C’è un nuovo sceriffo a Washington? Certo, ma lo sapevamo già e lo conoscevamo bene! Stupiscono in questi giorni soprattutto le dichiarazioni di sorpresa da parte di leader politici sinora considerati (forse con eccessiva benevolenza) “statisti” e di alcuni rodati commentatori politici.
Chi scrive non vede cosa ci potesse essere di imprevisto in relazione alle recenti decisioni del Presidente Trump. Cosa Trump pensasse della NATO e dell’UE lo ha ripetutamente detto e dimostrato in maniera tutt’altro che diplomatica già durante il suo primo mandato.
Cosa pensasse del conflitto russo–ucraino lo ha ripetuto costantemente durante gli ultimi tre anni, così come ci ha sempre detto quali fossero le sue priorità. Era chiaro che né l’Ucraina né la sicurezza europea rientrassero tra queste. Intendiamoci, Trump non è certamente un amico né dell’Europa né dell’Italia (ma non lo era neanche Biden, solo che era meno diretto nell’esprimere le proprie posizioni) come non lo sono né Xi Jinping né Putin. Facciamocene una ragione.
Trump ha una visione imperiale della geopolitica. È più che cosciente che l’unico vero contendente a livello planetario degli USA sia oggi la Cina. Al fine di poter dedicare appieno la sua attenzione al confronto con la Cina, Trump ha bisogno prima di stabilizzare i due conflitti irrisolti ereditati dall’amministrazione precedente: Medio Oriente e Ucraina.
Il “come” vengano stabilizzati gli interessa forse meno di “quando” vengano stabilizzati.
Per confrontarsi a livello globale Trump, come era prevedibile, vuole trattare esclusivamente con i “grandi”. Ha già dimostrato che per lui gli alleati non contano e devono adattarsi alle sue decisioni (anche durante il suo primo mandato, il ritiro NATO dall’Afghanistan venne concordato a Doha tra gli USA e i Talebani senza coinvolgere né gli Alleati NATO né il Governo di Kabul (vedi Da Doha al confine greco-turco la NATO scricchiola pericolosamente – Analisi Difesa).
Inoltre, non ritiene che accordi e promesse fatti dall’amministrazione precedente meritino di essere rispettati. Ciò gli consente anche di rimarcare quella che lui sembra ritenere l’illegittimità di tale amministrazione. Appare chiaro che per Trump contino solo i rapporti di forze (economica, politica e militare): un ritorno alla realpolitk! Peraltro, non lo si sapeva già? Allora perché farsi ora prendere dal panico?
Questione ucraina
In relazione all’Ucraina, appare evidente che gli USA considerino quello in corso un confronto tra Washington e Mosca. Un confronto, iniziato da una precedente amministrazione, che si ritiene avrebbe dovuto essere evitato. Ne consegue che una volta che tra Washington e Mosca ci si metta d’accordo sui confini russo-ucraini e sullo sfruttamento delle risorse economiche ucraine, per i due “grandi” la guerra sia da considerarsi finita.
Il punto di vista di Trump sembra essere che se gli ucraini e gli europei volessero poi continuare a combattere, beh lo facciano pure, ma con le loro risorse umane e finanziarie e senza avvalersi del sostegno né politico né militare statunitense.
In quest’ottica, anche sulla base degli esiti deludenti dell’incontro di Parigi organizzato il 17 febbraio da Macron, appare evidente che i leader dell’UE e dei paesi europei che per tre anni hanno fatto la spola tra le loro capitali e Kiev (chi per intima convinzione e chi nella speranza di acquisire meriti con l’amministrazione Biden), anziché lamentarsi oggi di non venir considerati da Trump e da Putin, dovrebbero decidere se assumersi la responsabilità e i costi umani ed economici necessari a tener fede alle promesse fatte all’Ucraina o se girarsi dall’altra parte, come l’Occidente ha già fatto molteplici volte.
