La Torre, ‘Super Mario il Solitario’

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di Gianluca Vivacqua

Prima del Covid-19 e dei Recovery Fund gli strumenti europei per foraggiare le economie in difficoltà erano, oltre al Mes, gli LTRO e i quantitative easing di Mario Draghi presidente della Bce. In questa particolarissima (e delicatissima) cabina di regia l’economista di Roma ha fatto il suo apprendistato nella politica europea. Tassi d’interesse bassi, aumento controllato (e programmato) del debito pubblico, intervento diretto degli Stati di concerto con gli enti centrali sovranazionali per favorire crescita e operare risanamento: in fondo, una possibile piattaforma di Draghi commissario Ue (il suo nome per questo ruolo era circolato nel periodo in cui il varo della commissione von der Leyen 2 si era fatto in salita) è già riconoscibile in filigrana nel suo operato di numero uno1 dell’Euroeconomia oltre che nei numerosi editoriali e interventi disseminati tra testate e sedi istituzionali internazionali. Senza dimenticare, naturalmente, l’esperienza da capo del governo italiano.

Giovanni La Torre, economista, è stato direttore generale di istituzioni finanziarie collegate a grandi gruppi bancari e assicurativi. Attualmente è consulente di direzione. Ha collaborato con la Fondazione Di Vittorio e con la Fondazione Critica Liberale, scrivendo sull’omonima rivista. Oggi collabora con la rivista di geopolitica Limes. Su Facebook anima la pagina “I gessetti di Sylos”, osservatorio sui fatti dell’economia e della politica analizzati da navigato opinionista. E disincantato.

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– Giovanni La Torre, nella sua pubblicistica lei non è mai stato particolarmente tenero sia col Draghi economista sia col Draghi politico e uomo di stato. Ma c’è differenza tra le due facce?
“Draghi è un tecnico molto bravo, appunto un “tecnico”, avrei difficoltà a chiamarlo “statista” solo perché ha presieduto un governo “tecnico”, cosa che capita purtroppo spesso in Italia, quando la politica ricusa le responsabilità. Draghi non può mai diventare un buon politico perché è una persona “solitaria”, abituata (male) a decidere da solo, a evitare i confronti di idee, la dialettica con chi la
pensa diversamente. Quando è stato presidente della Bce i suoi colleghi e collaboratori si lamentavano di questo, della scarsa collegialità delle decisioni, e per lo stesso motivo non ha lasciato un buon ricordo. Quando era Governatore della Banca d’Italia i collaboratori gli avevano affibbiato il nomignolo di “Signor altrove”, perché quando c’era una riunione appariva all’inizio e poi spariva, proprio perché non sopportava il confronto con idee diverse dalla sua.
Il 26 ottobre 2021, quando era presidente del Consiglio, abbandonò di punto in bianco una riunione con i sindacati sulle pensioni. Carsten Brzeski, capo economista di Ing Bank, una volta disse: “non sai mai cosa pensi dietro quella faccia da poker”. È evidente che una persona così non può mai essere un buon politico e meno che mai uno “statista”.
Come economista viene descritto come un “keynesiano” e lui si è autodefinito addirittura un “socialista liberale”, definizioni entrambe inappropriate. La formazione economica di Draghi va inserita in quel filone della teoria economica che suole definirsi “sintesi neoclassica”, cioè quel tentativo dei neoliberisti di inserire nei loro modelli alcune delle intuizioni di Keynes. Tentativo fallito e considerato blasfemo dai keynesiani veri. Il mentore di Draghi quando ha studiato negli Usa è stato Modigliani, cioè uno dei rappresentanti più autorevoli di quella corrente di pensiero che la
Robinson definì “keynesismo bastardo”. Da diverse dichiarazioni del Nostro, che qui sarebbe lungo riportare (che comunque trovate nel mio libro “Santo Subito. Draghi è veramente un fuoriclasse
dell’economia?” – Paperfirst 2022), emerge la sua vicinanza alle idee neoliberiste, anche se di recente, nella veste di mero commentatore, cerca di assumere posizioni diverse in tema di finanza pubblica, almeno così sembra”
.

