Il futuro di Gaza e l’inconsistenza della “patria araba”

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Ultimo aggiornamento: 21/02/2025 15:07:46

La stampa araba commenta, con molta rassegnazione e poca speranza, l’attività diplomatica messa in campo dai governi di Egitto, Giordania, Emirati, Qatar, Arabia Saudita per far fronte alla questione degli sfollati di Gaza. L’obiettivo di questi Paesi consiste nell’elaborare, tra il mini-vertice di Riyad del 21 febbraio e quello del Cairo del 4 marzo, un piano che controbilanci il famigerato progetto della “Riviera di Gaza” proposto dal presidente statunitense Donald Trump. Ma sulla buona riuscita dell’operazione pesano i troppi errori del passato e le divisioni del presente.

 

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Viva preoccupazione da parte delle testate dell’orbita qatariota. Per il quotidiano al-‘Arabi al-Jadid il problema è il seguente: «le idee di Trump su Gaza», per quanto siano «folli e irrealistiche, persino inapplicabili e scandalose a livello internazionale», devono comunque essere prese in seria considerazione «per un’unica ragione: provengono da colui che è descritto come l’uomo più potente del mondo». Al-Quds al-‘Arabi ribadisce l’assurdità del progetto americano e rimprovera le leadership arabe di scarsa (re)attività: «in questa situazione, ciò che sorprende di più è che gli arabi, rappresentati dalla Lega Araba non hanno fatto delle “proposte al rialzo” all’altezza di quelle di americani e israeliani (che nelle loro dichiarazioni hanno rincarato la dose attaccando Arabia Saudita, Egitto e Qatar) né hanno utilizzato strumenti negoziali appropriati allo stile da gangster di Trump e Israele; al contrario, hanno chiesto, attraverso il segretario della Lega Araba Ahmad Abu al-Ghayt, il ritiro di Hamas dalla Striscia!». La testata di orientamento islamista al-‘Arabi 21 osserva sarcasticamente che la proposta di “The Donald” è talmente astrusa e irricevibile che persino «i regimi arabi che sono al servizio della corte americana» non hanno potuto far altro che rifiutarla. Più possibilista il politologo e intellettuale marocchino Hassan Aourid, che su Al Jazeera scrive: «si spera che il prossimo incontro previsto a Riyad costituisca un’apripista per un nuovo sistema arabo […]. Il momento è propizio» per creare un organismo «che si esprima con una voce sola su questioni cruciali». Ciò implica però l’utilizzo di un approccio del tutto innovativo: «per essere più chiari – continua Aourid – non vedo come la Lega Araba, istituita alla fine della seconda guerra mondiale, possa rappresentare la cornice ideale per affrontare le sfide attuali».

 

Anche al-Sharq al-Awsat, di proprietà saudita, sottolinea la necessità di sfruttare l’occasione dei prossimi incontri diplomatici: «Gaza si salva solo con un vertice arabo» titola il quotidiano, e nel pezzo che segue la giornalista libanese Huda al-Huseini aggiunge: «in attesa del vertice del Cairo il prossimo 4 marzo, bisogna fare in modo che i Paesi arabi arrivino all’appuntamento con una linea comune. Più questa sarà pragmatica, meno evolverà verso dichiarazioni generiche. Sarebbe questa la cosa migliore per togliere Gaza dalle grinfie di Trump». Un altro articolo del quotidiano concentra la sua critica sulla litigiosa e frammentata  politica palestinese, al cui interno «si sono moltiplicati presidenti, leadership e fazioni». Ciò ha generato «visioni contrastanti e scopi inconciliabili» che non hanno fatto altro che allontanare i palestinesi dal loro vero obiettivo, ossia la liberazione nazionale: «il tempo ha inghiottito tutti quanti, sono passati anni senza che venisse conseguito alcun risultato».

 

Pareri misti sulle testate (filo)emiratine. Nell’articolo di prima pagina del 21 febbraio, al-‘Arab frena gli entusiasmi sul summit di Riyad, la cui importanza è minimizzata dagli stessi sauditi: «non hanno grandi aspettative sul vertice, dal momento che la stampa saudita lo definisce come nient’altro che un “uno dei tanti incontri cordiali e informali” tra i leader arabi e del Golfo». Il giornale al-‘Ayn al-Ikhbariyya se la prende con non meglio precisate «organizzazioni estremiste» (probabilmente i movimenti afferenti all’Islam politico) che avrebbero criticato le inefficaci politiche di Emirati, Giordania ed Egitto in merito alla questione palestinese. In realtà, argomenta al-‘Ayn, è vero il contrario: sono proprio questi gruppi i responsabili del fallimento. Infatti, durante le «cosiddette primavere arabe» essi destabilizzarono diversi Paesi della regione, costringendo i governi a distogliere l’attenzione dalla Palestina per occuparsi dei problemi interni. Sulla stessa linea anche l’editoriale del giornalista libanese Khayrallah Khayrallah, che concorda con la proposta di Abu al-Ghayt di espellere Hamas da Gaza. Soltanto con una coraggiosa presa di distanza dal movimento islamista i leader potranno «compensare anni di incompetenza, durante i quali un gran numero di funzionari arabi ha ignorato il pericolo della bomba a orologeria rappresentato da Hamas, propaggine dell’Iran e della Fratellanza».

 

Totalmente disilluso il giornalista iracheno Samir Daoud Hanush, che dalle colonne del quotidiano al-‘Arab scrive con amarezza: «ma quanto è catastrofica la situazione dall’Oceano Atlantico al Golfo Persico! Il silenzio non è più accettabile. Com’era magica l’espressione “patria araba” quando eravamo piccoli; oggi però questa espressione è diventata il nostro incubo», vista l’impossibilità di fare fronte comune e respingere i disegni egemonici statunitensi e israeliani. Quel che è peggio è che la cronica disunità araba non fa altro che incoraggiare gli appetiti delle potenze straniere: «in futuro Trump o qualcun altro riprenderà l’idea di deportare cittadini da questo o da quel Paese arabo. Il fondamento di tali progetti sarà la crisi sistemica della realtà araba», da cui l’amara conclusione: «né Trump né Netanyahu avrebbero osato proporre la deportazione dei palestinesi se non fosse stato per la debolezza e la scarsa reputazione» dei leader della Lega Araba.

 

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