cronache da Bratislava • Meridiano 13

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“Ne abbiamo abbastanza di Fico!” recita una scritta proiettata a caratteri cubitali sulla facciata della sede del ministero dei Trasporti, in Piazza della Libertà di Bratislava durante una protesta, la sera del 21 febbraio. Le stesse parole vengono scandite dalle circa 12mila persone di tutte le età presenti in questa bella giornata invernale insieme al coro: “La Slovacchia è Europa”.

“Ne abbiamo abbastanza di Fico!” (Meridiano 13/Aleksej Tilman)

“Abbiamo bisogno di un cambiamento nel nostro paese” dicono a Meridiano 13 Ivana e Katarina, due manifestanti sulla trentina. “Non ho fiducia nel nostro primo ministro. Temo che possa decidere di farci uscire dall’Unione Europea e dalla Nato consegnandoci alla Russia” gli fa eco Ondrej.

È ormai la quarta manifestazione antigovernativa dell’anno a Bratislava e in varie città della Slovacchia. Le azioni di protesta, scatenate dalla visita a Mosca del premier, Robert Fico, lo scorso 23 dicembre, si svolgono una volta ogni due settimane. I cittadini che scendono in piazza sono in disaccordo con la svolta filo-russa del governo ed esprimono la volontà che il paese rimanga nell’Unione Europea.

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“Il nostro ministro ha detto che potremmo uscire dalla Ue e ciò non ci piace”, dice Matuš, un giovane studente di informatica che manifesta con una bandiera della Nato. “La Nato è per me sinonimo di sicurezza, senza Nato penso che saremmo un paese molto debole”, aggiunge.

Sulla Piazza della Libertà non si vedono vessilli di forze politiche, ma solo bandiere della Ue, della Nato, della Slovacchia e dell’Ucraina. I promotori delle proteste, le organizzazioni della società civile Pace in Ucraina (Mier Ukrajine) e Per una Slovacchia Dignitosa (Za slušné Slovensko) per il momento non hanno, infatti, ricevuto nessun cappello politico specifico, concentrando il messaggio sulla necessità di esprimere il supporto per l’Unione Europea (come vedremo, qualcosa di non scontato in Slovacchia) e sostenere l’Ucraina.

(Meridiano 13/Aleksej Tilman)

La manifestazione del 21 febbraio cade, poi, in un anniversario significativo per la Slovacchia. In questa data nel 2018 il giornalista investigativo Ján Kuciak e la fidanzata Martina Kušnírová (entrambi ventisettenni) vennero assassinati nella loro casa a Veľká Mača, poco lontano da Bratislava. L’omicidio causò stupore e incredulità nel paese, innescando le più grandi proteste dalla caduta del regime comunista e portando a una crisi politica che sarebbe culminata il 15 marzo seguente con le dimissioni del primo ministro Fico (il cui ritorno al centro della scena politica con la vittoria alle elezioni parlamentari del 2023 in pochi avrebbero pronosticato nel 2018). 

Era chiaro che i due erano stati assassinati per le indagini sulla corruzione politica in Slovacchia di Kuciak. In questi anni però non si è fatta piena luce sul delitto. Il processo contro quello che si pensa che sia il mandante dell’omicidio, Márian Kočner, un imprenditore con torbidi rapporti con la malavita (inclusa la ’ndrangheta, sui cui investimenti in Slovacchia Kuciak stava indagando al momento della morte) e il partito di Fico, Smer- SD, è ancora in corso.

Non a caso, i manifestanti di Bratislava gridano “Vergogna, vergogna”, mentre i genitori di Kuciak e la madre di Kušnírova aprono la manifestazione chiedendo giustizia.

Ci sono quindi tante cause interne ed esterne al paese che spingono i cittadini a scendere in piazza.

Il contesto delle proteste in Slovacchia

L’ondata di proteste arriva in un momento già delicato per la coalizione al governo della Slovacchia. Dissidi interni e defezioni all’interno di due partiti alleati di Smer  SD, i moderati di Voce (Hlas – SD) e i nazionalisti di SNS hanno fatto sì che sui 79 parlamentari su 150 che sostenevano l’esecutivo come risultato delle elezioni del 2023 ne sono rimasti un massimo di 75, rendendo molto difficile governare.

“Siamo in una situazione paradossale per cui adesso Fico ha invitato i partiti alleati a sistemare la situazione internamente oppure sarà lui stesso a chiedere elezioni anticipate trovando la sponda dell’opposizione”, spiega a Meridiano 13 Fabio Turco, giornalista esperto di Europa centrale, co-fondatore del progetto Centrum Report.

Il premier è un politico estremamente navigato (era già stato primo ministro tra il 2006 e il 2010 e tra il 2010 e il 2018) e pare che sappia muoversi in queste acque agitate.