Ad esempio, l’accordo di assistenza bilaterale tra l’Italia e l’Ucraina sottoscritto il 24 febbraio 2024 all’art 1 comma 3 prevede che “I Partecipanti (ovvero l’Italia e l’Ucraina) lavoreranno insieme, e con altri partner dell’Ucraina, per garantire che le forze di sicurezza e di difesa dell’Ucraina siano in grado di ripristinare pienamente l’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, nonché di aumentare la capacità di resistenza dell’Ucraina in modo che sia sufficiente a dissuadere e a difendersi da futuri attacchi e coercizioni”.
Probabilmente sia Ucraina che UE (inclusa la Gran Bretagna che non ne fa più parte) protesteranno in maniera vibrante, si stracceranno le vesti, si esibiranno nell’antica arte genovese del mugugno, ma nella sostanza accetteranno supinamente le decisioni di Washington. Né, verosimilmente, potrebbero fare diversamente se privati della copertura nucleare e convenzionale USA.
Indipendentemente dalle lamentele di Kiev e delle capitali europee, Trump verosimilmente porrà fine drasticamente e rapidamente alla guerra in Ucraina. La pace (o almeno il cessate il fuoco) sarà negoziato con il solo Putin e probabilmente imposto a Zelensky. Negoziato che attribuisce un riconoscimento internazionale a Putin che gli europei e gli ucraini non gradiranno, ma che probabilmente Trump ritiene urgente al fine di evitare che la Russia si renda ancor più dipendente dalla Cina.
Per Trump, infatti, può essere meno pericoloso che la Russia si confermi come una “grande potenza”, sì ma di secondo livello e non in grado di competere con il gigante americano, piuttosto che vederne confluire in toto le enormi risorse naturali nell’orbita di Pechino.
Per quanto riguarda l’Ucraina, che sia o meno d’accordo, Trump ritiene che basti semplicemente tagliarle i finanziamenti per indurla ad accettare qualsiasi pace che Washington negozierà. Comunque, una volta che gli USA si siano disimpegnati, gli europei non sarebbero in alcun modo in grado di sostituirli nel sostegno all’Ucraina ove questa decidesse di continuare a combattere.
Ciò indipendentemente dal fatto che i paesi europei, nel loro insieme, abbiano fornito in termini economici un sostegno a Kiev superiore a quello fornito dagli USA. Però, manca agli europei la capacità di deterrenza (politica, militare e nucleare) che gli USA anche senza schierare uomini sul terreno erano in grado di garantire.
Inoltre, anche nel semplice ruolo di fornitori di armamenti e munizionamento, al momento gli europei sono terribilmente scarsi sia di scorte sia di capacità produttive. Certo, potrebbero comprare dagli USA per donare all’Ucraina, opzione che a Trump non dispiacerebbe, ma si tratterebbe di un’opzione finanziariamente insostenibile e politicamente vergognosa.
Comunque, anche il recente min-ivertice di Parigi ha dimostrato che non vi sarebbe alcuna volontà politica per un impegno militare UE, come a suo tempo proposto da Macron e da Starmer. Pertanto, è probabile che anche gli europei accetteranno l’arbitrato americano perché sarà l’unica opzione per prevenire il totale collasso dell’Ucraina e le permetterà di mantenere, almeno temporaneamente, una parvenza di entità statuale.
Il deterioramento del rapporto transatlantico
Nel 2019 il presidente Macron affermò che la NATO aveva l’elettroencefalogramma piatto. I fatti sembrano dargli oggi ragione sotto molti punti di vista.
L’architettura dell’Alleanza appare sempre più pericolante ed è urgente incominciare seriamente a chiedersi che cosa farne. Occorre chiedersi senza remore se la NATO oggi, con Trump alla Casa Bianca, sia un’organizzazione che mostra delle crepe strutturali serie, ma riparabili, oppure se, a 76 anni il prossimo aprile, non meriti di andare definitivamente in pensione e traslocare, con tutti gli onori del caso, inni e bandiere spiegate, nei musei e nei testi di storia.
