«Italia e Germania sono il motore dell’Europa: l’industria va rilanciata»

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Inviato a Roma

Monica Poggio è presidente di AHK, la Camera di Commercio Italo Tedesca, amministratrice delegata di Bayer SpA e Senior Bayer Representative Italy il suo è dunque un osservatorio straordinariamente qualificato e informato per parlare della Germania di domani e delle relazioni italo-tedesche che con il nuovo Bundestag si apriranno.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Dottoressa Poggio con le elezioni del Bundestag si apre un nuovo capitolo in Germania e anche in Europa. La stabilità tedesca è una delle principali condizioni per un’Europa più solida ed equilibrata.

«La Germania che è andata al voto è un Paese da tre anni in recessione e che ha affrontato una crisi industriale rilevante, con significativi effetti per il mercato europeo e per l’Italia, che ha in Berlino il suo principale partner economico. Il parlamento e il governo che usciranno dalle discussioni tra i partiti avranno soprattutto il compito di rilanciare l’economia tedesca, la sua competitività, con strategie a lungo termine. Anche perché la crisi industriale è connessa ad altre: quella occupazionale, quella sociale, quella demografica».

Le previsioni economiche descrivono una Germania con un profilo di stagnazione o di modestissima crescita nel 2025, come ritiene che il nuovo governo tedesco potrà intervenire?

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Saldo e stralcio

 

«Si deve agire su tre livelli: riduzione dei costi dell’energia, mobilitazione degli investimenti, stimolo all’innovazione nei settori cruciali per i prossimi anni, come l’IA. In alcuni settori iniziamo a vedere segnali di ripresa, ma è chiaro che per un reale cambio di passo servono interventi strutturali che producano benefici sul sistema complessivo. In Italia come in Germania serve un snellimento della burocrazia e un quadro normativo chiaro. Ma non basta: oggi l’UE sta perdendo competitività in quei settori che più saranno determinanti nei prossimi decenni e su cui si basano equilibri economici e politici. Per questo, serve un dialogo serrato tra le istituzioni e le imprese per mettere a terra strategie realistiche e a lungo termine».

Negli ultimi anni l’economia tedesca ha patito la questione del gas russo, una transizione green troppo accelerata e i cambiamenti delle strategie cinesi sul mercato dell’auto. In un quadro globale che si prepara a subire la politica dei dazi Usa, quale potrebbe essere la strategia per ridare vigore all’economia tedesca?

«Servono strategie europee, perché come ci ha ricordato Draghi, è fondamentale in questa fase mobilitare investimenti per intervenire su aree critiche, e come ci ha ricordato Letta, serve integrare ancora di più il mercato UE per poter competere davvero con gli altri attori globali. Prendiamo i dazi, per l’appunto: gli USA sono il principale partner commerciale dell’UE, e l’interscambio coinvolge soprattutto la Germania, che a inizio 2024 ha visto gli scambi con gli Stati Uniti superare quelli con la Cina, e l’Italia, che nel 2023 ha scambiato 92 mld con gli Usa, di cui due terzi rappresentati dalle nostre esportazioni. I dazi non colpiscono solo in maniera diretta, ma anche indirettamente le catene di fornitura UE che generano quell’export. La situazione, quindi, ha una rilevanza europea e come tale va affrontata».

Germania e Italia hanno strettissime relazioni economiche: per l’Italia la Germania è il primo partner sia per l’export, sia per l’import; per la Germania l’Italia è il sesto partner dell’export e il quinto per l’import. Filiere come quella dell’automotive sono intimamente connesse. Una tale relazione non dovrebbe portare a un coordinamento delle politiche industriali più stretto?

«Assolutamente si. Serve che Italia e Germania si coordinino in maniera più stretta sulle loro politiche industriali. Siamo i motori manifatturieri d’Europa, e possiamo svolgere un ruolo nel rilancio della sua produttività e competitività. Bisogna dare concretezza al piano d’azione bilaterale firmato nel 2023, e nel brevissimo termine serve intervenire sui costi dell’energia e sull’attrazione degli investimenti. Soprattutto, dobbiamo capire il nostro potenziale: se Italia e Germania si coordinano, possono fungere da traino a livello europeo».

Germania e Italia condividono il problema della denatalità e dell’invecchiamento con riflessi che saranno sempre più decisivi sul mondo del lavoro. La campagna elettorale tedesca in larga parte è stata centrata sull’immigrazione (così come il tema è centrale nel dibattito – e nello scontro – politico italiano), ma senza immigrati non ci sarà la necessaria forza lavoro. Eppure su questo tema si gioca molto del futuro dell’economia e della prosperità dei due paesi.

«L’immigrazione è un tema sensibile, che tocca aspetti molteplici con implicazioni diversissime. Al di là delle singole posizioni, più o meno ideologiche, c’è però un dato di fatto: un sistema economico che vuole crescere deve attrarre talenti, competenze e forza lavoro. La Germania ha costruito il suo primato industriale anche attraverso la sua capacità attrattiva di manodopera e professionisti stranieri. Oltretutto, serve attrarre competenze fondamentali per i settori del futuro, oltre che svilupparle in Europa. Ogni discussione sul tema deve tener conto di questa dimensione».

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Saldo e stralcio

 

Nel 2023 Campania, Puglia e Sicilia a fronte di una lieve flessione dell’export italiano hanno, invece, avuto una crescita. Oltre all’alimentare ci sono settori come il farmaceutico, l’elettronica che hanno avuto buoni sviluppi. Crede che sia spazio ancora per crescere?

«Alla fine del 2024 abbiamo visto che alcuni settori, come la chimica, mostrano lievi segnali di ripresa, che fanno ben sperare. L’agroalimentare ha continuato a crescere per tutto l’anno, e a novembre era a oltre 17 mld di interscambio, +10% rispetto al 2023. Questo in particolare favorisce le regioni che rappresentano eccellenze in questo settore, aprendo nuove opportunità di business con la Germania. Ci sono poi casi più particolari: il farmaceutico in Campania è cresciuto nel 2023, ma si è contratto nel corso del 2024. Al di là della ripresa che potremmo vedere nel 2025, è un caso esemplificativo di come una politica industriale più strutturata potrebbe avere effetti molto positivi sui territori, supportando e alimentando la crescita».





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