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Il 21 gennaio ha indotto l’opposizione a ritirare una mozione di sfiducia nei suoi confronti, presentandosi in parlamento con un documento su un tentativo di colpo di stato organizzato da non meglio precisate forze straniere. “La seduta del parlamento in cui si sarebbe dovuto votare per la sfiducia si è tenuta a porte chiuse per discutere questo documento segretissimo che però lui aveva già da tempo; per protesta, le opposizioni hanno ritirato la mozione”, prosegue Turco. Fico sostiene che le manifestazioni e l’attentato che ha subito lo scorso maggio facciano parte di un disegno per mirare l’ordine stabilito in Slovacchia.

Il suo ritorno al potere dopo il 2018 è un esempio lampante della sua abilità politica. Come racconta a Meridiano 13 Jakub Ferenčík, giornalista presso la Radio Ceca: “Dopo l’uccisione  di Kuciak e Kušnírová in Slovacchia c’era una promessa di cambiamento”. Il delitto era infatti diventato l’emblema della corruzione ai massimi livelli della politica presente nel paese fin dall’indipendenza (1993).

Una fotografia di Ján Kuciak e Martina Kušnírová sul palco della manifestazione (Meridiano 13/Aleksej Tilman)

Secondo Ferenčík, questa volontà di voltare pagina era rappresentata in particolare dall’elezione di Zuzana Čaputová alla carica di presidente nel 2019 (in Slovacchia il presidente si vota con elezione diretta ed è formalmente a capo dell’esecutivo pur con poteri molto limitati). “I liberali e progressisti la vedevano come una figura espressione di alti valori civili in una sorta di linea di successione in cui seguiva figure della politica cecoslovacca quali Tomáš Masaryk, Edvard Beneš e Václav Havel”.

Tuttavia le aspettative di sette anni fa sono state disattese per diversi motivi. Sia Turco che Ferenčík menzionano gli errori di OĽaNO, il partito populista uscito vincitore dalle elezioni del 2020 e del suo leader Igor Matovič. “Quando l’opposizione slovacca era al governo dal 2020 al 2023, qualunque cosa abbia fatto l’ha fatta male. Sono stati anni caratterizzati da dissidi interni e richieste di dimissioni”, dice Turco.

OĽaNO si trovò a gestire due grandi crisi: il Covid (le elezioni che portarono il partito al governo avvennero alla vigilia della pandemia) e l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina.

Prima che si sviluppassero i vaccini, il governo approvò restrizioni al movimento molto severe con misure estremamente impopolari. Le cose non migliorarono con l’arrivo dei vaccini. Matovič acquistò due milioni di dosi del russo Sputnik V, non approvato dall’Agenzia Europea dei Medicinali e questo causò la rabbia degli alleati di governo. Pretesero e ottennero le dimissioni del primo ministro, ma lui assunse la carica di ministro delle Finanze, mentre a sostituirlo fu proprio… il ministro delle Finanze, Eduard Heger. L’instabilità si protrasse fino al 2023, quando Heger fece uno strappo dal partito di Matovič.

Tutto ciò creò grandissima disaffezione e disillusione alla politica negli slovacchi. Le promesse di trasparenza e lotta alla corruzione che avevano permesso a OĽaNO di vincere le elezioni non si realizzarono e il partito divenne emblema di incompetenza.

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Fico iniziò a capitalizzare su questo malcontento, cavalcando le proteste contro le restrizioni, difendendo posizioni no-vax; poi è appunto arrivata la guerra in Ucraina.

La Slovacchia, paese di poco più di cinque milioni e mezzo di abitanti (membro della Ue e della Nato dal 2004) ha un elettorato particolare e frammentato. Un sondaggio Eurobarometro del 2023 mostra che solo il 37% degli slovacchi si fida dell’UE, rispetto al 53% che non si fida.

Anche sull’invasione russa dell’Ucraina i pareri sono discordanti. Un sondaggio commissionato dal think tank GLOBSEC e realizzato nel marzo 2023 ha rilevato che la maggioranza degli slovacchi (51%) ritiene l’Ucraina e l’Occidente responsabili del conflitto. Solo il 54% vede la Russia come una minaccia per la sicurezza. Allo stesso tempo, la quota di coloro che attribuiscono la responsabilità della guerra alla Russia è scesa dal 51% nella primavera del 2022 al 40%. Il sostegno alla Nato è calato dal 72% al 58%.

Questa posizione ambivalente sulla guerra in Ucraina è evidente anche a livello visivo. A Bratislava ci sono tantissimi rifugiati ucraini (alla fine del 2023 erano quasi 35mila, pari al 7% della popolazione della città). Tuttavia, è molto raro vedere le bandiere ucraine onnipresenti in paesi vicini come la Cechia e la Polonia, sia sulle facciate degli edifici pubblici che in negozi e ristoranti.