L’Alleanza, almeno nelle intenzioni nobili dei suoi fondatori, si basava sulla comunità valoriale e la coesione politico-militare tra le due sponde dell’Atlantico. Appare evidente che sia a comunità valoriale sia la coesione politico-militare ormai non ci sono più.
Intendiamoci, la saldezza del legame transatlantico è in crisi da quasi un quarto di secolo. Già all’indomani dell’attacco dell’11 settembre 2001 fu chiaro che gli USA, colpiti direttamente sul loro territorio nazionale, abbiano considerato la NATO una organizzazione troppo burocratica e lenta per difendere gli interessi statunitensi, ovvero che il suo multilateralismo andava bene se si doveva discutere con gli europei della sicurezza della Germania o dei Balcani.
Ma non quando erano in ballo la sicurezza stessa degli USA! Washington incominciò a ricercare soluzioni più agili e soprattutto partner più ubbidienti, ovvero le cosiddette “coalizioni di volenterosi”.
All’epoca, gli alleati europei, terrificati dall’allentamento del legame transatlantico, fecero di tutto per mantenerlo in vita, accettando di partecipare anche a interventi militari non propriamente di loro interesse (quale il quasi ventennale impegno in Afghanistan) pur di dimostrare all’alleato americano il loro attaccamento e la loro fedeltà.
Il tutto assunse un tono quasi patetico, come quello di una coppia in crisi dove uno dei due (in questo caso gli europei) pareva disposto ad accettare qualsiasi compromesso pur di evitare la fine di un matrimonio ormai solo formale.
Nonostante vari scossoni, che per brevità non si ritiene di ricordare in questa sede, si riuscì comunque a mantenere le due sponde dell’Atlantico unite sotto la bandiera dell’Alleanza, pur riconoscendo sempre la leadership di Washington. Il rapporto transatlantico venne di nuovo messo pesantemente in crisi durante il primo mandato presidenziale di Trump (2016-20).
Noi europei ricordiamo bene i Vertici NATO del 2018 e del 2019 (vedi Dopo un summit da incubo, cosa sarà della NATO? – Analisi Difesa), durante i quali il POTUS (President Of The United States) non si preoccupò minimamente di nascondere la sua scarsa considerazione per l’Alleanza e gli alleati, ribadendo ad ogni occasione che se gli Alleati volevano continuare a beneficiare della protezione USA avrebbero dovuto fare sforzi estremamente significativi in termini di incremento dei rispettivi bilanci della difesa.
Trump, infatti, già all’epoca aveva accusato ripetutamente alcuni paesi europei di beneficiare delle garanzie di sicurezza USA senza, da parte loro, dedicare una quota sufficiente del proprio PIL alla difesa.
In realtà, più che all’efficienza degli apparati militari degli alleati, pareva che il POTUS fosse interessato soprattutto al fatto che gli alleati europei comprassero “Made in USA”.
Come già ricordato, il ritiro dall’Afghanistan (dove la NATO in quanto alleanza aveva operato senza soluzione di continuità sin dal 2003 e alcuni paesi alleati sin dal 2001 nel quadro della coalizione di volenterosi Operation Enduring Freedom) fu negoziata in splendido isolamento nel 2019-20 dall’amministrazione Trump e poi condotta in maniera disastrosa nel 2021 da quella Biden, senza mai coinvolgere gli Alleati che fornivano i loro soldati sul terreno in tali processi decisionali.
Questo non poteva non compromettere ulteriormente la credibilità del link transatlantico (vedi Biden ha svilito la NATO: l’Europa batta un colpo – Analisi Difesa)
Ciò nonostante e probabilmente anche per l’acuirsi della crisi ucraina, durante la presidenza Biden gli europei hanno di nuovo fatto di tutto per rinforzare quel già debole legame transatlantico che era stato ulteriormente danneggiato durante la prima presidenza Trump e dalle modalità di ritiro dall’Afghanistan.
