Si sa che i guai non arrivano mai soli. Quello ucraino almeno era previsto: la premier si aspettava la giravolta dell’amico americano anche se non così ruvida e sgraziata da costringerle a prendere un po’ di distanza. La condanna di Delmastro invece è arrivata inattesa.
C’era addirittura chi, la superzelante Rainews, aveva già dato la notizia dell’assoluzione del sottosegretario in anticipo. Tanto più la sberla ha portato alle stelle le ire della presidente del consiglio e con lei di tutta la maggioranza.
Giorgia Meloni ha convocato a palazzo Chigi il ministro della Giustizia Carlo Nordio, colto altrettanto alla sprovvista. Il guardasigilli aveva già esternato i sensi del suo «dolore e disorientamento» e altro non aggiunge. La premier invece commenta e dalle scarne righe trasuda rabbia: «Sconcertata per la sentenza, mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione. Il sottosegretario Andrea Delmastro rimane al suo posto». Il senso della dichiarazione è tutto nell’ultima frase: il governo si sente assediato e d’ora in poi sarà guerra su tutti i fronti, senza spazio per mediazioni.
PIÙ CHE AFFILARE le armi, mettere da parte le velleità di un dialogo con la magistratura comunque di facciata e aspettare l’appello con le dita incrociate la presidente del consiglio non può fare. Ma ora ogni arretramento, forse persino le dimissioni sacrosante di Daniela Santanchè, suonerebbe per lei come una resa.
Con l’Ucraina, il dilemma che rende difficilissimo proseguire nell’equilibrismo di chi in una battaglia vuol stare sia con un’armata che con l’altra, è una storia diversa. Lì non si può più aspettare. Domani la leader della destra italiana parlerà alla convention dei Conservatori a Washington ma lo farà dal video. Le ipotesi di una sua incursione in carne e ossa per scambiare due chiacchiere in presenza con Donald Trump non hanno mai avuto reale fondamento. Lo sgarbo nei confronti del britannico Keir Starmer e del francese Emmanuel Macron, che si apprestano a partire per gli Usa all’inizio della settimana prossima, sarebbe di quelli che si lavano col sangue.
Meloni, al contrario, cerca una via che permetta di non rompere con nessuno, pregando che esista e non è detto. Spera di riuscire a organizzare un colloquio con Starmer prima del summit di Washington tra i presidenti americano e francese e il premier inglese. Sabato progetta di non alludere proprio all’Ucraina parlando ai conservatori. Qualcosa dovrebbe dire lunedì, nel terzo anniversario dell’inizio della guerra, ma nella stessa giornata diserterà la call del G7. Ci pensasse il ministro degli Esteri Antonio Tajani. E soprattutto la premier non sarà a Kiev per portare di persona la sua solidarietà a Zelensky, come invece faranno Ursula von del Leyen e António Costa.
IERI MELONI SI È SENTITA al telefono con il premier canadese Trudeau, poi ha rotto un silenzio che era ormai non solo imbarazzato ma imbarazzante, facendo sapere che nel colloquio ha «ricordato come siano stati il sostegno occidentale insieme al coraggio e alla fermezza ucraina» a creare le condizioni necessarie per l’accordo. Ineffabile assicura che «l’Italia lavora con gli Usa e i partner europei e occidentali» per assicurare una «pace duratura»: come se tra gli Usa e quei «partner» non stessero volando stracci e schiaffoni peggio che in una rissa da saloon. Comunque, bontà sua, l’ex amica numero uno di Zelensky assicura che la duratura pace «necessita di garanzie di sicurezza reali ed efficaci per l’Ucraina».
IL CANOVACCIO DIFFUSO con la scusa della telefonata con Trudeau prefigura bene la posizione che il governo italiano assumerà nei prossimi giorni. La premier non può rimangiarsi le innumerevoli dichiarazioni a favore di Zelensky. Neppure per amore di Elon e Donald può rimaneggiare una storia che proprio lei, più di ogni altro leader europeo, ha smerciato per anni indicando la Russia come unica e sola responsabile della guerra. Quella è una linea del Piave che non può essere varcata: Meloni si augura che basti a salvarle la faccia e le credenziali europee senza irritare troppo la banda di Washington.
MA PER IL RESTO tutto è già cambiato e quel che non può dire la presidente lo dice il portavoce di Fi Nevi: «L’Italia ha sempre sostenuto l’Ucraina con determinazione ma ora è necessaria maggiore prudenza. Per l’unità dell’Occidente serve equilibrio tra princìpi e pragmatismo». Più chiaro di come non si potrebbe. C’è chi cambia schieramento con fragore, come Trump, e chi lo fa alla chetichella. Come il governo italiano.
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