La crisi dell’auto europea dopo la droga tedesca finirà con Spinelli?

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Era il tema “cult” della diplomazia, dei politologi, dei filosofi e degli opionisti: quell’Appello Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto del 1941 fu il titolone di benvenuto della nascente Europa di Maastricht

Un’Europa libera ed unita, in politica e nel percorso sociale che si apriva verso Est. Un’Europa unita anche nell’Auto, ma dalla parte sbagliata.

Nata sotto l’influenza della Big Germania unita e condotta dal Marco forte perlomeno fino a tutti gli anni Novanta, anche l’Auto europea aveva esposto simbolicamente il suo Manifesto, ma più che libera ed unita era un’Europa monotematica e unitaria: l’Industria tedesca aveva ricevuto il “telepass” dal casello di Bruxelles mentre gli altri paesi erano rimasti in fila al pedaggio a mano e, nello stare in coda nello svincolo a serpentone dello SME l’Italia e la Gran Bretagna avevano avuto le proprie valute in ebollizione. 

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Dicono sia stata colpa di un casellante ungherese, di nome George Soros, se Lira e Sterlina sono finite all’angolo, ma forse un giorno la storia dirà altro.

AUTO EUROPEA IN CRISI

L’Europa dell’Auto che si presenta ad inizio anni Novanta ha un nemico dichiarato, il Giappone. E’ il Sol Levante ad aver disseminato nella ex-CEE Filiali e Insediamenti produttivi per bypassare Dazi e contingentamenti doganali, ed ovviamente l’Europa dei Dodici Stati autonomi nella Comunità Economica sente di poter contrapporre al modello giapponese un contrapposto modello “Continentale” ma una serie di “microcosmi” battaglieri (i Costruttori) ma a livello nazionale Gran Bretagna, Spagna ed Italia dopo il primo accordo epocale tra Austin ed Honda del 1979 stanno moltiplicando accordi di licenza e JV per le produzioni di auto giapponesi su suolo europeo. 

Non bastava solo una piattaforma legislativa, commerciale e logistica “comune” all’interno della nuova Unione per fare muro contro il pericolo giallo: serviva, come negli Stati Uniti, un vero e proprio modello rappresentativo in grado di inquadrare in poche prerogative il profilo individuale della perfetta auto “Made in UE”. E visto che il modello europeo era, in ordine di tempo, l’ultimo arrivato tra quelli americano e giapponese, Bruxelles ha voluto esagerare: l’auto europea “DOC” sarebbe dovuta essere tecnologica e di qualità totale come in Giappone : e quindi tedesca, come era da sempre. 

Poi sarebbe dovuta essere rispettosa dell’ambiente ed opulenta come negli Stati Uniti: e quindi tedesca, perché la Germania aveva fatto passi da gigante sotto questo aspetto.

Ma allo stesso tempo l’Europa aveva messo l’occhio sull’unica prerogativa motoristica sulla quale aveva un legittimo vantaggio anche rappresentativo e dunque validissimo per presentarsi nel nuovo mondo ad Est: ex Urss e Cina: il motore Diesel, coltivato e perfezionato in venti anni di mercato continentale e su cui neppure il Sol Levante della Isuzu o l’America delle Big Three erano stati capaci di fare tanta strada.

Lo abbiamo già detto: il motore Diesel è stato il Manifesto “Core” dell’auto europea, che tuttavia è stata condizionata ad indossare contemporaneamente anche l’abito ingessato del mercato Premium, della qualità totale e del Marco forte di Berlino. Scelta mercenaria, stupida e di breve respiro, visto che:

– la competizione contro il Giappone è stata fondamentalmente persa, lungo trent’anni di auto europea post Maastricht: tra primati nell’Import, penetrazione in Europa, siti costruttivi, crescita di mercato e soprattutto pregiudizio contro il Diesel euro-tedesco dopo il Dieselgate, il conto finale è in passivo; Giappone ha di gran lunga superato in qualità, tradizione e innovazione la UE germanizzata. 