In quest’ottica, deve essere inteso anche il supporto, forse insufficiente ma comunque molto generoso, che gli europei hanno fornito all’Ucraina negli ultimi tre anni anche se per molti (tranne i paesi che per posizione geografica e storia recente sono più timorosi di un’aggressione russa) il sostegno economico e militare fornito è stato forse motivato più dal desiderio di acquisire meriti con Washington e Bruxelles che dalla convinzione che fosse necessario aiutare militarmente Kiev.
Il sostegno NATO all’Ucraina: molte parole e pochi fatti
Peraltro, in relazione al conflitto in Ucraina, in questi tre anni, occorre rimarcare che il ruolo della NATO nel conflitto è stato limitato, nonostante le pompose dichiarazioni autoreferenziali del precedente segretario generale, Jens Stoltenberg.
Ovviamente c’è stato il rinforzo della frontiera orientale dell’Alleanza, attuato esclusivamente all’interno del territorio dei paesi membri, senza alcuno sconfinamento. Si è trattato di schieramento di assetti (aerei, terrestri e navali) aventi l’obiettivo di dissuadere ed eventualmente contrastare possibili sconfinamenti di forze russe/bielorusse in paesi NATO e di dimostrare la coesione militare dell’Alleanza in caso di aggressioni.
Attività questa in piena coerenza con i compiti di “difesa e deterrenza” che sin dal 1949 hanno rappresentato il “core business” dell’Alleanza. Per il resto, il segretario generale si è di fatto prodigato per convincere le singole nazioni a fare di più in termini di aiuti militari diretti all’Ucraina, sanzioni economiche contro la Russia, sostegno economico all’Ucraina, ecc.
Decisioni, però, assunte altrove (a Washington, in ambito UE o nelle singole capitali europee). La NATO in questo processo ha avuto al massimo il ruolo di monitorare e possibilmente coordinare l’afflusso di quanto reso disponibile dai paesi membri. Tutto, comunque, sempre in base alle autonome decisioni dei paesi donatori, tra i quali non solo membri NATO.
Trump e gli “alleati-sudditi”
Adesso che si è insediata una seconda amministrazione Trump (opzione che era da considerarsi decisamente possibile da più di un anno e molto probabile da almeno sei mesi) era prevedibile che il legame transatlantico su cui si basa l’Alleanza sarebbe stato di nuovo sottoposto a stress e messo in dubbio.
Peraltro, pare che da parte europea poco sia stato fatto per prepararsi a questa prevedibilissima evenienza.
La scorsa settimana, sia dall’intervento del segretario alla difesa Pete Hegseth durante la riunione dei ministri della difesa NATO che dall’intervento del vice presidente JD Vance a Monaco, è emerso chiaramente che Trump intende dare completa e rapida attuazione a quanto promesso in campagna elettorale in materia di posizionamento geopolitico e rapporti con gli alleati.
Doveva essere già evidente, ma in quelle sedi è stato chiaramente ribadito, che:
- la sicurezza dell’Europa non è più un primario interesse di Washington,
- gli interessi USA sono rivolti prioritariamente all’Indo-Pacifico e alla Cina,
- la Russia non è più considerato un nemico, da contrastare militarmente, bensì un competitor con cui gli USA possono arrivare a patti,
- la sicurezza e l’integrità territoriale dell’Ucraina è un problema dell’Ucraina e, eventualmente, degli europei
- qualsiasi sostegno politico, militare, economico USA fornito a paesi alleati ha un costo che deve essere pagato comprando gas o armi USA o cedendo il controllo sulle proprie materie prime di valore.
Inoltre, non giova all’armonia interna alla NATO il fatto che alcuni alleati di vecchia data (Canada e Danimarca) devono fare i conti anche con esplicite minacce di annessioni territoriali da parte degli USA.
