Versamento contanti sul proprio conto corrente: ecco quando partono i controlli del Fisco, cosa rischi e come proteggerti

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La legge prevede che, se non dichiari i versamenti in contante, l’Agenzia delle Entrate può considerarli come reddito non dichiarato e, quindi, tassabile. Questo principio si basa su una presunzione legale, che si applica anche a importi modesti, ma nella pratica il Fisco tende a concentrarsi soprattutto su versamenti frequenti o di importo significativo, specialmente se non coincidono con la tua situazione reddituale o provengono dall’estero. Ad esempio, se un disoccupato versa 5.000 euro in contante, sarà più difficile giustificarlo rispetto a un imprenditore che ne versa 500.
La legge dice che, in assenza di una dichiarazione chiara, è il contribuente a dover dimostrare che quei soldi non sono il frutto di attività non dichiarate. Non basta dire “erano risparmi”, devi poter provare concretamente da dove provengono. È un po’ come se il Fisco ti dicesse: “Se non mi dimostri il contrario, quei soldi sono reddito, e devi pagare le tasse.”

Chi deve dimostrare cosa? L’onere della prova

Nel sistema fiscale italiano, l’onere della prova è a carico del contribuente. Questo significa che è tua responsabilità fornire le prove che giustificano i versamenti di contante. Il Fisco non deve dimostrare che hai evaso le tasse, ma solo rilevare la discrepanza tra quanto dichiarato e i soldi che hai versato.

I tempi per un controllo fiscale

Il Fisco non può indagare su di te per sempre. Esistono dei limiti temporali entro cui può avviare un controllo. Se hai presentato la dichiarazione dei redditi, il termine per un eventuale accertamento è di cinque anni. Questo significa che il Fisco ha tempo fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui hai fatto la dichiarazione. In pratica, se nel 2024 hai versato 10.000 euro, l’Agenzia delle Entrate può controllare e accertare il versamento entro il 31 dicembre 2029.

Se, invece, non hai presentato la dichiarazione, i tempi per il controllo si allungano a sette anni, con termine fissato al 31 dicembre del settimo anno successivo.

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Giustificazioni che non funzionano

Magari adesso ti starai chiedendo: “E se io giustifico i versamenti con alcune dichiarazioni? Non basterà?“. La risposta è no. Il Fisco non si accontenta di giustificazioni vaghe o poco convincenti. Ad esempio, dire semplicemente “Erano risparmi” non basta. Lo stesso vale per affermare che ti sono stati dati da un parente, senza avere una documentazione che provi il prestito o la donazione. Inoltre, nemmeno la classica giustificazione “Li ho vinti al gioco” funziona, a meno che tu non abbia una prova ufficiale della vincita, come un biglietto del Superenalotto o una ricevuta.

Insomma, per contrastare l’accusa del Fisco non è sufficiente inventare una scusa, bisogna avere prove concrete e documentate.

Giustificazioni che funzionano: l’importanza della documentazione

La vera chiave per evitare problemi con il Fisco è avere una documentazione chiara e ben organizzata che giustifichi ogni versamento. Se, per esempio, hai venduto un oggetto usato, devi essere in grado di fornire un contratto di vendita, possibilmente registrato, una copia del pagamento (assegno o bonifico) e magari l’annuncio online. Se hai ricevuto un prestito da un amico o parente, il contratto di prestito deve essere firmato e con data certa, e i pagamenti devono essere tracciabili (bonifici, assegni). Ancora, se hai ricevuto un risarcimento danni, è fondamentale avere una sentenza del giudice o una quietanza di pagamento con data certa.
Se i soldi provengono da una donazione, la situazione cambia in base all’importo: se è di modico valore, può bastare una scrittura privata, mentre per importi superiori serve un atto notarile. In caso di vincita al gioco, è indispensabile avere un documento che attesti ufficialmente la vincita, come un biglietto o una ricevuta.

Ogni operazione che può essere tracciata (come un bonifico o un assegno) rende molto più semplice giustificare l’origine del denaro, ma è fondamentale essere preparati a spiegare ogni singolo versamento.

Cosa significa “prova analitica” e “data certa”?

Quando si parla di “prova analitica”, si intende che ogni versamento deve essere giustificato singolarmente, con spiegazioni precise sulla provenienza dei soldi, su chi te li ha dati, quando e perché. Non puoi limitarti a dire che “erano soldi che avevi da parte”: devi essere in grado di raccontare la storia di quei soldi con chiarezza.

La “data certa” è fondamentale per evitare che tu possa inventarti delle prove dopo che il Fisco ha già iniziato il controllo. Ci sono vari modi per ottenere una data certa su un documento: puoi farlo attraverso la registrazione all’Agenzia delle Entrate (che ha un costo di circa 200 euro), oppure inviando il documento tramite PEC (Posta Elettronica Certificata), o utilizzare una marca temporale. Anche l’invio di una raccomandata senza busta è un’opzione, così come l’autentica notarile.

Cosa succede se non riesci a giustificare i versamenti?

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Se non riesci a fornire prove sufficienti, il Fisco presumerà che i soldi siano reddito non dichiarato e ti invierà un avviso di accertamento, chiedendoti di pagare le tasse su quei soldi, oltre a sanzioni e interessi. Ma non tutto è perduto: puoi comunque fare ricorso contro l’accertamento. Se non hai prove valide, hai due strade: puoi tentare un ravvedimento operoso per regolarizzare la tua posizione, oppure aspettare l’accertamento e, eventualmente, negoziare l’importo delle sanzioni.

In ogni caso, la cosa migliore da fare è essere sempre pronti con la documentazione adeguata per evitare complicazioni con il Fisco.





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