Gli slovacchi, soprattutto quelli delle vecchie generazioni, rispetto agli altri paesi che facevano parte del Patto di Varsavia, vedono infatti più positivamente la Russia e l’Unione Sovietica. Diversi sono i fattori che spiegano questa discrepanza. Turco menziona l’arrivo dell’Armata Rossa nel 1945 come un momento che in molti considerano come una liberazione dal regime fascista al potere in Slovacchia dal 1939.

Ferenčík spiega queste posizioni diverse tra Cechia e Slovacchia anche con la memoria della Primavera di Praga e la sua soppressione da parte delle truppe del Patto di Varsavia guidate dall’Unione Sovietica nel 1968. “Come dimostra il successo del film Vlny (Onde) del 2024 in Cechia, la primavera di Praga è ancora molto ricordata, ma appunto come un fenomeno prettamente ceco. Gli slovacchi sono meno legati a questa memoria e, generalizzando, vedono l’invasione come indirizzata alla parte ceca della Cecoslovacchia”. Proprio la repressione dei movimenti del 1968 è per i cechi l’emblema dei crimini sovietici nel paese e l’intervento delle forze del Patto di Varsavia è associato all’invasione russa dell’Ucraina.

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Qui la recensione di Martina Mecco del film Vlny. 

Fico ha saputo capitalizzare su queste divisioni. “Si è proposto come uomo della patria in modo simile a Viktor Orbán” spiega Turco. “Ha iniziato a utilizzare una retorica anti-occidentale e un linguaggio molto violento attaccando i suoi avversari politici e soprattutto la presidente Čaputová, identificandola come marionetta della Cia e di Soros”. La forza di questi attacchi ha fatto sì che Čaputova non si sia ricandidata al termine del suo mandato da presidente nel 2024 (le elezioni sono state vinte da Peter Pellegrini, alleato di Fico).

Mentre i suoi predecessori al governo si erano allineati alle posizioni occidentali sulla guerra in Ucraina, approvando le sanzioni e gli aiuti militari a Kyiv (la Slovacchia era stata il primo paese a inviare i suoi aerei MiG all’esercito ucraino), Fico prometteva in campagna elettorale che non avrebbe mandato più “un singolo proiettile all’Ucraina”.

In questo contesto si spiega la vittoria elettorale di Smer – SD nel 2023. Il partito ha stretto i rapporti con la sua base più conservatrice, mentre molti sostenitori dell’opposizione non sono semplicemente andati a votare. Ciò nonostante, l’affermazione elettorale del partito di Fico (prima forza politica con circa il 23% dei voti) non è stata schiacciante e le forze progressiste hanno comunque dimostrato di avere una certa vitalità (Slovacchia Progressista, il secondo partito si è attestato a circa il 18% delle preferenze).

Una volta al governo, Fico ha avuto una politica più sfumata sull’Ucraina. Come ha scritto Ferenčík in un intervento su New Eastern Europe, il nuovo esecutivo ha continuato il dialogo con ufficiali di Kyiv e a mandare aiuti militari all’Ucraina. Anche sulle sanzioni contro la Russia, pur facendo opposizione per accontentare il suo elettorato si è poi sempre allineato alle posizioni europee.

Proprio per questo la visita a Mosca di dicembre è stata in un certo senso una sorpresa. Pareva infatti che il premier volesse mantenere questo bilanciamento tra una retorica anti-occidentale e una politica più pragmatica volta a mantenere i finanziamenti europei, vitali per l’economia slovacca. Fico ha giustificato la visita nella capitale russa e l’incontro con Vladimir Putin con la necessità di trovare un accordo, poi arrivato, sulle forniture di gas russo alla Slovacchia. Ma il viaggio è stato uno strappo molto forte dalle posizioni di Bruxelles e spiega l’inizio delle proteste.

Proteste a Bratislava la sera del 21 febbraio 2025.
(Meridiano 13/Aleksej Tilman)

I possibili scenari

Come da tradizione anche per le manifestazioni europeiste a Tbilisi, quella del 21 febbraio a Bratislava si chiude con l’inno alla gioia e quello nazionale, l’appuntamento è tra due settimane. “Non possiamo arrenderci”, dice Jakub un programmatore ventiseienne.

Con tutti questi fattori è davvero difficile fare previsioni su quanto possa avvenire in Slovacchia. Se la debolezza della coalizione di governo e le proteste fanno pensare a possibili elezioni anticipate o a un rimpasto di governo c’è anche da dire che, nell’attuale contesto internazionale, un politico con le credenziali Fico non si sente isolato.

La vittoria di Donald Trump e la legittimazione che sta dando a Putin è una sponda non indifferente per il primo ministro slovacco. Tuttavia, la situazione interna ha un peso. Pur con le somiglianze a Orbán e i tentativi di riforme autoritarie, il premier slovacco non ha il potere del suo corrispettivo ungherese. Scopriremo nelle prossime settimane quali saranno gli eventuali sviluppi.

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