Non può non essere chiaro, a questo punto, che gli europei devono al più presto prendere atto di questo mutamento nei rapporti transatlantici e fare scelte impegnative che, al momento, non appaiono ancora pronti ad affrontare.
Per fortuna o purtroppo (dipende dai punti di vista), Trump non deciderà di uscire dall’Alleanza Atlantica, come ha più volte minacciato di fare. Scelta che lascerebbe da un giorno all’altro gli alleati europei privi del supporto militare strategico e della copertura nucleare statunitense, ma che li metterebbe anche drasticamente di fronte all’esigenza di scelte coraggiose ed immediate.
Scelte che potrebbero prevedere eventualmente di riorganizzare le esistenti strutture politiche e soprattutto militari dell’Alleanza per far fronte al ritiro USA.
Trump probabilmente non lo farà, perché non ne avrebbe alcuna convenienza per vari motivi. In primis, restando all’interno dell’Alleanza gli Stati Uniti possono continuare a condizionare la politica di sicurezza europea, prevenendo o almeno rendendo molto difficile che gli alleati europei, sotto bandiera UE, possano acquisire quella autonoma dimensione militare che sarebbe indispensabile per giocare un ruolo geopolitico significativo autonomo.
Inoltre, da anni gli USA tentano di indirizzare la NATO verso l’Indo-Pacifico (che dal 2000 a oggi ha rappresentato la maggior preoccupazione di tutti gli inquilini della Casa Bianca, democratici o repubblicani che fossero). Già in passato, ripetutamente, gli USA non hanno fatto mistero di voler fare della NATO un loro strumento nel confronto con la Cina (vedi Per la NATO la Cina è più vicina della Libia – Analisi Difesa).
Ciò per Washington sarebbe sempre più importante anche perché ormai, grazie alla forza di attrazione politica ed economica del Dragone nella regione, sono rimasti ben pochi i possibili alleati degli USA nell’Indo-Pacifico militarmente credibili (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Australia e Nuova Zelanda).
Appare invece prevedibile che Trump, come più volte dichiarato, ridurrà in tempi brevi la presenza militare USA in Europa, sia perché vorrà in prospettiva ridurre il volume organico delle forze armate statunitensi (che anche in termini di costi per il personale rappresentano un esborso non indifferente per il bilancio federale) sia per poter gravitare, anche militarmente, sull’Indo-Pacifico.
Probabile anche che, sulla base di una lettura letterale dell’Articolo 5 del Trattato Atlantico (troppo spesso citato a sproposito da molti commentatori), l’Amministrazione Trump metta in discussione l’obbligatorietà di un’azione militare statunitense in risposta a un’aggressione militare a un paese NATO confinante con Russia o Bielorussia (Finlandia, Repubbliche Baltiche, Polonia). L’articolo 5 infatti prescrive che in tale evenienza “si adotterà l’azione che si giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata” (pertanto, non necessariamente la forza armata).
Ovviamente, con un occhio più agli introiti dell’industria USA che all’efficienza degli apparati militari europei, pretenderà una più accentuata condivisione degli oneri con gli europei.
Quale futuro per la NATO?
La NATO, dopo il grave colpo inferto alla sua credibilità dal caotico ritiro da Kabul, potrà reggere anche alla irrilevanza nella gestione della crisi ucraine e agli atteggiamenti da “marchese del grillo” che il nuovo “padrone del vapore” ha adottato non solo nei confronti sia dell’ex-proxi ucraino che degli alleati-sudditi europei?
Difficile credere che possa reggere anche se altrettanto difficile è credere che se ne vorrà prendere atto!
Innanzitutto perché, come già scritto, gli Stati Uniti hanno interesse a evitare che l’Europa possa assumere un ruolo geopolitico autonomo. Quindi è possibile che la NATO sopravviva procedendo per inerzia e col rischio di essere sempre più screditata, percepita come “parente povero” dagli USA, come inutile dalle nazioni europee e come “traditore” da coloro (ucraini, georgiani, moldavi) ai quali l’Alleanza, in maniera azzardata, si era presentata sin dal 2008 con promesse che non aveva forse la volontà né la capacità di onorare.