– Pensa che l’idea draghiana di Europa sarà la svolta decisiva per l’evoluzione dell’Ue?
“Se la domanda fa riferimento al report commissionato a Draghi dalla von der Leyen (nel settembre 2023, ndr), va detto che si tratta di un documento meramente tecnico, di cui se ne trovano di simili presso tutte le organizzazioni internazionali, basta navigare nei relativi siti per rendersene conto. Comunque esso, insieme a quello di Letta, contiene suggerimenti di cui gli organi politici dell’Ue devono tener conto e decidere.
L’evoluzione decisiva dell’Ue, che dobbiamo augurarci, deve venire dagli stati membri, i quali devono credere di più nell’Europa e non fare ostruzionismo, come purtroppo molti stati fanno. L’obiettivo finale in cui dobbiamo credere, e che dobbiamo perseguire con tenacia, è la creazione degli “Stati Uniti d’Europa””
.

– Quante delle linee di azione messe in atto come presidente della Bce potrebbe egli trasporre, un domani, alla guida della Commissione?
“Anche quella dei miracoli che Draghi avrebbe fatto alla Bce bisogna che venga ridimensionata. Veramente pensiamo che se a quel posto fosse stato un altro presidente, l’euro sarebbe saltato? Mi sembra una concezione un po’ puerile e nazionalista (sul nostro nazionalismo sul punto tornerò). Per esempio nell’autobiografia uscita di recente (“Libertà” – Rizzoli 2024) la Merkel dice più volte “ho salvato l’euro”, addirittura sostiene che la nascita dei neonazisti dell’Afd è dovuta proprio al suo salvataggio della moneta unica. A mio avviso è più credibile l’ex cancelliere, nel senso che è stata la politica a salvare l’euro, quando ha fatto capire che non si sarebbe tornati indietro. Draghi poi ha solo attuato gli interventi tecnici che avrebbe adottato chiunque fosse stato al suo posto.
Quanto poi al quantitave easing è stato soprattutto un favore alla Germania perché quell’inondazione di liquidità, lungi dal favorire il credito all’economia reale, è servito a tenere basso il cambio, favorendo ancora di più le esportazioni tedesche. Il colmo si è raggiunto quando lo stesso Schaeuble ha riconosciuto questo “favore” fatto da Draghi (anche su questo rinvio al mio libro dove riporto dati e considerazioni che consentono di apprezzare di più la mia tesi). Concludo, come promesso, con una considerazione sul nostro nazionalismo su Draghi, battezzato Supermario, che “tutto” risolve con una sorte di bacchetta magica, “invidiato” e “voluto” da tutto il mondo. Uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere il libro su di lui è stato proprio quello di combattere quello che ritengo uno dei mali di noi italiani, che con un’espressione un po’ spiccia si può chiamare “trombonismo”. Ogni volta che un italiano va da qualche parte, diventa subito il deus ex machina che risolve tutto. Lo stesso accadde con Tremonti, e infatti ho scritto un libro anche su di lui (“Il grande bluff. Il caso Tremonti” – Melampo editore 2009) perché questo male italico ci sta spingendo verso il declino. Questo vizio dà l‘impressione di un paese con un complesso di inferiorità che ha bisogno ogni tanto di una compensazione, e allora si inventa dei miti. Ci beiamo di cose inesistenti che fanno da surrogato alle soddisfazioni vere che quindi non perseguiamo. Ne dico una per tutte: la stasi, se non il calo, persistente e vergognoso della produttività da un quarto di secolo a questa parte.
Scusate se ho citato i miei libri, non l’ho fatto per pubblicità ma per dire che ci sono considerazioni più ampie e documentate dietro le tesi qui accennate”
.



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