L’aumento delle spese militari a livello globale è un dato di fatto. Nel 2024, la spesa ha toccato i 2.443 miliardi di dollari, segnando un nuovo record in un contesto di crescente instabilità geopolitica. L’Unione Europea, pur senza un esercito comune, sta investendo sempre più risorse nel settore della difesa, arrivando a mobilitare 124 miliardi di euro a sostegno dell’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa. Un trend destinato a rafforzarsi, come confermato dal recente documento di Mario Draghi sul futuro della competitività europea, che spinge per un rafforzamento del comparto bellico, spesso a discapito di investimenti più sostenibili.
In questo scenario, il ruolo delle banche italiane nel finanziamento dell’industria degli armamenti diventa sempre più rilevante, tanto da richiedere un monitoraggio costante. Ed è proprio questo l’obiettivo di ZeroArmi, un’iniziativa che punta a fare chiarezza sulle relazioni tra gli istituti di credito italiani e il settore militare, fornendo ai risparmiatori strumenti per comprendere dove finiscono i loro soldi. Il progetto è stato sviluppato dalla Fondazione Finanza Etica in collaborazione con la Rete Italiana Pace e Disarmo, in un momento in cui la trasparenza finanziaria è messa a rischio da una proposta di revisione della Legge 185/1990 che potrebbe ridurre l’obbligo per le banche di rendere pubbliche le operazioni legate all’export di armi.
ZeroArmi ha analizzato le principali banche italiane attraverso una matrice di valutazione che tiene conto di finanziamenti diretti, partecipazioni azionarie e supporto logistico all’export di armamenti. I risultati sono eloquenti: Banca Etica si conferma l’unico istituto con un coinvolgimento nullo nel settore militare, mentre Intesa Sanpaolo e Unicredit risultano le più esposte, con un coinvolgimento significativo. Banca Popolare di Sondrio si colloca nella fascia alta del coinvolgimento moderato, mentre istituti come Banco BPM, BPER, Cassa Centrale Banca e Cassa Depositi e Prestiti presentano livelli più bassi di interazione con il comparto bellico.
Trasparenza a rischio
L’analisi di ZeroArmi offre un quadro molto più articolato rispetto alle precedenti classificazioni, spesso eccessivamente semplicistiche, permettendo di distinguere tra i diversi livelli di coinvolgimento delle banche nel settore militare. Il risultato è che le banche che hanno scelto di interagire in modo trasparente con il modello di valutazione hanno, in alcuni casi, migliorato il loro posizionamento, dimostrando che il confronto aperto può portare a una maggiore consapevolezza e responsabilità nelle scelte strategiche.
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La trasparenza nel settore finanziario, però, è in pericolo. La proposta di modifica della Legge 185/1990 mira a ridurre gli obblighi di rendicontazione sull’export di armamenti, ostacolando il monitoraggio da parte di cittadini e organizzazioni. Senza strumenti come ZeroArmi, sarebbe impossibile distinguere tra le banche in base al loro grado di coinvolgimento nell’industria bellica, con il rischio che il settore finanziario continui a muoversi nell’ombra.
In un contesto in cui le spese militari stanno diventando la priorità per i Governi europei, spesso a scapito di investimenti in settori più sostenibili, diventa fondamentale che i risparmiatori siano consapevoli di dove finiscono i loro soldi. Perché ogni conto corrente, ogni investimento, ogni prestito concesso da una banca può contribuire, direttamente o indirettamente, a finanziare la produzione e l’esportazione di armi. E sapere chi fa cosa non è solo una questione di etica, ma di trasparenza e responsabilità.
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