E l’Unione Europea?
Gli europei danno spesso l’impressione di una certa confusione nel tentare di metterci d’accordo tra di noi su quali siano i nostri interessi e ci comportiamo molto spesso come i capponi che Renzo portava in dono all’Azzeccagarbugli. Le reazioni stupite e offese delle leadership politiche europee all’infelice, ma assolutamente prevedibile, evoluzione del conflitto in Ucraina, ne costituisce solo una delle tante dimostrazioni.
Molti parlano di rinforzare l’UE attribuendole una capacità militare addirittura costituendo “forze armate europee”. Opzione priva di senso a meno di una “politica estera e di sicurezza comune” che potrebbe essere ottenuta solo attribuendo alla UE la struttura costituzionale di Confederazione, con tutte le limitazioni alle autonomie degli attuali Stati membri che una simile scelta comporterebbe.
Oggi la UE non dispone di un proprio strumento militare adeguato alla situazione, essendosi sempre appoggiata sulle capacità della NATO.
Occorre tener presente che l’UE sarà, insieme all’Ucraina, la grande sconfitta dell’accordo di pace negoziato da Trump.
Vale la pena di ricordare che, più per assecondare Washington che per salvare Kiev, i paesi UE hanno interrotto le loro relazioni commerciali con la Russia, avviandosi sulla strada delle sanzioni commerciali autolesioniste, degli aiuti economici e dei prestiti all’Ucraina (che non saranno mai ripagati) e dello svuotamento dei propri già miseri arsenali militari.
Ora, dopo aver tagliato i ponti con il loro principale fornitore di energia, per seguire la via indicata dall’alleato a “stelle e strisce”, gli europei vengono da questi abbandonati e sbeffeggiati. Ciò nonostante e nonostante la ferma posizione USA contraria all’accesso dell’Ucraina nella NATO, le leadership UE continuano a insistere sull’accesso immediato dell’Ucraina nell’UE.
Penso che non sia necessario rimarcare il peso economico per i paesi membri che ciò comporterebbe, stante anche l’esigenza di ricostruire un paese che neanche prima della guerra aveva i requisiti economici ed istituzionali per l’accesso.
Peraltro, più preoccupante mi pare che chi caldeggia il rapido accesso dell’Ucraina nell’UE sembra trascurare che in termini di obblighi di “difesa comune”, il comma 7 dell’Articolo 42 del Trattato di Lisbona (trattato istitutivo della UE) è molto più vincolante del già citato Articolo 5 del Trattato dei Washington (trattato istitutivo della NATO).
Trattato di Lisbona Art 42 comma 7 “Qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.”
L’UE, pertanto, potrebbe tra alcuni anni trovarsi da sola a difendere l’Ucraina dalla Russia dopo solo alcuni anni di tregua.
Un tale oneroso impegno potrebbe annientare sul nascere qualsiasi aspirazione alla tanto decantata autonomia strategica europea e a un ruolo UE quale attore geopolitico indipendente a livello mondiale. Tutto ciò, ovviamente, con gioia dei nostri alleati d’oltreoceano che hanno sempre chiesto all’Europa di fare di più per garantire la propria sicurezza, ma sono sempre stati restii a riconoscerle un ruolo geopolitico autonomo.
Quale futuro per i paesi europei della NATO?
Appare evidente che, come ribadito dall’amministrazione Trump, gli interessi geopolitici americani siano ormai lontani dal nostro continente e comunque spesso in concorrenza con gli interessi europei. Rendiamoci conto che non possiamo più affidarci allo Zio Sam per minacce che non lo coinvolgano.
