanzionato volesse impugnare la decisione disciplinare emessa dall’Alta Corte? Dovrebbe impugnarla dinanzi alla stessa Alta Corte.

E chi sarà il titolare dell’azione disciplinare? I proponenti governativi, per l’Alta Corte, non hanno avuto cura di indicarlo e, a rigor di logica, spetterà all’esecutivo.

 

2.7. Il p.m. diventa il giudice disciplinare dei giudici 

I giudici saranno gli unici cittadini ad avere, come giudici, i pubblici ministeri e ad esser giudicati da una maggioranza composta da p.m. e laici (9 componenti su 15).

E la riforma, di nuovo, inganna perché cambia totalmente le proporzione nell’organo disciplinare diminuendo le garanzie dei giudici: tra la componente togata e quella laica in favore di quest’ultima (sono 2 i laici su 6 componenti oggi della sezione disciplinare; saranno 6 laici su 15 nell’Alta Corte di domani); tra la componente dei p.m. rispetto a quella dei giudici, in favore della prima (c’è 1 p.m. su 6 componenti oggi nella sezione disciplinare; saranno 3 p.m. su 15 domani nell’Alta corte); con totale eliminazione dei giudici nell’impugnazione delle sanzioni che vengono sottratte alle Sezioni unite.

E le parole, di nuovo, illudono. L’Alta Corte, nonostante sia definita tale, non è destinata ad occuparsi di tutte le magistrature (di quella amministrativa, militare, contabile) ma solo dei giudici ordinari e dei p.m.

 

 

3. La pubblica accusa diventa il quarto potere

La disgregazione della magistratura prevista dal disegno di legge costituzionale prevede, dopo lo svilimento dell’autogoverno, lo scorporo dei pubblici ministeri dai giudici con la creazione di un quarto potere esclusivamente dedito all’accusa e, specularmente all’avvocato della difesa, alla vittoria dell’accusa.

 

3.1 La gerarchia nella pubblica accusa

Lo scorporo dei pubblici ministeri dalla magistratura deve esser letto necessariamente alla luce dell’assetto

organizzativo gerarchico che, ormai dal 2006, caratterizza l’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero.

Il giudice è autonomo dal Presidente del Tribunale e questi non ha possibilità alcuna di incidere sulle sentenze che scrive. Ma i pubblici ministeri non hanno piena autonomia. Il Procuratore della Repubblica è infatti il titolare dell’ufficio della pubblica accusa e vanta un potere sovraordinato rispetto al sostituto procuratore (ossia al singolo pubblico ministero). La potestà direttiva del Procuratore si esprime però per linee di azione generali secondo le direttive delineate dall’autogoverno rappresentato dal C.S.M. (del cui svilimento si è poco sopra scritto).

 

3.2 L’accusa come quarto potere 

I pubblici ministeri, questi pubblici ministeri, escono dalla magistratura ordinaria per andare a costituire un corpo separato da quello dei giudici: la struttura gerarchizzata della pubblica accusa si separa e va a formare un potere a sé stante.

Un sistema verticistico composto da 1 Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, da 25 Procuratori Generali presso le Corti di Appello, da 118 Procuratori della Repubblica e da circa 2.000 sostituti pubblici ministeri.

Un sistema che ha a disposizione la polizia giudiziaria e potenti strumenti di indagine.

Un sistema autogovernato da un Consiglio superiore requirente ad hoc, presieduto dal Presidente della Repubblica, e composto per 2/3 da pubblici ministeri oltre che dal Procuratore Generale presso la Corte di cassazione (e per 1/3 da componenti, avvocati e professori, estratti da un elenco stilato appositamente dal Parlamento).

Spetteranno a tale Consiglio, secondo le regole stabilite dalle leggi ordinarie (che dovranno essere formulate ex novo) tutte le più importanti decisioni sulla carriera e sullo status dei pubblici ministeri.

Saranno solo i pubblici ministeri a nominare il ristretto numero dei vertici delle Procure – i vertici del sistema dell’accusa – e a decidere le forme di esercizio del potere degli stessi vertici.

  

3.3 Il comando del quarto potere

Se la riforma perseguirà il suo dichiarato obbiettivo, la piena indipendenza della pubblica accusa dagli altri poteri, quel pubblico ministero che “è un super-poliziotto” e che “ha un potere immenso senza controllo” (così il Ministro della Giustizia) sarà sempre più super e avrà sempre meno controllo.

Troppo palese la contraddizione, e troppo rischioso l’esito, per non comprendere che l’obiettivo razionale della riforma è inevitabilmente un altro: un super-potere sì ma destinato ad esser guidato dal potere dei partiti chiamati a turno a guidare l’esecutivo.

 

3.4 Costruire muri attorno al giudice 

A questo primo smembramento – fuori i pubblici ministeri – ne seguiranno altri come la storia, lo studio della storia, ci insegna, con particolare riguardo alla Cassazione e alla divisione tra una magistratura “alta” e una “bassa”.

Se scorporare i pubblici ministeri dalla magistratura serve a garantire “un giudice terzo”, così dicono i proponenti, il prossimo muro verrà eretto tra il primo e il secondo grado di giudizio e tra questi e la Cassazione. Tra i giudici civili e quelli penali. Tra GIP, GUP e giudici del dibattimento.

Se i giudici sono tutti colleghi, e se i giudici devono esser valutati in base a quante sentenze vengono riformate, come fanno a far parte dello stesso ordine?

E poi verrà il turno di erigere il muro tra avvocati (che ad oggi valutano i giudici nei Consigli giudiziari) e giudici, tra avvocati e p.m.: niente porte aperte negli uffici, niente più caffè e convegni, si parlerà solo nel processo.

Si vieterà per legge l’amicizia tra giudici e avvocati.

E così finalmente il giudice, solo, resterà intrappolato tra queste mura erette per assicurarne il candore decisionale.

“Non chiedetevi dove andremo a finire, perché ci siamo già”. Avrebbe detto sempre quel grande interprete dell’umore italiano.



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