Nei giorni scorsi, mia nipote Ginevra ha avuto la pazienza di rendermi edotto di tutte le attività extrascolastiche alle quali si appassiona lontano da aule, banchi e lavagne. Non sto a inanellare il groviglio di sport, cultura e semplici passatempi di un’adolescente che ha energie migliori e ben più ispirate di quelle degli adulti che ne fanno a fette le giornate. Vi basti sapere che al termine del racconto non ho potuto esimermi dal chiedere a mia nipote se le sue giornate avessero lo stesso monte ore delle mie, considerato che la gran parte del suo tempo se ne va tra scuola e sonno (e immagino che l’usanza di consumare dei pasti non sia ancora passata di moda).
E’ in mezzo a queste riflessioni che, nelle scorse settimane, la Provincia ha riportato la notizia della settimana corta (cioè l’orario fino alle 2 di pomeriggio, ma stando a casa il sabato) al via a settembre al Medardo Rosso, di quella invece bocciata alle medie di Galbiate, ma soprattutto delle argomentazioni contrarie dei rispettivi docenti. Al di là delle noiose questioni di lana caprina su organi d’istituto e votazioni varie (tecnicismi parasindacali che attirano la mia attenzione quanto un duetto rap napoletano a Sanremo), la sostanza era questa: rischiamo di non avere abbastanza ore per portare a termine i programmi didattici. A proposito del Festival non sfuggo al giochetto “lo vedi o non lo vedi?”, perchè non sapendo cogliere una nota musicale, nonostante da adolescente mio padre mi obbligasse quasi ad ascoltare Mozart e Beethoven, sto lontano da quel mondo che per me è un abisso. Nè mi pare che i testi o meglio i versi delle canzonette, letti qua e là sulla stampa, meritino un sussulto o un brivido letterario o anche solo di fornire materiale per un tema delle elementari. Chiusa parentesi e torno ai negazionisti del sabato libero.
Possibile che quegli stessi istituti che pretendono dai ragazzi presenze ed energie per oltre quaranta ore a settimana, non sarebbero in grado di organizzarsi per perderne una manciata?
Certo, la rigidità non stupisce, se consideriamo che con la stessa ampiezza di vedute il sistema scolastico italiano limita allo stretto indispensabile le pause durante l’anno, salvo salutare tutto e tutti per tre mesi in estate, il caldo sabbatico. In Germania, che non credo debba invidiare il Bel Paese quanto a efficienza e logistica, lo stop estivo è di sei settimane, ma c’è una pausa autunnale, una natalizia, una a febbraio e un’altra a Pasqua. Per non parlare poi del modello campus anglosassone. E’ davvero così arduo abbracciare una cultura scolastica degna del terzo millennio e di un paese occidentale?
Perché non si dica che io bacchetto senza proporre, ho deciso di portare anche il mio contributo, senza pretese pedagogiche.
Mi permetto quindi di consigliare ai pregiatissimi docenti di considerare qualche taglio sulla mole di nozioni che consegnano ai nostri baldi studenti. Rinuncerei a cuor leggero al moto rettilineo uniforme, al pendolo e affini, al Cinque maggio di Manzoni, ma anche al Settecento italiano (odi pariniane comprese). Taglierei con serenità le varie rivoluzioni (fiumi di parole che privilegiano i nudi fatti alle ben più complesse dinamiche storiche) americana e francese comprese. E, di grazia, ridurrei il peso straziante di quell’epica al sugo che è il Risorgimento (abbiamo alunni di quinta che conoscono la storia della gamba di Maroncelli e il quadrilatero austriaco, ma ignorano come si eleggesse un imperatore nel Trecento o che diavolo fosse la Germania prima e dopo Bismarck). Aggiungo anche all’elenco di nozioni sciapite anche l’arte informale, Alexander Pope e i positivisti.
Ovviamente non dico che tutto ciò sia inutile alla mente di un giovane. Ci sarà tempo per interessarsene, ci sono anni e anni di università e disciplina personale per arrivarci. Ma, vi prego, liberate le fragili ed entusiastiche spalle dei nostri ragazzi (cominciate dal peso degli zaini) da questi “mondeghini” della cultura scolastica: trite e ritrite polpettine, figlie di un’idea didattica vetusta quanto il termine che la descrive. Se avanza del tempo, casomai, impiegatelo a spiegare ai ragazzi chi era Rimbaud, aiutateli a riscoprire Kierkegaard, ficcate in quei cervelli come diavolo siano fatti atomi, cellule e materia, quali idee circolavano in Europa appena prima del baratro della prima guerra mondiale, e in storia provate a farli sporgere un pelo oltre lo sgancio dell’atomica. E fatelo, se possibile, lasciando loro libero questo benedetto sabato. C’è un mondo da vedere, toccare, godersi anche fuori dalle mura scolastiche.
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