Pertanto l’UE, associata eventualmente ad alcuni paesi europei non UE (Gran Bretagna, Norvegia, Paesi dei Balcani occidentali), dovrà rapidamente dotarsi degli strumenti militari per garantire sia la sua difesa a Est (dal Mar Glaciale Artico al Mar Nero) da una minaccia russa/bielorussa, che la sua sicurezza Sud verso il Mediterraneo, il Medio Oriente e il Nord Africa, contrastando gli interessi di Cina, Russia e Turchia, oltre all’espansione del fondamentalismo islamista e, non dimentichiamolo, alle verosimili iniziative pericolose statunitensi.
Non si tratta qui di essere europeisti o sovranisti, intendiamoci. Si tratta solo di essere realisti.
È pertanto, necessario incominciare da subito a dotare l’UE di una struttura di comando militare permanente analoga a quella della NATO, che possa essere impiegata in autonomia per operazioni UE e che, in caso di interventi NATO in Europa, sia integrabile in quella NATO.
Per seguire questo percorso è necessario abbandonare esplicitamente il vincolo (voluto dagli USA) di evitare duplicazioni NATO-UE, perché solo dotandosi di una struttura di comando militare permanente l’UE potrà acquisire reale capacità operativa autonoma.
Ciò ovviamente non richiede un fantomatico e poco realistico “esercito europeo”, bensì solo una chiara visione da parte dell’UE delle sue esigenze di difesa e sicurezza e l’adozione di procedure finanziarie che garantiscano un’equa ripartizione degli oneri finanziari tra i paesi membri.
Tutto ciò ovviamente avrà costi che bisogna accettare di sobbarcarsi! Si tenga conto che altre soluzioni organizzative, tendenti a evitare le inevitabili duplicazioni, come quelle previste dagli Accordi NATO-UE “Berlin Plus” del 16 dicembre 2002, non hanno in realtà mai funzionato perché mal sopportate dagli USA e ostentatamente contrastate da alcuni paesi NATO non UE, in primis la Turchia.
Resta inoltre il problema dell’acquisizione di una comune capacità di deterrenza nucleare di cui l’UE non dispone e che andrebbe realizzata con fondi comuni.
L’ipotesi di rendere disponibile le capacità nucleari francesi è poco realistica. Proprio la riluttanza di De Gaulle a mettere a disposizione la Force de Frappe transalpina fu il motivo principale del fallimento dell’ambizioso progetto della CED (Comunità Europea di Difesa) nel 1954.
In effetti neppure la NATO dispone di un proprio deterrente nucleare, in quanto in fondo la decisione dell’eventuale ricorso all’armamento atomico, anche solo in risposta ad attacco nucleare nemico, resta di fatto soggetto alle decisioni finali delle nazioni NATO che possiedono tali capacità (USA, Regno Unito e Francia).
Resta il problema anche dell’integrazione nel sistema di sicurezza europea e nei relativi processi decisionali delle nazioni NATO del continente che non sono membri UE o non lo sono ancora o che non intendono al momento farne parte: Gran Bretagna e Norvegia e i paesi NATO dei Balcani Occidentali, tutti in lista d’attesa per entrare nell’Unione.
Un’evoluzione nel senso indicato è costosa e dovrebbe essere perseguita con coraggio e determinazione, nonostante le sicure opposizioni che tale processo incontrerà da parte in primis degli USA, ma anche della Turchia, paese NATO che per l’Europa rappresenta più un fattore di rischio che di sicurezza, come abbiamo più volte evidenziato (vedi Che brutta la NATO del “pistolero” Trump e del “sultano” Erdogan – Analisi Difesa).
Restano tanti problemi e tutti di difficile soluzione, certo, ma Trump ci sta dicendo che dobbiamo affrontarli non domani, ma oggi stesso. In questo senso, forse Trump, a sua insaputa, sta facendo per la realizzazione di “un’Europa della difesa” molto più di quanto abbiano fatto i grandi padri dell’europeismo.
Foto: MCS, MAGA, Presidenza Ucraina, NATO e UE
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