– il motore identificativo e simbolico dell’Unione motoristica europea, il Diesel, è stato martirizzato da utili idioti governativi a Bruxelles, Parigi, Berlino, Amsterdam e saltuariamente anche a Roma quando, a ridosso dello scandalo Dieselgate, invece che attuare una politica comunicativa di supporto e di “recovery” gli stessi utili idioti hanno tappezzato la cronaca mediatica di scadenze, ultimatum, ghigliottine contro l’unico simbolo motoristico continentale in grado di affrontare la concorrenza sui mercati esteri: va bene tagliare temporaneamente con la produzione del motore a gasolio presso i Brand europei per evitare ulteriori bagni di sangue con concorrenza al limite del dumping commerciale, ma la scelta politica di affossare un moribondo (il Diesel) ferito dall’EPA statunitense è stato un gesto da idioti. Andate tranquillamente a vedere che vita fanno oggi i dilettanti allo sbaraglio posti sullo scranno di governo italiano, francese, tedesco, inglese tra il 2013 e i pochi anni post Dieselgate e come hanno lasciato i rispettivi Paesi…..;

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– dopo la condanna a morte del Diesel e dell’endotermico con le date ultimatum dei Governi nazionali (ad eccezione della sola Norvegia che tuttavia ha il parco auto circolante numericamente più vicino a quello che potrebbero vantare il Molise e San Marino messe insieme…..), gli stessi governi che hanno ereditato quelle scadenze perentorie sono oggi a miagolare a Bruxelles perché sia cancellata la tagliola agli endotermici decretata per il 2035;

– dopo il Giappone che ci ha menato un po’ dappertutto lungo il primo quarto di secolo di Unione dopo Maastricht, dal Lockdown in poi è arrivata l’ora dei Costruttori cinesi, cresciuti a furia di Joint Ventures con tedeschi e francesi e con gli antichi eredi degli Unni animati, trenta anni fa, dal desiderio di colonizzare un mercato che invece, alla fine, ha saputo costruire la scalata al contrario: perché il primo motivo di crisi nell’Automotive tedesco si trova proprio in quella Cina che la Germania ha stupidamente identificato alle origini come un ventre di vacca dove passare il resto della vita; e che invece ora spinge il paese di Sigfdrido a prendere un bel po’ di sole in Africa, la nuova terra promessa dell’Industria tedesca che a casa sua trasloca proprio per cominciare a trovare i primi posti nel nuovo mercato unico africano in arrivo nel 2035.

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Ecco: come arrivare al 2035? La speranza è che in Europa finiscano i tavoli di concertazione, che servono sempre e solo per sfoggiare bei catering, e si voglia scrivere il nuovo Manifesto per l’Automotive e la Componentistica Europea. I capisaldi di questo Manifesto, secondo noi?

– Rivedere completamente la “BER 2028” ed uscire definitivamente dal modello arcaico e penalizzante della revisione di Monti degli accordi verticali, e richiamare in Europa le delocalizzazioni industriali nell’Est del mondo;

– Permettere la creazione di “No Tax District” produttivi in Italia, unico Paese realmente martoriato in campo Automotive, per riprendere e riqualificare la vitalità dei distretti industriali nazionali della meccanica, dell’elettronica, dell’artigianato, della rigenerazione e del Design;

Rigenerare offerta di nuova Impresa (e possibilmente allargando la fascia anagrafica degli aspiranti, visto che ormai i trentenni imprenditori li dobbiamo importare, qui in Europa….) potenziando aree di Incubazione e strumenti speciali flessibili di nuova occupazione nelle StartUp in deroga temporanea ai capisaldi sindacali;

– Consentire a nuove imprese europee di iniziare da subito attività industriali e commerciali in modalità Blockchain;

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-Regolamentare la Supply in arrivo dall’estero secondo criteri di decarbonizzazione, per favorire la rigenerazione e produzione a “Km Zero” europea;

– Regolamentare e promuovere la figura del “piccolo Imprenditore Costruttore o Assemblatore Automotive” di qualità, figura chiave del mercato che la elefantiasi europea ha schiacciato lungo trenta anni di politica di grandi numeri.

Dopodiche, se questo sarà un manifesto unitario, non potra’ che essere tecnologicamente neutrale: la leggenda ed il carisma dell’Industria Auto europea si basa da sempre sulla biodiversità.

E come il Manifesto di Spinelli a Ventotene nacque contro l’arianesimo ed il predominio di pochi su tanti, così speriamo che la nuova prossima Europa dell’Auto unita saprà farla finita con elettro-arianesimo e con doping tedesco. L’auto europea è e sarà sempre bella perché varia. Quella di adesso è solo avariata.

Per questo ai rappresentanti delle Istituzioni di Bruxelles, e persino alla spettabile Presidente Von Der Layern, consiglio una volta per tutte di smettere di assumere droga pesante teutonica sull’Automotive, che fa solo male. Lo sanno tutti…

E di tornare, come una volta, al sano e meno dannoso…Spinelli. Altiero.

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Ed al ricordo del suo Manifesto, emblema di Europa. Mai come ora un Manifesto dell’auto europea sarebbe indispensabile.

Riccardo Bellumori



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